Il disturbo da stress post traumatico (PTSD) è un disturbo che ha un’incidenza tra il 5% e il 10% della popolazione e si sviluppa in seguito a un evento traumatico, che ha implicato gravi lesioni, morte, minaccia di morte o dell’integrità fisica propria o altrui.
Elisabetta Ballerini – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi San Benedetto del Tronto
Durante l’evento, la persona ha reagito con orrore, paura e sentimenti di impotenza. Eventi che vengono ritenuti traumatici sono: la violenza sessuale, l’essere tenuti in ostaggio o incarcerati (come nei campi di concentramento), essere stati vittima di catastrofi naturali, terremoti, alluvioni, incendi, incidenti stradali. E ancora, aver vissuto o assistito a gravi ferimenti, lesioni o morti violente, combattimenti, guerre o essersi trovati di fronte ad un cadavere o a parti di esso.
PTSD: sintomi
La risposta della persona all’evento traumatico comporta paura intensa, senso di impotenza e/o orrore (nei bambini questo può essere espresso con comportamento disorganizzato o agitato e irritabilità) e si caratterizza per i seguenti sintomi:
- Rievocazione dell’evento attraverso immagini, pensieri, percezioni ricorrenti e intrusive, incubi notturni, sensazione di rivivere l’esperienza (illusioni, allucinazioni, flashback). Nei bambini questo può esprimersi attraverso giochi ripetitivi in cui vengono espressi temi o aspetti riguardanti il trauma, disegni e/o sogni spaventosi senza un contenuto riconoscibile.
- Evitamento persistente degli stimoli associati all’evento: pensieri, sensazioni, conversazioni, attività, luoghi o persone che evocano ricordi legati al trauma.
- Attenuazione della reattività generale (anestesia emotiva): diminuito interesse per gli altri, senso di distacco e di estraneità, affettività ridotta, sentimenti di diminuzione delle prospettive future, riduzione marcata dell’interesse o della partecipazione ad attività che prima dell’evento procuravano piacere.
- Aumento dell’attivazione nervosa, con difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, incubi notturni, ipervigilanza, esagerate risposte di allarme.
- Reattività fisiologica intensa all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o che assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico (luoghi, odori, persone, etc.). La persona presenta costante ansia e aumento dell’arousal (eccitabilità, non riuscire a stare fermo, tachicardia, etc.)
- Alterazione delle funzioni cognitive ed emotive: sensazione di tristezza, ansia, difficoltà nella concentrazione, a ricordare episodi significativi legati all’evento traumatico, convinzioni o aspettative negative su sé stessi, sugli altri e sul mondo “sono cattivo”, “non ci si può fidare di nessuno”.
- Irritabilità, scoppi di collera, aggressività, e/o gesti autolesivi.
Disturbo da stress post traumatico (PTSD) ed EMDR
L’EMDR, Eye Movement Desensitization and Reprocessing, è un innovativo strumento psicoterapeutico, nato da poco più di vent’anni, grazie alla scoperta di Francine Shapiro (Shapiro, 2011). È utilizzato, in particolare modo, per il trattamento del PTSD e dei ricordi traumatici. L’EMDR sembra aver dimostrato la sua efficacia anche con bambini e adolescenti traumatizzati, risultando essere ancora più rapido (Greenwald, 2000). L’EMDR dal 2013 è riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della Sanità quale metodo elettivo nella risoluzione dei disturbi da stress post traumatico.
L’EMDR si focalizza sul ricordo dell’esperienza traumatica ed è una metodologia completa che utilizza i movimenti oculari o altre forme di stimolazione alternata destro/sinistra per trattare disturbi legati direttamente a esperienze traumatiche o particolarmente stressanti dal punto di vista emotivo.
L’EMDR parte dal presupposto che tale procedura abbia la capacità di attivare un meccanismo neuropsicologicamente innato cioè quello dell’elaborazione dell’informazione (Fernandez, Maxfield, Shapiro, 2009) ovvero
alcuni tipi di stimolazioni prodotte dal terapeuta all’interno di un campo di attenzione duale, con l’attenzione rivolta contemporaneamente da un lato a uno stimolo esterno prodotto dal terapeuta, dall’altro al flusso dell’elaborazione mentale, attivano un efficace processo di elaborazione accelerata ed ecologica delle informazioni.
