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Cosa si nasconde dietro il perverso?

La perversione è caratterizzata da una distruttività nei confronti dei propri simili attraverso pensieri e azioni di carattere maligno.

Di Daniela Carnevale

Pubblicato il 07 Nov. 2017

Ciò che costituisce l’ essenza della perversione, clinicamente intesa, non è costituito da un atto o da una fantasia, ma dal significato degli stessi in rapporto alla propria persona e alle altre persone, alla organizzazione di base della personalità. Nella perversione propriamente detta, centrali sono la rigidità degli atti e delle fantasie, l’erotizzazione degli stessi, la scissione dell’Io, la perdita della percezione del proprio corpo come parte del Sé, l’idealizzazione delle difese perverse e il continuo tentativo di sedurre le parti sane della personalità e di trasformare gli altri, compreso l’eventuale terapeuta, in oggetti di una rappresentazione interna.

 

Oggi, che idea precisa si ha del perverso? La risposta che spesso viene attribuita al perverso è: colui che è volto al male, che è incline ad azioni malvagie.

Ma chi è il perverso? Il perverso è quel soggetto che sviluppa una distruttività nei confronti dei suoi simili attraverso pensieri e azioni di carattere maligno.

La perversione secondo il modello freudiano

Nel modello Freudiano la perversione è descritta come parte della pulsione e componente essenziale ai fini dello sviluppo psicosessuale. Nel libro “Tre saggi sulla teoria sessuale” (1905), Freud classifica le varie forme patologiche della perversione sessuale distinguendole in aberrazioni riguardanti la meta (esibizionismo, voyerismo, sadismo e masochismo) e aberrazioni riguardanti l’oggetto sessuale (omosessualità, pedofilia, zoofilia). Descrive inoltre le diverse pulsioni parziali, corrispondenti a diverse zone erogene, le quali si sottometteranno in seguito (a conclusione del processo di sviluppo psicosessuale) al primato genitale.

Il fallimento di questo processo determina un conflitto che può essere di due tipi: nevrotico o perverso. Da qui la nevrosi, diventa il negativo della perversione. Per S. Freud, la perversione fa parte dello sviluppo psicosessuale normale, ma dalla pubertà in avanti può assumere una forma patologica a seconda di quanto il nuovo scopo sessuale (perversione) si allontani dalla normalità.

S. Freud, ha più volte dimostrato che un ruolo importante per la formazione di sintomi perversi, sono i meccanismi della fissazione e della regressione libidica, nel determinare il raggiungimento del piacere sessuale attraverso istinti parziali con oggetti parziali.

La caratteristica fisiologica della vita sessuale infantile è l’autoerotismo che viene utilizzato per dare soddisfazioni a pulsioni parziali e indipendenti tra loro. Il risultato finale dello sviluppo affettivo è riflesso nella vita sessuale adulta, dove il piacere è raggiunto attraverso la soddisfazione delle pulsioni genitali tramite la presenza di un oggetto sessuale esterno.

Fattori di tipo costituzionali (interni) o tipo ambientali (esterni) possono influenzare il normale sviluppo della vita sessuale infantile, e consente che ogni fase raggiunta diventi un punto di fissazione libidica. L’individuo, essendo fortemente incline dopo la pubertà a regredire allo stadio di fissazione, sarà impedito nel raggiungimento dell’unificazione degli istinti parziali e delle attività con cui soddisfarli. La comparsa dei sintomi perversi in età adulta sarà uno degli effetti prodotti dall’alterato processo di crescita psicosessuale.

Nei perversi, l’esistenza di una disposizione costituzionale molto arrendevole alla soddisfazione degli istinti sessuali perversi poliformi (disposizione polimorfamente perversa) è una delle cause interne responsabili della deviazione dello sviluppo della sessualità.
Si tratta di soggetti, inclini anche in età adulta a ricercare il piacere mediante la soddisfazione di impulsi parziali mostrando scarsa resistenza agli eccessi sessuali normalmente imposta dalla morale ed etica.

La perversione secondo Khan

M. Khan (1979), psicoanalista inglese, osserva che la qualità della relazione madre-bambino, vissute dalla prima infanzia è uno degli elementi ambientali che assume il peso nel condizionare negativamente lo sviluppo psicosessuale.

