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Cos’è la dipendenza da cibo? Due voci a confronto: Paul Fletcher e Paul J. Kenny

Con il costrutto di food addiction si cerca di dare una spiegazione a quei pattern di comportamento, spesso osservati in ambito clinico, legati alla ricerca spasmodica di cibi ipercalorici, appetitosi e ad alto contenuto di zucchero e grassi, caratterizzati da craving e perdita di controllo al momento del loro consumo.

Di Enrica Gaetano

Pubblicato il 16 Ott. 2018

L’applicazione del termine food addiction al pari di altre forme di dipendenza si basa sul fatto che alcune caratteristiche di questo fenomeno sono simili a quelle riscontrate nel disturbo da abuso di sostanze e alcuni cibi, gustosi e saporiti, sembrano avere gli stessi effetti delle sostanze che creano dipendenza su specifici network cerebrali.

 

Non esiste chiaro consenso sulla validità del concetto di dipendenza da cibo né sul fatto che alcune persone che hanno un discontrollo sull’alimentazione possano considerarsi “dipendenti” al pari di quelle affette da un disturbo da abuso sostanze.

Paul Fletcher, del dipartimento di psichiatria dell’università di Cambridge, e Paul J. Kenny, del dipartimento di neuroscienze dell’Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York, sono le due voci contrapposte nel dibattito sulla caratterizzazione del concetto della food addiction recentemente pubblicato sulla rivista Neuropsychopharmacology.

Cosa si intende per food addiction?

L’applicazione del termine food addiction è basata sul fatto che alcune caratteristiche di questo fenomeno appaiono somiglianti a quelle riscontrate nel disturbo da abuso di sostanze e che alcuni cibi, gustosi e saporiti, sembrano avere gli stessi effetti delle sostanze che creano dipendenza, su specifici network cerebrali – il sistema dopaminergico mesolimbico – legati alla ricompensa.

In particolare, alcuni studi di tipo neurobiologico hanno sviluppato l’ipotesi che la facile accessibilità e sovraconsumazione di questi cibi potrebbe favorire l’attivazione dei medesimi processi cerebrali sottostanti sia comportamenti alimentari di tipo binge che sintomi di astinenza, anche se, al momento, a parere di Fletcher, non esistono delle evidenze robuste e convincenti a riguardo (Fletcher & Kenny, 2018).

Infatti i dati finora ottenuti attraverso l’utilizzo della risonanza magnetica funzionale e dalla PET non supportano in modo convincente l’ipotesi che nell’uomo i cambiamenti neurobiologici osservati siano riconducibili a comportamenti di food addiction, come invece evidenziato nei modelli animali (Ziauddeen & Fletcher, 2013).

Da diverso tempo si fa riferimento alla food addiction come tentativo di spiegazione di quei pattern di comportamento, spesso osservati in ambito clinico, legati alla ricerca spasmodica di cibi ipercalorici appetitosi ad alto contenuto di zucchero e grassi, simil craving, in cui è presente una perdita di controllo al momento del loro consumo (Davis, 2014).

Per tale ragione, il concetto di food addiction, la cui validità viene attualmente discussa, spesso viene sovrapposto e collegato oltre che alle dipendenze anche a pattern di comportamenti alimentari disfunzionali e problematici, come il disturbo da alimentazione incontrollata e la bulimia in cui sono presenti le abbuffate incontrollate di cibo ipercalorico, tanto da ritenere che la food addiction non sia distinta dal sintomo del binge eating (de Vries & Meule, 2016).

La food addiction è dunque un comportamento alimentare disfunzionale oppure una vera e propria forma di dipendenza?

Per poter stabilire la validità e l’attendibilità del costrutto food addiction è necessario occuparsi anche di altri fenomeni, come la tolleranza e l’astinenza, legate maggiormente al disturbo da abuso di sostanze piuttosto che ai comportamenti alimentari disfunzionali. Infatti il piacere al consumo inversamente proporzionale alla quantità di cibo ingerito può riferirsi al fenomeno della tolleranza, così come l’ansia e la disforia presenti quando vi è penuria di cibi ipercalorici siano da classificarsi come sintomi legati all’astinenza.

Nonostante ciò, in letteratura si sono evidenziate difficoltà nel traslare in modo sistematico le evidenze neurobiologiche ottenute grazie ai modelli animali sugli umani, che potrebbero aiutare nello stabilire la categorizzazione della food addiction tra i disturbi da abuso di sostanza. A parere di Fletcher (Fletcher & Kenny, 2018), infatti, se non vi sono evidenze robuste che possano supportare l’adesione di un costrutto (la dipendenza da cibo o food addiction) ad un modello (quello delle dipendenze), non è scientificamente possibile categorizzare tale costrutto in modo sicuro anche se comunemente ci si riferisce ad alcune tipologie di cibo come a delle droghe.

Al contrario Kenny è maggiormente convinto che il sovraconsumo di cibi ipercalorici ad alto contenuto energetico possa comportare dei rimodellamenti dei circuiti legati alla motivazione in una maniera tale da costituire una vulnerabilità consistente per i soggetti sovrappeso che saranno portati più frequentemente a desiderare certe proprietà nel cibo che ingeriscono, nonostante siano assolutamente consapevoli degli effetti negativi che la loro alimentazione dannosa avrà sulla loro salute (Fletcher & Kenny, 2018), come succede nelle dipendenze.

In particolare la dipendenza da cibo condividerebbe tre caratteristiche cliniche con i disturbi da abuso di sostanze, oltre che la tolleranza e l’astinenza: la sensazione di deprivazione quando la sostanza non è disponibile al momento, una percentuale maggiore di recidiva e di mancanza di autocontrollo durante i momenti di astinenza e la persistenza nel consumo della sostanza (“il non riuscire a farne a meno”, nonostante la consapevolezza dei sue effetti negativi sulla salute).

Diverse evidenze inoltre mostrano come i cibi ipercalorici ad alto apporto energetico stimolino i circuiti della ricompensa nello striato e ciò impedirebbe ai soggetti sovrappeso di perdere il peso in eccesso, e come questi cibi siano implicati nell’alterazione dell’attività dei circuiti prefrontali, alterazione che si riscontra nella dipendenza da sostanze (Siep, Roefs et al., 2009).

In particolare, a parere di Kenny (Fletcher & Kenny, 2018), una specifica combinazione di macronutrienti nei cibi ipercalorici potrebbe determinare una “spinta sovrafisiologica” nei circuiti cerebrali legati alla motivazione, spinta che a sua volta causerebbe comportamenti consumatori.

In conclusione

Nonostante i differenti pareri, entrambi i ricercatori concordano nell’affermare che una maggiore conoscenza dei meccanismi che fanno si ché specifiche sostanze possano rimodellare i circuiti legati alla motivazione, e di conseguenza determinare comportamenti compulsivi di ricerca della sostanza stessa, possa apportare benefici, insieme a ricerche orientate ad identificare le differenze tra la food addicition e il disturbo da abuso di sostanze, alla comprensione di tale fenomeno.

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