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Binge eating e addiction: similitudini, differenze e implicazioni di trattamento

Il binge eating presenta alcuni aspetti in comune con le dipendenze ma anche delle sue specificità, per cui necessita di un trattamento ad hoc come la CBT-E

Di Sara Nargis Liguori

Pubblicato il 10 Nov. 2021

Aggiornato il 08 Feb. 2024 14:52

Il seguente articolo espone alcune teorie a favore del ritenere il binge eating una dipendenza, e teorie secondo le quali i due fenomeni sono da considerarsi separati e distinti, seppur con caratteristiche che li accomunano, per poi porre a confronto i trattamenti.

 

Una domanda sulla quale da molti anni gli studiosi si stanno interrogando è se il binge eating possa considerarsi una forma di dipendenza, allo stesso modo della dipendenza da alcol e da sostanze. Sono, infatti, sempre più diffuse terminologie come “dipendenza da cibo” e “mangiare in modo compulsivo”, e queste definizioni hanno portato allo sviluppo di molti programmi di trattamento basati su tali presupposti. È opportuno però chiedersi se effettivamente questa connessione possa considerarsi realistica, al fine di proporre e implementare trattamenti adeguati e efficaci.

Con il seguente articolo vorrei, dopo aver descritto i termini “binge eating” e “dipendenze”, esporre in primo luogo alcune teorie e opinioni a favore del ritenere il binge eating una dipendenza, per descrivere in seguito teorie secondo le quali i due fenomeni sono da considerarsi separati e distinti, seppur con caratteristiche che li accomunano. Vorrei poi porre a confronto un trattamento che fa riferimento alle prime teorie (“Modello dei 12 Passi”) con un percorso cognitivo comportamentale che parte da presupposti molto diversi (CBT-E).

Binge eating

Il termine binge era utilizzato in passato dalla maggior parte delle persone con un solo significato: bere in eccesso. Oggi, invece, il termine è utilizzato per indicare il mangiare in eccesso. Secondo gli studiosi, le abbuffate hanno due elementi in comune: la quantità di cibo assunta è percepita come eccessiva e in quel momento la persona ha la percezione di perdere il controllo. Per molte persone un’abbuffata è qualcosa di assolutamente innocuo, un cedimento o un eccesso alimentare, che avviene una volta ogni tanto e che non presenta conseguenze e ripercussioni a livello psicologico e fisico. Per altre, tuttavia, essa rappresenta una parziale o totale perdita di controllo sul cibo e può portare a gravi danni fisici e psicologici. Oltre alle caratteristiche descritte sopra, possiamo descriverne altre (Fairburn, 2013):

  • Sensazioni: il gusto e la consistenza del cibo possono risultare, inizialmente, piacevoli, ma si trasformano poi in sensazioni di disgusto verso se stessi per quanto si sta mangiando.
  • Velocità dell’assunzione di cibo: durante l’abbuffata le persone mangiano spesso molto in fretta e in modo meccanico, masticando a malapena.
  • Agitazione: le persone sono spinte ad abbuffare da un desiderio persistente e irresistibile (craving), al quale difficilmente riescono ad opporsi.
  • Sensazione di alterazione della coscienza: spesso le persone descrivono di essere come in trance durante un’abbuffata, di non pensare a nulla in quel momento, se non al cibo.
  • Segretezza: le abbuffate avvengono tendenzialmente in segreto, dal momento che le persone si vergognano molto di questo comportamento e tendono a nasconderlo, anche per anni.
  • Perdita di controllo: l’esperienza di non avere il controllo sul comportamento è uno degli elementi che caratterizza il disturbo e che lo differenzia da una normale alimentazione in eccesso.

Dipendenze

La presenza di un disturbo correlato a sostanze si caratterizza per un uso continuativo nonostante l’insorgenza di sintomi cognitivi, comportamentali e fisiologici che generano un elevato grado di difficoltà e una compromissione a livello psicosociale (Calamai, 2018). Un’altra importante caratteristica risiede nell’alterazione che il consumo provoca a livello neuronale e che si esprime nelle numerose ricadute e nell’intenso desiderio di assumere la sostanza.

