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Emozioni, effetto esposizione e familiarità nell’ascolto di una canzone

La familiarità con una canzone e l'effetto esposizione sembrano favorire il nostro apprezzamento verso di essa

Di Annalisa Balestrieri

Pubblicato il 19 Dic. 2023

Gli effetti della propria canzone preferita

Chi ama la musica sa bene che non tutte le canzoni producono lo stesso effetto. Ci sono canzoni che ci piacciono in modo particolare e che non smetteremmo mai di ascoltare. Quelle canzoni che anche dopo decine e decine di volte riescono sempre a trasmetterci qualcosa di speciale. 

Ascoltare ripetutamente una canzone che ci piace può creare una sorta di dipendenza perché la collega a esperienze positive che attivano nel nostro cervello una scarica intensa di dopamina e la sensazione di benessere che ne deriva ci spinge a voler ripetere l’esperienza più e più volte.

Volete dei numeri? Eccoli: una ricerca dell’Università del Michigan, condotta dal professor Frederick Conrad su 204 partecipanti, ha rivelato che la canzone preferita era stata ascoltata più di 300 volte. L’86% ha dichiarato di averla ascoltata ogni giorno, il 43% di aver ripetuto l’ascolto almeno 3 volte. 

È emerso che le preferenze riguardavano tutti i generi ma con una predilezione per pop e rock ed è stato notato che la canzone preferita era in grado di suscitare emozioni contrastanti. Se i partecipanti hanno dichiarato di apprezzare diversi elementi della canzone, quali testo, melodia e ritmo, quest’ultimo risulta essere direttamente collegato alla soddisfazione generale generata dal brano.

L’effetto esposizione nella musica

L’effetto di mera esposizione è una scoperta fatta dagli psicologi già dagli anni sessanta, viene chiamato anche principio di familiarità e consiste nel fatto che tendiamo a gradire maggiormente cose che abbiamo già sperimentato. Questo è emerso da alcuni studi in cui i partecipanti hanno dimostrato una preferenza per ciò che era loro familiare, che si trattasse di forme, immagini o melodie. Non solo, le persone hanno affermato il loro gradimento dopo averli visti o ascoltati due o tre volte, anche se non se lo ricordavano e sembravano attribuire la loro preferenza a una qualità insita nell’oggetto stesso piuttosto che alla familiarità.

Tra le ricerche più note, quelle di Robert Zajnoc, che ha svolto esperimenti esaminando il linguaggio utilizzato dai partecipanti dopo l’esposizione a stimoli conosciuti e riscontrando che l’utilizzo di parole con un significato positivo era maggiore di quello di corrispondenti parole dal significato negativo.

Risultati simili sono stati confermati dall’esposizione a stimoli non percepiti coscientemente dove pure sono stati riscontrati dei pregiudizi affettivi verso stimoli a cui si veniva esposti ripetutamente. Zajonc afferma quindi che le risposte affettive preconsce agli stimoli avvengono molto più rapidamente di quelle cognitive e che vengono formulate con maggiore sicurezza. A suo parere la parte cognitiva e quella affettiva sono tra loro distinte, ma ovviamente la cognizione risente della parte affettiva e viceversa. Inoltre, ritiene che non vi siano prove empiriche che la cognizione accompagni ogni processo decisionale, anzi spesso le decisioni che prendiamo hanno una base affettiva e solo in un secondo tempo utilizziamo la nostra parte cognitiva per razionalizzare una decisione che abbiamo già preso.

Un curioso esperimento (R.B. Zajonc, Mere Exposure: A Gateway to the Subliminal) per studiare l’effetto della mera esposizione è stato condotto utilizzando delle uova di gallina fertili. L’esperimento consisteva nel riprodurre toni di due diverse frequenze su vari gruppi di pulcini mentre le uova erano ancora non schiuse. Una volta schiuse, venivano suonati entrambi i toni su tutti i gruppi di pulcini. Il risultato è stato che ogni gruppo di pulcini dimostrava di preferire il tono che era stato suonato quando erano ancora dentro le uova.

La familiarità anticipa il piacere che deriva dall’ascolto di una canzone

Un’altra ricerca condotta dalla neuroscienziata Valorie Salimpoor, della McGill University, ha rilevato che la familiarità con una canzone favorisce il nostro apprezzamento grazie alla capacità di anticiparne mentalmente i punti più alti; lo studio evidenzia che in tale circostanza il nostro cervello reagisce con una potente scarica di dopamina.

“Sulla base di tutta l’esperienza che hai su come dovrebbero formarsi i suoni e su come vorresti che si fondessero insieme, è quasi come se creassi un desiderio anticipatorio di una nota”, ha spiegato Valorie Salimpoor, che ha condotto la ricerca. “Quando ascolti musica, non la ascolti in tempo reale, soprattutto per una canzone che ti piace. Di solito sei qualche secondo avanti rispetto alla musica stessa, ma hai ancora bisogno di sentirla, hai bisogno di quella stimolazione uditiva, è qui che entra in gioco il piacere. È l’aspettativa che trova conferma”. Poiché la musica è un insieme di singole note organizzate nel tempo (infatti non troveremmo piacevole ascoltare una singola nota), i ricercatori hanno concluso che è la componente temporale a rendere l’esperienza di ascolto così piacevole. “In un certo senso è un po’ come un ottovolante, perché ci vai sopra per provare emozioni e sentimenti, ma è perfettamente prevedibile”, ha detto Salimpoor. “Sai cosa succederà, ma ti sorprende ancora e ti godi ancora quella sorpresa.”

Tecnicamente, le persone potrebbero ascoltare la loro parte preferita della canzone più e più volte, ma nessuno lo fa perché l’accumulo di attesa è ciò che è importante, è qui che nasce il piacere che deriva dall’ascolto della musica. Valorie Salimpoor ha svolto un esperimento che consisteva nel visualizzare l’attività del nucleus accumbens (un’area cerebrale coinvolta nei meccanismi di ricompensa), allo scopo di prevedere se i soggetti coinvolti sarebbero stati disposti a pagare pur di poter ascoltare un determinato pezzo che conoscevano. Il risultato è andato oltre, dimostrando che l’aspettativa della gratificazione non riguardava solo pezzi conosciuti ma anche brani non noti per i quali tuttavia veniva messo in atto un meccanismo di “conoscenza implicita” derivante da una interiorizzazione della struttura musicale, formata dalle esperienze accumulate, secondo la quale ascoltando una parte di un brano la nostra mente si costruisce un’aspettativa di quello che sarà il suo proseguimento e la sua godibilità.

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