Egli, partendo dal concetto di “oggetto transizionale” di D.Winnicott (1951) e dal ruolo svolto dall’erotizzazione delle pulsioni sessuali parziali di S.Freud (1905), formula il concetto di “oggetto interno composito”, per spiegare la realtà interna del pervertito derivata dalla relazione oggettuale primaria, da cui scaturisce la futura modalità di entrare in rapporto con gli oggetti della sua esistenza. Quindi, l’oggetto interno composito, svolge un ruolo normalmente assunto dall’oggetto transizionale nella formazione del mondo intrapsichico dell’individuo e del suo modo di entrare in contatto con la realtà esterna. L’oggetto transizionale è qualcosa di esterno, e resta all’esterno come un’entità in sé, pur essendo sottoposta all’onnipotenza immaginativa psichica dell’esperienza infantile. Questo stadio primitivo dello sviluppo, è reso possibile dalla speciale capacità della madre di adattarsi ai bisogni del piccolo, permettendogli l’illusione che quanto egli crei esista realmente.

Nella realtà sperimentata da un potenziale perverso, tutti questi fattori sono rovesciati. Egli, deve affrontare fin dall’inizio cure materne non adattate. La madre si prodiga intensamente alla cura del bambino, ma in modo impersonale.
Il bambino è considerato dalla madre come una “cosa di propria creazione”, non una persona in formazione, con propri diritti. A causa di questo comportamento materno, il bambino inizia molto prematuramente, a percepire che ciò che è la madre, che lo investe pulsionalmente e di tutto il proprio affetto, non è lui come persona globale, ma solo gli aspetti di lui (le funzioni dell’Io e l’Io corporeo).
Nel periodo seguente, il bambino interiorizza il Sé, come una “cosa” creata dalla madre. Queste esperienze deformano l’Io del bambino impedendone uno sviluppo integrato.

M. Khan, osserva che l’Io perverso sarà il risultato di un collage: lo sviluppo delle funzioni dell’Io e quello istintuale procedono parallelamente e distintamente in assenza dell’investimento della parte emotiva esperienziale. Questa tipologia di soggetti, si relazionerà con gli altri, oltre che per appagare i propri bisogni pulsionali, non per amare ed essere amati, ma per trovare un tipo di partecipazione che trasformerà quanto è estraneo al proprio Io in qualcosa di collegato con l’Io.

A causa della delusione primaria sperimentata, nel perverso il rapporto con l’altro sarà finalizzato sempre a ricercare uno stato di illusoria unità, in cui l’altro comprenda, compatisca, e appaghi tutti i bisogni del proprio Io e tutte le proprie tensioni istintuali. Cosi la dipendenza oggettuale si traduce nel costringere l’oggetto ad adattarsi.

L’altro, sarà qualcuno che, seconda la realtà intrapsichica del perverso, dovrà essere acquiescente al punto tale da essere ridotto a cosa inanimata e realizzare con lui una vera e propria identificazione. Da qui la necessità del perverso, di realizzare l’oggetto interno composito in sostituzione di un oggetto transizionale. L’oggetto interno composito, a differenza di quello transizionale, è qualcosa di intrapsichico, e da ciò deriva una continua pressione interna che va esternata, con l’evento sessuale.

Il funzionamento psichico del perverso

J. Bergeret (1996), psicoanalista francese, che si è occupato degli stati –limite, asserisce che ogni forma di patologia perversa, ha una forma di organizzazione di personalità di tipo stato-limite, definendole tali personalità “astrutturazioni” e collegandole in una categoria nosografica intermedia tra quella nevrotica e quella psicotica.

Egli, propone il termine di “perversità” al posto di quello di “perversione”; la perversità si riferisce alla patologia del carattere, somigliante alla personalità nevrotica per livello di maturità ma con caratteristiche di fragilità narcisistica, inducendo il soggetto a un massiccio uso di difese, per scongiurare lo scompenso psichico, al contrario della perversione che ha una struttura di personalità organizzata in modo perverso e analoga a quella psicotica, sia dalla solidale struttura che nell’assetto difensivo.