A prescindere dal tipo di sostanza, le dipendenze patologiche presentano un insieme di comportamenti caratteristici elencati nei seguenti criteri (Marazziti et al., 2015):

  • Tolleranza: fenomeno per il quale è necessario incrementare l’uso della sostanza al fine di ottenere i medesimi effetti sull’organismo.
  • Astinenza: presenza di sintomi fisici o emotivi nel momento in cui il soggetto interrompe l’assunzione della sostanza.
  • Compromissione delle attività sociali, lavorative o ricreative: questo aspetto incide negativamente sul funzionamento e sull’umore della persona.
  • Ridotte capacità di controllo sull’uso della sostanza: la persona ne fa un uso eccessivo o la assume per periodi di tempo più lunghi del previsto (carattere compulsivo del comportamento); è inoltre presente il desiderio di smettere o ridurne l’uso, associato a tentativi che non riscuotono successo.
  • Craving: un intenso desiderio della sostanza che può manifestarsi in qualunque momento, ma è più probabile avvenga in presenza di stimoli associati alla stessa.
  • Utilizzo rischioso della sostanza: la persona ne fa uso in situazioni fisicamente rischiose (ad esempio: alla guida); il consumo non viene interrotto nonostante provochi ricorrenti problemi fisici o psicologici.

Binge eating come dipendenza: “food addiction”

My drug of choice is food. I use food for the same reasons an addict uses drugs: to comfort, to soothe, to ease stress – Oprah Winfrey

Secondo la teoria che vede il binge eating come una forma di dipendenza, esso è il risultato di un processo fisiologico sottostante analogo a quello responsabile dell’alcolismo (Dalle Grave, 2019). Secondo tale teoria, le persone che si abbuffano sono biologicamente vulnerabili e sensibili di fronte a certe tipologie di alimenti e, di conseguenza, ne diventano “dipendenti”. (Gearhardt, Davis, Kuschner & Brownell, 2011). Inoltre, l’osservazione delle immagini di risonanza magnetica delle persone con Binge Eating Disorder ha mostrato un’alterazione nel sistema della dopamina, simile a quanto si osserva nelle risonanze magnetiche delle persone con una dipendenza da sostanze (Hadad & Knackstedt, 2014).

I risultati neurobiologici hanno portato a proporre che nelle persone sane il sistema di ricompensa è autoregolato in modo tale da consentire un adeguato controllo inibitorio nei confronti del consumo di sostanze o del cibo in eccesso. Al contrario, nelle persone in cui questo sistema è disregolato, ci sarebbe la tendenza ad avere meno controllo sull’assunzione di sostanze o cibo per un deficit nel sistema della ricompensa (Dalle Grave, 2021). Da questi studi emerge dunque che le persone che presentano episodi di abbuffata non sono in grado di controllare l’assunzione del cibo (come le persone che abusano non sono in grado di controllare l’assunzione della sostanza) e da ciò ne consegue che il loro consumo aumenta progressivamente.

Possiamo dunque sicuramente trovare delle analogie tra il binge eating e le dipendenze classiche, come l’abuso di alcol e di sostanze, e molte persone si concentrano su queste somiglianze per sostenere la teoria del food addiction. I punti evidenziati da questa corrente di pensiero sono i seguenti:

  • Sensazione di perdere il controllo su tale comportamento
  • Pensieri e preoccupazioni fissi sull’alimentazione
  • Negare la problematicità del comportamento
  • Percepire la voglia irrefrenabile (craving) e il bisogno di mettere in atto il comportamento
  • Tentativi ripetuti di interrompere il comportamento, senza risultati
  • Utilizzare il comportamento per alleviare emozioni negative
  • Il soggetto persiste nel comportamento disfunzionale, nonostante le conseguenze negative.

Binge eating e addiction: le differenze

Le somiglianze che sono state esposte sopra sono, tuttavia, parziali, e il concentrarsi solo sulle somiglianze non consente di soffermarsi su alcune differenze, altrettanto importanti (Fairburn, 2013; Belloli, 2021):

Il binge eating non implica il consumo di una particolare tipologia di alimenti (Wilson, 2010). Qualora il binge fosse una dipendenza, i pazienti tenderebbero a scegliere alimenti specifici che, appunto, danno dipendenza (ad esempio, i dolci). L’elemento che caratterizza le abbuffate è, invece, la quantità di cibo, piuttosto che la qualità.

Le persone che si abbuffano cercano di evitare tale comportamento. Una delle caratteristiche principali di chi abbuffa (a accezione di chi soffre di Binge Eating Disorder) è il costante tentativo di ridurre la quantità di cibo ingerito, attraverso diete ferree, digiuno, metodi di compenso, onde evitare l’aumento ponderale (tentativi che in realtà mantengono la problematica alimentare). L’abbuffata è vissuta con sentimenti di sconforto, colpa e rabbia perché è il risultato del fallimento di questi tentativi estremi e rigidi di controllo sull’alimentazione. Nelle persone che abusano di sostanze accade l’opposto: non vi è alcuna motivazione intrinseca a evitare o interrompere l’utilizzo della sostanza. Uno degli obiettivi principali dei programmi di cura è dunque proprio quello di problematizzare il comportamento e di far giungere la persona alla consapevolezza di aver bisogno di aiuto.

