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La paura del blushing (rossore): dalla Fobia Sociale al Taijin kyofusho

Ad accomunare la Fobia Sociale e il Taijin kyofusho interviene il sintomo del blushing ovvero il rossore, sintomo fisico spesso temuto da chi lo manifesta. %%page%%

Di Anna Scala

Pubblicato il 09 Nov. 2015

Aggiornato il 16 Lug. 2019 12:39

Ad accomunare la Fobia Sociale e il Taijin kyofusho interviene il sintomo del blushing ovvero il rossore. In effetti si tratta di un sintomo che compare tra i sintomi fisici della fobia sociale e che caratterizza un sottotipo di Taijin kyofusho.

Le emozioni, sebbene costituiscano una dimensione assolutamente basilare dell’esistenza umana e sebbene siano state oggetto di riflessione, sono state trascurate fino a tempi relativamente recenti dalla psicologia, senza dimenticare rilevanti eccezioni come Darwin, James e Freud.

Darwin nelle sue teorizzazioni infatti era intenzionato a dimostrare come le espressioni delle emozioni nell’uomo erano analoghe a quelle degli animali. In questo Darwin deduceva come l’uomo e l’animale derivassero da un antenato comune (Black , 2003). Partendo dall’osservazione sulla frequenza e sulla complessità delle condotte emotive in numerose specie animali, Hebb (1949) giunse alla conclusione che l’uomo è il più emotivo degli animali, anche grazie allo sviluppo filogenetico di sofisticati centri nervosi. A questa osservazione D’Andrade (1996) aggiunse che le specie più intelligenti sono probabilmente anche quelle più emotive, poiché i due sistemi sono evoluti congiuntamente.

Per Darwin le espressioni delle emozioni potevano essere osservate in maniera chiara nei soggetti psichiatrici perché le loro emozioni erano espresse vistosamente. A questo proposito Darwin cita la descrizione di Sir James Crichton-Browne di pazienti con ‘melancolia’ (depressione) e ‘ipocondria’ che erano caratterizzati dalla contrazione di ciò che egli chiama i muscoli del dolore, che causavano un solco trasversale sulla fronte (Black, 2003).

Una definizione esaustiva di emozione è quella proposta da Kleinginna e Kleinginna: emozione è un insieme complesso di interazioni fra fattori soggettivi e oggettivi, mediati da sistemi neuronali/ormonali che può:

  • Suscitare esperienze affettive come senso di eccitazione, di piacere e dispiacere;
  • Generare processi cognitivi come effetti percettivi emozionalmente rilevanti, valutazioni cognitive, processi di etichettamento;
  • Attivare adattamenti fisiologici diffusi di fronte a condizioni di eccitamento;
  • Condurre ad un comportamento che spesso, ma non sempre, è espressivo, diretto ad uno scopo ed adattivo.

Le emozioni di base secondo Ekman possono essere considerate: la rabbia, il disgusto, la paura, la felicità, la sorpresa e la tristezza.

Un altro autore , Goleman, teorizza l’esistenza di otto famiglie di emozioni:

  • Collera: furia, sdegno, risentimento, ira, esasperazione, indignazione, irritazione, acrimonia, animosità, fastidio, irritabilità, ostilità e, forse al grado estremo, odio e violenza patologici.
  • Tristezza: pena, dolore, mancanza d’allegria, cupezza, malinconia, autocommiserazione, solitudine, abbattimento, disperazione e, in casi patologici, grave depressione.
  • Paura: ansia, timore, nervosismo, preoccupazione, apprensione, cautela, esitazione, tensione, spavento, terrore come stato psicopatologico, fobia e panico.
  • Gioia: felicità, godimento, sollievo, contentezza, beatitudine, diletto, divertimento, fierezza, piacere sensuale, esaltazione, estasi, gratificazione, soddisfazione, euforia, capriccio e, al limite estremo, entusiasmo maniacale.
  • Amore: accettazione, benevolenza, fiducia, gentilezza, affinità, devozione, adorazione, infatuazione.
  • Sorpresa: shock, stupore, meraviglia, trasecolamento.
  • Disgusto: disprezzo, sdegno, aborrimento, avversione, ripugnanza, schifo.
  • Vergogna: senso di colpa, imbarazzo, rammarico, rimorso, umiliazione, rimpianto, mortificazione, contrizione.