J.Bergeret, considera il dinamismo perverso una dimensione interiore, che non consiste nell’imporre al soggetto un comportamento piuttosto di un altro, ma essenzialmente nel condizionarlo dall’interno.
Paul-Claude Racamier, psicoanalista francese in “Il genio delle origini. Psicoanalisi e Psicosi” (1992), collega la perversione al disturbo narcisistico e pone all’ origine del disturbo narcisistico una perversione relazionale.

Sia il narcisista che il perverso negano la separatezza, trattano l’altro come oggetto da controllare. Le relazioni non sono tra soggetti, sono relazioni di potere. Il carattere narcisista viene posto in relazione al mancato riconoscimento infantile del bambino come soggetto, a processi intrusivi e di
appropriazione che distorcono lo sviluppo psico-affettivo e psicosessuale.

Parlando della perversione relazionale egli dice: “Non sessuale, non morale, non erotica, ma narcisistica”. Per Racamier il trionfo del perverso sull’oggetto è di tipo difensivo, serve a negare il bisogno di oggetti esterni e la dipendenza da essi, a trionfare sulle angosce di morte. Il “vuoto” viene posto negli altri, la difesa è dal dolore psichico collegato al lutto e al conflitto. L’importante è confondere, disorientare, tenere sotto scacco. Il coinvolgimento affettivo è evitato in quanto vissuto come minaccia all’integrità di un Sé precario, vanificazione delle pretese di autosufficienza.

Per Racaimer, il vero perverso, non agisce mai apertamente ma lo fa sempre in modo velato, subdolo e insidioso; la modalità con cui entra in contatto con la mente dell’altro è raffinata e poco trasparente. La migliore condotta del perverso, è quella manipolatoria, cioè dominare l’altro attraverso il controllo della sua autonomia morale e mediante la presenza dei suoi tratti narcisistici manifestati con la grandiosità. Il pensiero del perverso è basato sull’agire e sulla manipolazione.

Per l’autore, il pensiero del perverso mette in atto un vero e proprio dirottamento dell’intelligenza altrui, e lo fa trasmettendo il non pensiero. Se normalmente il pensiero permette la costruzione di collegamenti tra i contenuti logici, la creazioni di interferenze tra le idee, il pensiero perverso mira all’opposto e cioè opera solo per allentare e disconnettere i nessi logici. È un gioco della destrutturazione del pensiero, è l’antitesi del pensiero. Il perverso, in questo modo raggiunge l’obiettivo di infliggere una notevole sofferenza psicologica alla vittima.

Riassumendo ciò che costituisce l’ essenza della perversione, clinicamente intesa, non è costituito da un atto o da una fantasia, ma dal significato degli stessi in rapporto alla propria persona e alle altre persone, alla organizzazione di base della personalità. Nella perversione propriamente detta, centrali sono la rigidità degli atti e delle fantasie, l’erotizzazione degli stessi, la scissione dell’Io, la perdita della percezione del proprio corpo come parte del Sé, l’idealizzazione delle difese perverse e il continuo tentativo di sedurre le parti sane della personalità e di trasformare gli altri, compreso l’eventuale terapeuta, in oggetti di una rappresentazione interna.

Solo una minima parte di soggetti perversi richiedono il trattamento. Quando vi è richiesto significa che il livello dell’ansia, della depressione o dei sintomi ossessivi sono troppo elevati.

Può accadere, che richiedano l’intervento terapeutico sia per confermare a loro stessi e agli altri di essere malati, sia per far credere ai familiari di essere realmente intenzionati a compiere un percorso terapeutico.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Filippini S., (2005), Relazioni perverse. La violenza psicologica nella coppia. Edizioni Franco Angeli, Milano.
  • Freud S., (1905), Tre saggi sulla teoria sessuale, OSF, vol.4, Bollati Boringhieri, Torino.
  • Pietrini P., Casadei A., Chiricozzi F. (2011), Trasgressione, Violazione, Perversione. Eziopatogenesi, diagnosi e cura. Edizioni Franco Angeli.
  • Recaimer P.C. (1992), Il genio delle origini. Psicoanalisi e psicosi. Edizione Cortina, Milano.
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