Le persone che abbuffano presentano una psicopatologia specifica, data dall’Eccessiva Valutazione del peso e della forma del corpo e da tutti gli elementi che la formano e la mantengono (check del corpo, evitamenti, sensazione di essere grassi). Questa psicopatologia svolge un ruolo di primaria importanza nel mantenere il disturbo alimentare e gli episodi di abbuffata. Differentemente, chi utilizza sostanze non presenta una psicopatologia specifica comune.

La relazione tra abbuffate e abuso di sostanze non è specifica. Alcuni studiosi riportano che i tassi di abuso di alcol e sostanze sono sproporzionatamente alti tra i soggetti che abbuffano; in realtà, i risultati scientifici affermano che i tassi non sono più elevati di quelli riscontrati nei soggetti affetti da altri disturbi psichiatrici.

Alcuni studiosi, con l’obiettivo di chiarire il legame tra assunzione di cibo in eccesso e uso di sostanze, hanno condotto studi neurobiologici di confronto tra soggetti con obesità e soggetti normopeso, ma i risultati non appaiono significativi; infatti, non ci sono studi che ad oggi hanno dimostrato che esista una sensibilizzazione neurale al cibo.

Nel 2001 uno studio con la tomografia a emissione di positroni (PET), in un gruppo di soggetti con obesità, ha dimostrato la presenza di una riduzione dei recettori striatali D2R della dopamina, negativamente correlato con l’Indice di Massa Corporea (Wang et al., 2001): questo dato potrebbe indicare uno stato di deficit di ricompensa, la quale porterebbe a una maggiore assunzione di cibo in soggetti che presentano una condizione di obesità, per ottenere lo stesso livello di ricompensa percepito dai soggetti che sono normopeso. I dati dello studio non rilevano però se i cambiamenti nei ricettori possano essere una causa o una conseguenza dell’obesità e anche studi successivi hanno prodotto risultati non significativi (Ziaudden, Farooqi & Fletcher 2012).

Due modelli a confronto: il “Modello dei 12 Passi” e la CBT-E

Il trattamento che deriva dal modello teorico della dipendenza, basato sulla metodologia di intervento degli “Alcolisti Anonimi”, viene chiamato anche “Overeaters Anonymous” o “Modello dei 12 Passi” ed è un programma diviso in dodici fasi rivolto a tutte le persone che presentano comportamenti compulsivi verso il cibo (Elisabeth, 2010).

I principi sottostanti a tale trattamento sono in totale disaccordo con l’approccio terapeutico che invece si è dimostrato essere il più efficace nel trattare questa tipologia di disturbi, ovvero la Terapia Cognitivo Comportamentale Migliorata (CBT-E). Possiamo così riassumere le principali differenze tra i due percorsi di cura:

  • Secondo l’Approccio degli “Overeaters Anonymous” non esiste una cura, essendo l’abbuffata vista come una malattia cronica e quindi destinata a peggiorare nel corso del tempo. Al contrario, il trattamento cognitivo comportamentale porta evidenze scientifiche secondo le quali la remissione completa del sintomo è possibile. Infatti, l’efficacia della CBT è stata supportata da revisioni sistematiche e meta-analisi (Hilbert et al., 2019), le quali hanno confermato che il trattamento determina la remissione degli episodi di abbuffata in circa il 50-55% dei pazienti e il miglioramento della psicopatologia del disturbo anche a lungo termine (Dalle Grave, Calugi & Sartirana, 2020).
  • Il modello basato sulla teoria della dipendenza assume che l’astinenza immediata è fondamentale. I partecipanti al gruppo vengono invitati fin da subito a non assumere più cibi che possono portare a comportamenti compulsivi e ci sono regole molto rigide a riguardo (spesso le persone che non riescono in questo intento vengono invitate ad abbandonare il gruppo). L’approccio CBT-E si basa su presupposti completamente diversi; il percorso che porta a interrompere gli episodi di alimentazione incontrollata può richiedere diverso tempo, in base anche alle difficoltà soggettive. Si arriva a interrompere le abbuffate lavorando sui meccanismi di mantenimento del problema e quindi sulle regole dietetiche, sulla dieta ferrea, su eventi ed emozioni legate all’alimentazione. È un lavoro che viene portato avanti in modo collaborativo con il paziente, non si tratta dunque di un approccio coercitivo e direttivo (Dalle Grave, Calugi & Sartirana, 2018).
  • Il “Modello dei 12 Passi” utilizza come strategia principale per il raggiungimento dell’astensione l’evitamento totale dei cibi che scatenano l’abbuffata. La CBT- E sostiene esattamente il contrario, ovvero che non esistono cibi vietati o tossici, e che sarà importante portare avanti un lavoro in direzione di una graduale reintroduzione di questi alimenti. Secondo le evidenze scientifiche, infatti, il tentativo estremo di privarsi e allontanarsi da un cibo porta a conseguenze opposte ed è uno dei fattori che possono portare all’abbuffata.
  • Infine, l’approccio che prende spunto dalle teorie che vedono il cibo come una dipendenza si basa sul pensiero dicotomico “tutto o nulla”, sostenendo che la persona o mantiene il controllo o lo perde totalmente e che i cibi o sono “sani” o sono “tossici”. La CBT-E, invece, si pone l’obiettivo fin da subito di discutere e mettere in discussione questo bias cognitivo, dal momento che risulta essere uno dei fattori che porta al perpetuarsi delle abbuffate. Se la persona impara a riconoscere un episodio di abbuffata come uno scivolone e non come un fallimento vero e proprio, riuscirà più facilmente ad affrontarlo, imparando da esso e non lasciandosi prendere dallo sconforto.