In particolare la vergogna, al pari del senso di colpa, dell’orgoglio e dell’imbarazzo è un’emozione cosiddetta speciale; queste sono state definite emozioni dell’autoconsapevolezza perché comportano inevitabilmente un autoriferimento (un giudizio su di sé, un’assunzione di responsabilità) ma sarebbe più opportuno chiamarle emozioni sociali o interpersonali , in quanto esse richiedono necessariamente il riferimento non solo a sé ma anche al giudizio degli altri.

Castefranchi (1990) distingue tra vergogna e imbarazzo:

  • La vergogna può riferirsi non solo ai difetti morali ma anche a semplice goffaggine. Potrebbe essere vista secondo Castelfranchi come una sorta di rammarico (l’emozione sentita quando l’individuo è stato sventato in uno dei suoi obiettivi) oppure potrebbe una sorta di paura (l’emozione sentita come quando può accadere la vanificazione di un qualche obiettivo, ad esempio, l’obiettivo di stima). In altre parole, ci vergogniamo quando abbiamo un rimpianto o temiamo di perdere la faccia davanti agli altri o a noi stessi. In questo senso, la funzione della vergogna è quella di proteggere i nostri obiettivi di stima (essere valutati positivamente dagli altri) e autostima (essere valutati positivamente da noi stessi).
  • L’imbarazzo invece rimanda a una qualche mancanza dell’individuo. Ad esempio una persona può essere imbarazzata quando ha due o più alternative e non sa quali scegliere tra loro. Il tutto si complica se tra le alternative a disposizione ve ne sono alcune orientate su di sé e altre orientate sull’altro. Questo conflitto potrebbe essere la radice dell’imbarazzo.

Queste emozioni se portate all’eccesso possono far conseguire l’evitamento delle situazioni sociali all’interno delle quali potrebbero emergere e il progressivo isolamento dell’individuo: tutto ciò potrebbe portare generalmente a una diagnosi di Fobia Sociale.

A differenza però del Giappone, dove si parla di Taijin-kyofusho (paura delle relazioni interpersonali). Questa sindrome è costituita da quattro sottotipi:

  • Sekimen-kyofu (fobia di arrossire);
  • Shubo-kyofu (fobia di un viso/corpo deforme);
  • Jiko-shu-kyofu (fobia dell’odore del proprio corpo);
  • Jiko-shisen-kyofu (fobia del proprio sguardo).

Taijin kyofusho (対人恐怖症 ) è una sindrome specifica della cultura giapponese. Il termine taijin kyofusho si traduce in disordine (sho) della paura (kyofu) delle relazioni interpersonali (taijin). Coloro che soffrono di Taijin Kyofusho rischiano di essere estremamente imbarazzato da se stessi o dispiacere agli altri. (Iwata, 2011). Questa sindrome è basata sulla paura e sull’ ansia. I sintomi di questo disordine includono :

  • Evitare le gite e le attività sociali;
  • Il battito cardiaco rapido;
  • La mancanza di respiro;
  • Gli attacchi di panico;
  • Il tremore e sentimenti di paura e panico se la persona si trova in mezzo alle persone o in una situazione pubblica.

Taijin kyofusho è comunemente descritta come una forma di ansia sociale (fobia sociale), in cui la persona è preoccupata ed evita il contatto sociale e come un sottotipo di shinkeishitsu (disturbo d’ansia). Tuttavia, invece del timore di essere duramente giudicato dagli altri a causa della loro inettitudine sociale, chi soffre di taijin kyofusho segnala un timore di offendere o danneggiare altre persone. Quindi la messa a fuoco è su come evitare danni agli altri piuttosto che a sé stessi.