Si parte dunque dal presupposto che il paziente possieda le risorse utili per l’elaborazione emotiva e cognitiva di un ricordo traumatico, e che il terapeuta abbia il ruolo di facilitare tale processo (Dworkin, 2010).
Dopo una o più sedute di EMDR, i ricordi disturbanti legati all’evento traumatico hanno una desensibilizzazione, perdono la loro carica emotiva negativa. Il cambiamento è molto rapido, indipendentemente dagli anni che sono passati dall’evento. L’immagine cambia nei contenuti e nel modo in cui si presenta, i pensieri intrusivi in genere si attutiscono o spariscono, diventando più adattivi dal punto di vista terapeutico e le emozioni e sensazioni fisiche si riducono di intensità.
Durante la seduta EMDR il paziente rimane sempre cosciente e presente e attraverso la stimolazione oculare, opportunamente guidata dal terapeuta, e associata con l’immagine traumatica, le convinzioni negative, le emozioni e le sensazioni corporee spiacevoli ad essa associate, avviene la rielaborazione dell’informazione fino alla completa risoluzione dei sintomi.
Questo permette al paziente di cambiare prospettiva, cambiando le valutazioni cognitive su di sé, incorporando emozioni adeguate alla situazione oltre ad eliminare le reazioni fisiche. Questo permette, in ultima istanza, di adottare comportamenti più adattivi. Dal punto di vista clinico e diagnostico, dopo un trattamento con EMDR il paziente non presenta più la sintomatologia tipica del disturbo da stress post traumatico, quindi non si riscontrano più gli aspetti di intrusività dei pensieri e ricordi, i comportamenti di evitamento e l’iperarousal neurovegetativo nei confronti di stimoli legati all’evento, percepiti come pericolo (Shapiro, 2011). Un altro cambiamento significativo è dato dal fatto che il paziente discrimina meglio i pericoli reali da quelli immaginari condizionati dall’ansia.
Il PTSD dopo le 8 fasi dell’EMDR
Dai racconti dei pazienti emerge che il ricordo dell’esperienza traumatica viene percepito come parte del passato e quindi viene vissuta in modo distaccato. I pazienti in genere riferiscono che, ripensando all’evento, lo vedono come un “ricordo lontano”, non più disturbante o pregnante dal punto di vista emotivo.
Dopo l’EMDR il paziente ricorda l’evento ma il contenuto è totalmente integrato in una prospettiva più adattiva. L’esperienza è usata in modo costruttivo dall’individuo ed è integrata in uno schema cognitivo ed emotivo positivo. Cioè il paziente realizza le connessioni di associazioni appropriate, quello che è utile è appreso ed immagazzinato con l’emozione corrispondente ed è disponibile per l’uso futuro.
L’EMDR prevede 8 fasi. La prima fase dell’EMDR ricorda l’inizio della maggior parte delle psicoterapie: si indagano, quindi, i problemi attuali del paziente, sugli eventi accaduti nei primi anni di vita, sugli eventi passati responsabili dell’attuale sintomatologia e sugli obiettivi che si desiderano ottenere dalla terapia (Wilson, Becker, Tinker, 1995).
Nella seconda fase si spiega al paziente in che cosa consiste l’EMDR e come funziona.
Nella terza fase vi è la descrizione approfondita dell’evento traumatico: si chiede, quindi, al paziente di identificare la parte peggiore dell’esperienza traumatica, la convinzione negativa su di sé che accompagna l’immagine, le emozioni e le sensazioni corporee associate al ricordo che si attivano durante la focalizzazione. In questa fase si identifica anche la cognizione positiva, ovvero, ciò che il paziente vorrebbe pensare su di sé in relazione all’evento negativo.
La quarta fase è quella della desensibilizzazione ed è quella in cui vengono utilizzati i movimenti oculari. In questa fase si chiede al paziente di focalizzarsi sugli elementi del ricordo identificati nella terza fase invitandolo a notare tutto ciò che accade dentro di sé durante il set di movimenti oculari (es. emozioni, pensieri, immagini, sensazioni corporee). Questo tipo di intervento continua fino alla completa desensibilizzazione, cioè fino a quando il paziente, pensando al ricordo traumatico, non prova più alcun fastidio.
Nella quinta fase si lavora sulla cognizione positiva e su come questa possa legarsi all’evento traumatico precedentemente desensibilizzato e sostituire così la cognizione negativa.
