TRIBOLAZIONI 23
Buonsenso
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A cosa giova lo sviluppo del buon senso se rappresenta una spinta verso il conservatorismo e dunque un freno allo sviluppo, al cambiamento e all’adattabilità del gruppo stesso all’ambiente?
Abbiamo visto più volte nell’ambito di questo lavoro come scopi, credenze e modalità di funzionamento selezionatesi in quanto evolutivamente vantaggiose possano trasformarsi in trappole generatrici di tribolazioni. In questa prospettiva credo che vada analizzato il concetto molto diffuso, quanto poco definito di “buonsenso”.
E’ un costituente fondamentale del senso di appartenenza ai gruppi e più in generale alla specie umana ed in ciò consiste il suo pregio emotivo. Dall’altro lato ritengo il buonsenso una terribile semplificazione. Una procedura di ragionamento sommaria e automatica che spinge a soluzioni rapide ma imprecise. Induce al conservatorismo che è l’esatto contrario della flessibilità cognitiva necessaria al cambiamento e al successo adattivo.
Sono frequenti i richiami all’uso del buon senso. Di fronte a sofferenze psicopatologiche ci viene da pensare che siano generate e mantenute dalla mancanza di buon senso.
Non è dunque inutile chiederci cosa sia e a cosa serva il tanto invocato buon senso.
In prima approssimazione sembra una sorta di saggezza spiccia applicata alla vita quotidiana. Un modo di pensare che, senza permettere alti voli teorici, conduce lungo il solco tracciato dalla moltitudine nella consuetudine. Per definire meglio il buon senso dobbiamo, tentarne una classificazione. Distinguiamo dunque un buon senso particolare o “minor” e un buon senso generale o “maior”.
Il “BS minor” è condiviso dagli individui che appartengono ad un particolare gruppo culturale (che siano nazioni, etnie, aggregazioni politiche e religiose o gruppi professionali). Comprende l’insieme di credenze e scopi sui quali si trovano d’accordo. Questo “BS minor” rappresenta il prodotto dell’adattamento di quel gruppo all’ambiente.
Sono le regole, trasmesse di generazione in generazione attraverso l’educazione, circa il funzionamento del mondo e degli esseri umani, ciò che è bene e auspicabile e ciò che è male e da evitare. Il BS minor è una spinta al conservatorismo in quanto rinforza i valori e le credenze che si sono dimostrati efficaci in passato e addita come prive di buon senso le novità. Se dovessimo esprimerlo in termini matematici lo diremmo “la tendenza centrale all’interno del pool culturale di un dato gruppo”. Delle tre forme con cui si esprime la tendenza centrale quella più idonea a definire il “BS minor” non è tanto la media o la mediana, quanto piuttosto la moda, intendendo con ciò le credenze e gli scopi più presenti nel gruppo.
A cosa giova lo sviluppo del buon senso se rappresenta una spinta verso il conservatorismo e dunque un freno allo sviluppo, al cambiamento e all’adattabilità del gruppo stesso all’ambiente?
Quali i vantaggi?
Si consideri che la maggior parte degli scambi interpersonali di un essere umano avviene all’interno del suo gruppo di appartenenza. Il “BS minor”, costituendo una sorta di baricentro culturale condiviso, un massimo comun denominatore, consente di aumentare la reciproca prevedibilità, sapere cosa ci si può aspettare dall’altro e risparmiare tempo negli scambi. Tale effetto facilitatore nelle relazioni lo si apprezza per difetto quando ci troviamo in una cultura diversa dalla nostra. Al di là dei problemi linguistici, rischiamo continuamente gaffes o equivoci perchè non diamo per scontate le stesse cose dei nostri interlocutori.
Il “BS minor” determina il senso di appartenenza ad un gruppo, ne costituisce l’identità e facilita gli scambi tra i suoi membri. Più un individuo è aderente ai valori del gruppo, più lo si ritiene dotato di buon senso. Raramente tali individui saranno innovatori o rivoluzionari. Raramente si spingeranno e trascineranno gli altri verso nuove frontiere. Resteranno piuttosto a guardia della tradizione.
Sono, per dirla con Lakatos (Lakatos, Musgrave 1970), le sentinelle, schierate sugli spalti della cintura protettiva a difesa del “nucleo metafisico” cuore pulsante dell’identità del gruppo.
Il condensato del “BS minor” lo troviamo nei proverbi che sono i pregiudizi più diffusi e condivisi. Proprio perchè rappresentano dei valori modali tra le credenze più diffuse, non deve meravigliare che a volte convivano proverbi contraddittori: ciò indica soltanto che è presente un andamento bimodale circa certi temi.
Nella nostra cultura ad esempio.
“chi fa da sé fa per tre” ma anche “l’unione fa la forza”.