Ad accomunare la Fobia Sociale e il Taijin kyofusho interviene il sintomo del blushing ovvero il rossore. In effetti è un sintomo che compare tra i sintomi fisici della fobia sociale e che caratterizza un sottotipo di Taijin kyofusho ovvero il sekimen-kyofu (fobia di arrossire). (Iwata, 2011). Con il termine arrossire s’intende il diventare rosso in viso.

Darwin descriveva il rossore come ‘La più particolare e la più umana di tutte le espressioni‘, in quanto reazione involontaria e che non può essere inibita (Black , 2003). Black riporta anche come la tendenza ad arrossire sia ereditaria e come tutti gli esseri umani, indipendentemente dal colore della pelle, siano dotati di questa reazione innata.

Comunemente vi è la credenza che arrossire sia una risposta indesiderabile, soprattutto se la persona in quel determinato momento è al centro dell’attenzione (Rot , 2015). Molti studi confermano l’associazione del fenomeno del blushing con l’ansia sociale, la tendenza a sperimentare imbarazzo durante le interazioni con gli altri e una sensibilità generale alla valutazione da parte delle altre persone.

Per approfondire il fenomeno del blushing, Rot e colleghi hanno condotto nel 2015 uno studio con un campione di studenti di Psicologia. I risultati hanno mostrato come le principali emozioni correlate al blushing sono l’imbarazzo e la vergogna, sopra descritte (Rot, 2015). Nel campione osservato i soggetti mostravano il blushing in media circa una o due volte al giorno, in particolare in situazioni in cui i soggetti (per la maggior parte donne) erano in interazione con individui del sesso opposto oppure con un individuo con uno status più elevato. Si è visto anche che il blushing veniva ignorato da entrambi gli attori in queste situazioni. Da questo studio è emerso come i soggetti che arrossiscono frequentemente possano giungere a credere che non dovrebbero arrossire, in quanto questo secondo loro rappresenta un segno di debolezza.

L’arrossire è altresì considerato da questi soggetti un difetto caratteriale (Rot,2015). L’incidenza maggiore del blushing è osservabile tra gli adolescenti e i giovani adulti ed è maggiormente diffuso nel sesso femminile. Le persone che arrossiscono frequentemente potrebbero sviluppare la paura del blushing. Le persone accomunate da questa paura risultano essere accomunate da un comportamento sociale non dominante e sottomesso, dal percepire sé stessi come deboli e da scarse capacità di affiliazione.

Riguardo la percezione della socializzazione negli individui con un blushing molto sviluppato, Glashouwer nel 2011 ha condotto uno studio per approfondire le associazioni automatiche tra il blushing e i rapporti interpersonali. In questo studio è stato osservato come gli individui che arrossiscono di frequente temono di essere considerati delle persone incompetenti, non piacevoli e inaffidabili. I risultati hanno mostrano come gli individui con una forte tendenza al blushing si aspettano pesanti costi sociali da parte degli altri dovuti proprio a questa loro caratteristica. Quindi costoro credono che dopo la reazione di blushing si possano innescare delle reazioni negative da parte di chi li osserva, fino ad arrivare all’esclusione da parte del gruppo di riferimento. Questo non fa altro che aumentare la paura del blushing e rende ancora più probabile la comparsa del rossore.

Tutto ciò porta gli individui con tendenza al blushing a sviluppare delle credenze disfunzionali riguardo questa reazione innata. Credenze che non sempre sono coerenti con la realtà sperimentata dall’individuo, in quanto costui è talmente concentrato sulla sua paura di arrossire e sulle conseguenze sociali negative che ne potrebbero derivare da non prendere in esame la possibilità che invece le altre persone potrebbero apprezzare questa caratteristica. Infatti la società interpreta come accettabile il blushing e a volte può avere anche un valore correttivo soprattutto se accade dopo una trasgressione. Rot (2015) afferma come il blushing possa addirittura arrivare ad avere un effetto benefico sulla riparazione delle situazioni sociali.

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