Nella sesta fase si fa eseguire al paziente una scansione corporea con l’obiettivo di verificare la presenza di eventuali tensioni.
Nella settima fase, quella della chiusura, si danno indicazioni al paziente su come gestire eventuali sedute incomplete cioè quelle in cui la desensibilizzazione non è stata completata ed il ricordo provoca ancora disagio emotivo.
L’ottava fase avviene nella seduta successiva dove i risultati dell’EMDR vengono verificati per poterli rafforzare oppure per lavorare su alcuni aspetti che ancora attivano il paziente a livello emotivo.
PTSD e Mindfulness
La Mindfulness è un termine inglese che fa riferimento alla capacità di fermarsi e di concentrarsi sulle proprie sensazioni. Il termine sta a tradurre una parola in lingua Pali (Sati) che significa attenzione consapevole. Mindfulness trae molto dalle pratiche buddiste e l’educazione emotiva. La consapevolezza si raggiunge attraverso un’educazione vera e propria alla pratica meditativa.
Jon Kabat-Zinn, professore di medicina che ha effettuato un’integrazione terapeutica efficace con la mindfulness, la definisce così:
Prendere coscienza e vivere in armonia con sé stessi e il mondo intero. Con Mindfulness ci assumiamo la responsabilità di conoscere meglio il nostro corpo, ascoltandolo attentamente e coltivando le nostre risorse interne per aumentare l’accettazione e la pazienza nei confronti del proprio stato di malattia o delle proprie infermità psicologiche e fisiche.
Sviluppare un atteggiamento mindful nella vita di tutti i giorni influisce sulla nostra capacità di padroneggiare le situazioni difficili della vita, conferendo un maggiore potere di gestione dello stress, dei conflitti e dei problemi ordinari e straordinari. Educa la mente a sostituire le emozioni distruttive con modi di essere più costruttivi, che promuovono l’equanimità, l’amore e la saggezza (o, più semplicemente, amplificano le risorse interiori alla ricerca di un proprio adattamento alle situazioni stressanti). Lo strumento centrale della Mindfulness è la pratica della meditazione, per prestare attenzione al momento presente, alla propria esperienza, in uno stato di autentica calma non reattiva. Meditare è un’attività della mente, richiede tempo, energia, determinazione, fermezza e disciplina. Il centro della meditazione è rappresentato dal respiro: prestare attenzione al respiro è un ottimo modo per mantenere la mente aperta e vigile, e per allontanarsi dalle eventuali e frequenti distrazioni rappresentate da pensieri e emozioni che possono affollare la mente durante la pratica (solitamente sono pensieri automatici, disfunzionali, mossi dalla fretta, e dall’ansia).
Comporta l’autoindagine, la messa in discussione della nostra visione del mondo, della posizione che vi occupiamo, e l’apprezzamento della pienezza di ciascun momento della nostra esistenza. Soprattutto, riguarda il mantenimento del contatto con la realtà (Kabat-Zinn, 1997).
Si impara a osservare e riconoscere i pensieri nocivi, che non permettono l’evoluzione interiore dell’uomo o, in termini buddhisti, non consentono “la rivoluzione umana”. Alla presa di coscienza emotiva si unisce un modo nuovo di stare nel proprio corpo. Fermarsi e osservare, senza giudizio.
La meditazione è una pratica sempre più diffusa, in modo ubiquitario: si calcola che circa 16 milioni di persone pratichino una qualsiasi forma di meditazione per migliorare il loro stato di salute (dati del NCCAM). Molti praticano semplicemente per rilassarsi. La meditazione permette il miglioramento dell’umore e promuove quindi un miglior stato di benessere, attraverso lo sviluppo della serenità interiore. Gli effetti della meditazione sono sia sul sistema nervoso centrale (miglioramento delle risorse interiori e della resilienza, innalzamento del set point emotivo), che sul corpo (miglioramento della pressione arteriosa, del sistema immunitario e della capacità di rilassamento neuromuscolare). La mindfulness focalizza la propria consapevolezza sull’esperienza presente, sulle sensazioni, le emozioni, i pensieri, la salute e le proprie abitudini di vita: permette alle persone di lavorare su di sé, divenendo di volta in volta più consapevoli dei problemi del loro corpo o della loro mente. Praticare la mindfulness ci insegna soprattutto che non prestiamo mai abbastanza attenzione, perché siamo abituati a agire e pensare e sentire in modo automatico, utilizzando vecchi schemi strutturati nella nostra mente, che utilizziamo in modo passivo e inconsapevole. Mindfulness serve a disattivare il pilota automatico, attraverso l’attenzione piena al momento in cui ogni esperienza è avvertita, lasciando semplicemente scorrere pensieri, emozioni, senza giudicarli o modificarli, osservandoli, e basta. L’osservazione attenta e consapevole è in grado di smascherare gli automatismi, di promuovere il cambiamento e quindi, di migliorare il nostro globale stile di vita.