“chi troppo vuole nulla stringe” ma anche “la fortuna premia gli audaci”.
“chi ben comincia e a meta dell’opera”, come anche “il buongiorno si vede dal mattino” ma anche “ il veleno è nella coda”.
“la gatta frettolosa fece i gattini ciechi”, ma anche “chi ha tempo non aspetti tempo”.
“ chi semina vento raccoglie tempesta” contro “ chi mena per primo, mena due volte”.
Oltre ai proverbi sono una miniera del “BS minor” le favole e le storie. Si pensi nella nostra cultura ad Esopo e Fedro, che descrivono alle nuove generazioni come gli adulti pensano che vada il mondo, trasformandosi spesso in profezie che si autoavverano.
La maggior parte dei proverbi e delle favole hanno come oggetto le relazioni sociali (i rapporti di rango, le regole nei rapporti tra le diverse generazioni e tra i sessi). L’ambiente in cui vive l’uomo è soprattutto sociale e per cavarsela la cosa più importante è sapere come comportarsi con gli altri e come gli altri si comporteranno probabilmente con te. L’oggetto del “BS minor” è dunque prevalentemente la cognizione sociale. Il compito di descrivere i contenuti del “BS minor” è improponibile perchè si differenzia da gruppo a gruppo e cambia nel tempo anche nella stessa cultura. Resta compito di ogni singolo operatore della salute mentale rendersi conto di quale sia il “BS minor” del gruppo nel quale si trova ad operare. Soprattutto allo scopo di rendersi conto che tali credenze sono certamente attive anche in lui e spesso in modo inconsapevole. Quando sono tali credenze ad essere disfunzionali e patogene sarà difficile identificarle e metterle in discussione perchè ritenute ovvie e scontate.
In ossequio alla smania classificatoria avevamo detto della possibilità di distinguere due tipi di buon senso. Oltre al campanilistico, provinciale “BS minor” possiamo identificare anche il buon senso “maior”.
Non è patrimonio esclusivo di un sottogruppo culturale ma di tutta la specie “Homo sapiens sapiens”. Comprende particolari strategie di elaborazione cognitiva (euristiche), scopi e credenze che si sono dimostrate evolutivamente vantaggiose.
Il “BS maior” è sovraordinato al minor, lo comprende e quest’ultimo ne costituisce un caso specifico, un adattamento.
Se immaginiamo l’umanità tutta come un gruppo che vive in un piccolo, seppure planetario, villaggio globale, possiamo dire che il “BS maior” altro non sia che il “BS minor” di questo particolare gruppo.
Del minor ha gli stessi pregi e difetti a livello però di tutta l’umanità. Facilità la comunicazione e la prevedibilità reciproca in virtù della condivisione di fondamenta comuni. Fa gioiosamente sentire meno soli nell’universo. Tuttavia induce un antropocentrismo orgoglioso e miope e spinge a reiterare le soluzioni (valori, scopi e credenze) che si sono rivelate efficaci nel passato piuttosto che immaginarne di nuove. E’ stabilità e, come tale, sicurezza e vincolo ad un tempo.
Anche scopi e credenze del “buon senso maior” possono essere causa di sofferenza psicologica. Il fatto di essere state evolutivamente selezionate non ne garantisce la funzionalità nel presente.
Si tenga conto che tale pool di credenze si è sviluppato per fronteggiare un ambiente molto diverso dall’attuale. Infestato di pericolosi predatori, in cui gli umani vivevano facendo i cacciatori e i raccoglitori ed avevano una aspettativa di vita brevissima il che, ad esempio, modifica tutte le valutazioni di convenienza rispetto all’attuale.
A proposito della possibile disfunzionalità di tale “Buon senso”, si aggiunga che credenze che si sono dimostrate utili alla specie per centinaia di migliaia di anni sono ormai parte del patrimonio genetico e come tali del tutto automatiche, inconsce, irriflesse e dunque difficilissime da vedere, criticare ed infine modificare.
Il compito descrittivo che ho definito impossibile per i numerosi BS minor, posso tentarlo per questi apriori che costituiscono il “BS maior”. Patrimonio dell’umanità tutta, sebbene non riconosciuto dall’UNESCO. Eccone alcuni esempi. Elencherò prima quelli concernenti la realtà fisica e successivamente quella psichica.
1. Alla base del ragionamento scientifico ma anche di quello comune sta spesso una premessa causalistica e cioè che tutto debba avere una causa. Ciò è probabilmente mutuato dal mondo della fisica ma viene applicato costantemente a tutti gli eventi della vita. Forse nell’illusione consolatoria che se tutto avesse una causa e se potessimo controllarla, allora potremmo gestire gli eventi, eliminando l’intervento del caso che rende impotenti.