Conclusioni

Nonostante siano presenti delle somiglianze tra episodi di abbuffata e disturbo da uso di sostanze, ci sono differenze fondamentali tra le due condizioni che riguardano la psicopatologia, l’epidemiologia e i fattori di rischio (Dalle Grave, 2021). Ritengo, dunque, che intervenire sugli episodi di alimentazione incontrollata utilizzando un trattamento riconosciuto a livello di efficacia possa portare a una maggiore remissione del disturbo, soprattutto nel lungo termine, andando a lavorare anche sulla prevenzione delle ricadute e aiutando i pazienti a gestire in autonomia l’impulso ad abbuffare, fornendo loro una serie di strategie e procedure da portare avanti anche a trattamento concluso.

Penso che la maggior efficacia della CBT-E risieda anche nel fatto che va a lavorare su più fronti, affrontando da una parte le abitudini alimentari disregolate (reintroducendo l’alimentazione regolare), dall’altra lavorando sugli aspetti cognitivi che sono alla base del disturbo e che lo portano ad autoperpetuarsi (l’eccessiva valutazione del peso e della forma del corpo e tutti gli elementi che la costituiscono).

Il trattamento presso le Cliniche Italiane di Psicoterapia (CIP-Milano Navigli)

Come già anticipato precedentemente la CBT-E, sviluppata dal Centre for Research on Eating Disorders at Oxford (CREDO) (Fairburn, 2008; Fairburn, Cooper & Shafran, 2003), è ritenuto ad oggi il trattamento per pazienti adolescenti e adulti con disturbi alimentari con più evidenze di efficacia ed è dunque raccomandato dalle linee guida NICE (2017). Originariamente il trattamento era stato progettato per i pazienti affetti da bulimia nervosa, ma successivamente è stato modificato per renderlo adatto a qualsiasi tipo di disturbo alimentare caratterizzato da abbuffate. In generale, il trattamento comprende tre fasi distinte (Fairburn, 2003):

  • Fase 1: Creare una formulazione personalizzata della problematica alimentare, per favorire lo sviluppo di una maggiore consapevolezza da parte della persona e aiutarla a distanziarsi dal suo problema; iniziare il lavoro di automonitoraggio quotidiano su pensieri, emozioni e comportamenti disfunzionali legati al cibo; introdurre l’alimentazione regolare, andando a diminuire gli episodi di abbuffata; educare la persona sul disturbo alimentare.
  • Fase 2: Affrontare le preoccupazioni per il peso e la forma del corpo e per il controllo dell’alimentazione; introdurre i cibi vietati nel regime alimentare regolare e, gradualmente, eliminare le forme di dieta; sviluppare le competenze per far fronte ad eventi ed emozioni che influiscono sull’alimentazione.
  • Fase 3: Acquisire strumenti e sviluppare risorse per ridurre al minimo il rischio di ricadute.

Il trattamento sopra descritto viene implementato presso le Cliniche Italiane di Psicoterapia (CIP) a Milano. Di seguito troverete i contatti del Centro:

 

CONTATTI CIPda MILANO

  • Indirizzo: Ripa di Porta Ticinese 79, Milano
    Come raggiungere il CIPda: La sede è a pochi passi dalla fermata di Porta Genova, sulla linea verde della metropolitana, ed è facilmente raggiungibile con le linee tram 2 e 10.
  • Telefono: 02 36725912
  • E-mail: [email protected]
  • Orari della segreteria: lunedì-venerdì, 10-19

 

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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