Lo scopo è comunque quello di attivare una concentrazione che non abbia soluzione di continuità, resti serena e lucida. In altre parole, sviluppare una presenza quieta e viva.
Uno degli effetti più ricercati nell’usare la Mindfulness in psicoterapia è la possibilità che questa offre di richiamare un certo ricordo operando una doppia focalizzazione dell’attenzione (dual processing). Da una parte sul ricordo disturbante, e dall’altra su sé stesso che si studia mentre rievoca il ricordo disturbante. Tramite il “dual processing” la Mindfulness permette di modulare il coinvolgimento del paziente con il proprio passato e, facendolo uscire dai corto-circuiti emotivi, di scoprire nuove vie per l’elaborazione dei ricordi disturbanti.
Quando il cervello è costretto a prendere decisioni rapide, stiamo operando da un riflesso mentale alla risposta automatica. Questa parte reattiva del cervello ci consente di prendere decisioni basate sulla minor quantità di informazioni disponibili, in contrapposizione alla parte più lenta del nostro processo di pensiero razionale definito come ragionamento lento consapevole.
Le funzioni che elaborano le decisioni possono essere divise in due sistemi:
- Sistema 1 – Il sistema di risposta rapida, o ragionamento inconscio chiamato anche ragionamento associativo.
- Sistema 2 – Il processo di pensiero più lento che è necessario per prendere decisioni razionali che richiedono attenzione focalizzata. Ciò include l’analisi complessa delle informazioni.
La nostra esposizione al mondo e alle esperienze passate aiuta il sistema 1 a ottenere informazioni e a sviluppare un riferimento per prendere decisioni rapide. Una volta che queste decisioni sono programmate nel cervello come un’abitudine, diventa molto difficile cambiare.
Quando il processo decisionale del sistema 1 incontra un problema che richiede più analisi e giudizio razionale, o se semplicemente non ci sono abbastanza informazioni per trarre una decisione conclusiva, il sistema 2 è chiamato in causa. Qui è dove facciamo più dei nostri giudizi consapevoli e decisioni meglio informate.
In realtà, siamo esseri umani reattivi. Siamo condizionati a reagire alle situazioni piuttosto che considerarle razionalmente come richiedenti la nostra attenzione. Questo è il modo in cui siamo in grado di sopravvivere e navigare mentre utilizziamo la nostra attenzione consapevole per la produttività anziché concentrarci su piccoli dettagli (Jonathan St. BT Evans e Keith 2016).
PTSD, EMDR e Mindfulness
L’EMDR riabilita la capacità fisiologica del cervello di ‘digestione’ e accantonamento degli eventi traumatici. L’elaborazione dei traumi attraverso l’Emdr
è come la corsa di un treno: a ogni fermata scende del materiale negativo e salgono nuove associazioni positive.
La tecnica ha cioè l’effetto di spostare il ricordo del trauma dalla corteccia prefrontale, in cui rimane emotivamente attivo, alla corteccia parietale, dove sarà memorizzato come evento passato, quindi ricordato ma non più attivo nei ricordi emotivi di paura o terrore.
La mindfulness è l’esercizio di focalizzare la consapevolezza esclusivamente sulle esperienze del momento, è un modo molto efficace per sviluppare più controllo sulla mente e la direzione dei pensieri, aiuta a rafforzare questa capacità riportando costantemente all’aspetto momento per momento dell’essere. Ciò consente alle tendenze improduttive e ripetitive innescate dallo stress e da altre emozioni intense di lasciare il posto alla chiarezza mentale, alla concentrazione, all’energia e all’apertura. Si diventa meno distratti da pensieri incerti e più capaci di operare con serenità.
La mindfulness rafforza la corteccia prefrontale e questa parte del cervello è responsabile del processo decisionale consapevole, della creatività, del comportamento e della forza di volontà.