2. Persino peggiore del causalismo è il diffuso atteggiamento finalistico secondo il quale le catene di eventi sono finalizzate ad uno scopo, sono cioè teleologicamente orientate. Forse sentirsi all’interno di un disegno intelligente e intenzionale fa sentire meno soli e più protetti. Ma è evidente che la finalità è un’attribuzione a posteriori fatta da chi non accetta che non ci sia alcun senso, alcuno scopo, nessuna direzione (Hume 1980).
3. In conclusione si è affetti da panspiegazionismo per cui gli eventi debbono avere una spiegazione o nelle cause o negli scopi. Che non ci sia senso e che non si sia il centro dell’universo sembra dare estremamente fastidio e sgomento. L’affermazione che la specie umana sia il vertice dell’evoluzione è autoreferenziale e goffamente antropocentrica. Se si andasse al voto per eleggere un presidente mondiale avendo ciascun vivente diritto ad un voto, sarebbe certamente eletto un qualche batterio frequentatore di intestini. E non si dica che …però la cultura umana…. le grandi opere d’arte…… ecc…ecc… Chi è il giudice terzo che valuta imparzialmente?
4. Una premessa da cui si parte è che gli organi di senso siano affidabili più dei ragionamenti “l’ho visto con i miei occhi!” “l’ho toccato con le mie mani!”. Questa sicumera sensoriale è probabilmente utile a muoversi nel mondo senza incertezze ma induce a non tenere conto delle numerose illusioni percettive che psicologi e neuroscienziati hanno minuziosamente descritto (Gregory 1989). A questo proposito, è interessante notare come tali errori si impongano pervicacemente anche quando se ne sia perfettamente a conoscenza.
5. Un’ altra premessa condivisa è che gli oggetti fisici siano collocati in uno spazio tridimensionale in cui ci sia “un sopra e un sotto”, “un avanti e un dietro” “una destra e una sinistra”. E, forse per analogia, che gli eventi siano collocati lungo una dimensione temporale che prevede un prima e un dopo..
Certo delle critiche che staranno sorgendo nella mente del lettore mi preme sottolineare che sto descrivendo semplicemente gli apriori del modo di ragionare umano. Il fatto che si siano sviluppati perchè utili ed efficaci per la sopravvivenza lo ritengo verosimile e anche che ciò sia avvenuto perchè corrispondono al modo in cui è ordinata la realtà fisica. Ma ciò, per questo ragionamento, poco importa. Sta di fatto che questi apriori ovvi hanno reso difficile per millenni pensare a geometrie non euclidee o alla teoria della relatività. Orientano e guidano. Ma altresì limitano e accecano.
Il “Buon senso maior” forse più interessante nella genesi e nel mantenimento della sofferenza psicopatologica e delle tribolazioni concerne scopi e credenze sulla vita mentale. Una lunga serie di pregiudizi guidano valutazioni e azioni. Provo ad elencarne alcuni:
1. Il primo riguarda la vita stessa considerata un valore in sé, per cui esistere è giudicato preferibile a non esistere e il piacere, segnaletica dell’esistenza, preferibile al dolore, messaggero di morte. Affermazione anche metodologicamente scorretta perchè il giudizio preso in considerazione è sempre espresso da un appartenente alla categoria degli esistenti ed è dunque di parte.
2. Forse per estrapolazione dai ritmi della natura e dai cicli biologici, si tende a pensare che gli stati si alternino e che dopo il male venga il bene e viceversa. Mentre è evidente che dopo il male può venire il peggio e poi il peggio ancora. Sembra ci sia una propensione a ragionare in termini di meccanismi ciclici, ricorsivi, a tendenza omeostatica piuttosto che in termini di fuga definitiva dall’equilibrio.
3. Tale atteggiamento applicato alle questioni logiche e psicologiche fa ritenere che ogni cosa abbia il suo contrario e, in aggiunta, che se una cosa è vera, il suo opposto debba essere necessariamente falso (su questo è costruita la logica aristotelica). La conseguenza è che esista una verità oggettiva, esterna e indipendente dai soggetti e che quindi qualcuno abbia torto e qualcun’altro ragione. In campo morale ciò si rappresenta con l’idea che esistano regole valide per tutti a cui attenersi.
4. Infine si agisce secondo il pregiudizio dell’invarianza che spinge a credere che il mondo tenda a ripetersi sempre uguale e dunque sia possibile farne esperienza e apprendere.
Gli apriori che abbiamo fino ad ora descritto si combinano con delle preferenze generando comportamenti nella vita quotidiana e nella psicopatologia (che Freud aveva saggiamente avvicinato in un notissimo volume) che appaiono ad un tempo bizzarri, irrazionali e, contemporaneamente, tipicamente umani. Molti dei quali già esaminati nei paragrafi precedenti come causa di tribolazioni varie. Ne elenco nuovamente i principali.
1. L’idea di sè e degli altri tende a non essere complessiva. Si tengono capitoli separati e, ad esempio, l’autostima è fatta di pezzi diversi e si ha difficoltà a fare un bilancio unitario. Perdite in un settore debbono essere compensate con guadagni nello stesso settore, non valgono contributi esterni. Se si ha un insuccesso sul lavoro, ci si deve rifare lì, costi quel che costi. Non valgono a far quadrare il bilancio i successi come padre o i progressi spirituali.
2. Si tendono ad evitare le decisioni conflittuali preferendo sbagliare piuttosto che sopportare il disagio dell’incertezza e la responsabilità della decisione. Perciò si tende ad evitare gli estremi e collocarsi su posizioni mediane (cosa ben nota ai politici e ai venditori che compilano i listini dei prezzi dei prodotti). Oltre che centristi si è anche conservatori e si reiterano le scelte passate probabilmente per non prendere atto di avere sbagliato e salvaguardare dunque l’autostima. Meglio continuare a sbagliare che ammetterlo.
3. Tutto quello che si è fatto e si possiede sembra più importante e di valore di ciò che non si è fatto e non si possiede.
4. L’importante è salvaguardare il proprio benessere psichico anche al prezzo di pesanti autoinganni e fallimenti reali.
5. Spaventati da un mondo caotico su cui non si ha controllo, si tende a vedere ordini e nessi anche dove non ce ne sono affatto. Si ha un pregiudizio di ordine e prevedibilità sulla realtà. Si costruiscono spiegazioni, significati, consequenzialità e nessi per limitare la confusione caotica e senza senso (Gilovich et al. 1985; Guala 2006). Qui sta l’origine del pensiero magico e dell’illusione di controllo tanto presenti nelle patologie ansiose.
6. Sviluppatisi in un contesto ambientale in cui la conservazione dei beni era assolutamente precaria e la durata stessa della vita breve e incerta, i pregiudizi del BS maior spingono a preferire l’uovo oggi alla gallina domani perchè in quell’antico contesto non era affatto certo che domani la gallina ci sarebbe stata ancora e neppure che ci sarebbe stato il soggetto stesso. Forse non è utile rispetto alla mentalità progettuale e assicurativa oggi dominante ma il nostro progenitore cacciatore e raccoglitore puntava ad un godimento immediato e certo.
7. Al contrario se si tratta di dar via qualcosa si preferisce dar via l’uovo subito e rischiare tenendoci la gallina per domani. Si vuole concludere rapidamente e con certezza le acquisizioni, anche se ciò significa rinunciare ad incrementarle. Mentre si rimanda la definizione di una perdita. Probabilmente anche in questo caso si è più motivati a mantenere il benessere psicologico che a raggiungere il risultato migliore. Si preferisce vedersi vincenti invece che perdenti, più che vincere e perdere realmente (Tversky, Kanheman (1991). Sempre la salvaguardia del benessere emotivo spiega perchè si preferisca sbagliare per omissione piuttosto che per azione. A fronte dello stesso danno quello che sembra interessare è non averne la responsabilità. Per questo si tende a non modificare il corso delle cose comportandosi da conservatori. Si vuole a tutti i costi evitare il senso di colpa ed il rimpianto seppure in modo diverso. Rispetto al passato prossimo si hanno più rimorsi che rimpianti mentre rispetto al passato remoto, più rimpianti che rimorsi (i reati sembrano cadere in prescrizione, le omissioni no)
8. Si è alla ricerca della felicità ma non c’è uno strumento interno per misurarla e ci si deve accontentare di valutazioni comparative frutto di un doppio confronto:
– diacronico: tra come si sta adesso rispetto a come si stava prima
– sincronico: sè e i propri vicini.
Quindi paradossalmente sta meglio chi ha 100 e prima aveva 70 da chi ha oggi 150 e prima aveva 250. E ancora sta meglio chi ha 100 in una comunità in cui tutti hanno 70 da chi ha 200 in una comunità in cui tutti hanno mediamente 230.
Tutti questi modi di ragionare che abbiamo visto essere spesso fallaci e causa di tribolazioni, si sono selezionati in un ambiente diverso dall’attuale. Hanno il pregio di essere automatici e rapidissimi salvando la pelle in situazioni di emergenza.
Per concludere possiamo dire che il buonsenso sia quello che minor che quello maior, siano strumenti utili per la sopravvivenza e il senso di appartenenza in situazioni di contesto stabile ma diventino un ostacolo quando si debbano affrontare problemi nuovi e ragionare liberi da pregiudizi.
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