L’evoluzione del metodo psicoanalitico
Ovviamente sono tanti i testi che descrivono l’evoluzione storica del metodo psicoanalitico e diversi sono costruiti attorno alla narrazione dei casi clinici. Tuttavia, è molto originale l’idea da cui scaturisce questo volume, ovvero utilizzare i casi di dieci insigni terapeuti riguardanti dei bambini, per illustrare lo sviluppo della teoria e della tecnica. Si tratta di vicende la cui importanza storica è rilevante. La psicoanalisi è la disciplina che ha dato un rilievo assoluto ai primi anni di vita, la cui importanza in precedenza era assai sottovalutata o addirittura negata, ed è interessante conoscere come è avvenuto l’incontro concreto tra il mondo infantile e il setting analitico. Tra l’altro, soprattutto ai suoi albori, le osservazioni venivano svolte nell’ambito familiare e i bambini “trattati” sono figli o nipoti degli stessi analisti. Inoltre, si tratta di protagonisti involontari in quanto, ovviamente, nessuno di essi aveva richiesto di essere sottoposto a procedimento psicoanalitico.
L’autore del libro è Marco Innamorati, docente di Psicologia dinamica e dello sviluppo, Psicodinamica dello sviluppo e delle relazioni familiari e Filosofia della scienza presso l’Università di Roma “Tor Vergata”, dove coordina il corso di laurea in Scienze dell’educazione e della formazione. Ha pubblicato numerosi volumi tra cui “Storia critica della psicoterapia” (2020, Cortina) con R. Foschi, “Riprendere Jung” (2000, Bollati Boringhieri) insieme a Mario Trevi e altri contributi scientifici tradotti in diverse lingue.
Il piccolo Hans
I dieci bambini raccontati nel volume hanno avuto analisti di eccezione. Si parte ovviamente dal piccolo Hans curato da Sigmund Freud. In realtà, si può affermare che sia anche il primo caso di terapia familiare, in quanto, come è noto, fu il padre a intervenire sul figlio, seguendo le indicazioni del maestro viennese. E diverse sono le annotazioni possibili di tipo relazionale. Ad esempio, Freud comprende perfettamente il significato relazionale del sintomo e la possibilità di ottenere vantaggi secondari attraverso esso (stando male Hans può dormire più facilmente con la madre) ed anche quanto le parole e i comportamenti dei genitori possano influenzare l’accentuazione del sintomo. Non si tratta invece di un sistema neutrale. Oggi ci saremmo infatti chiesti quanto conti che il padre sia un allievo di Freud e che la madre sia stata una sua ex paziente. Non a caso, l’osservazione di Hans da parte del padre inizia prima che compaia la fobia. Essa fa la sua presenza all’improvviso, quasi come in una costruzione teatrale, un colpo di scena. È invece meno noto che Freud entri nella vita di Hans sin dalla sua nascita. Il padre gli chiese se, per evitare l’antisemitismo, non fosse opportuno evitare la circoncisione al bambino. Freud rispose affermando che, privandolo del rapporto con le sue origini, lo si sarebbe privato dell’energia vitale necessaria. Da adulto, Hans Graf diventerà uno stimato regista teatrale, direttore dell’Opera di Zurigo. L’importanza del caso fu rilevantissima, non solo sul piano clinico ma anche teorico, in quanto giunse a conferma delle ipotesi di Freud, nate dall’analisi di adulti, ma relative al mondo psichico dei bambini. Esso infatti non dimostrava soltanto l’esistenza e lo sviluppo del complesso edipico, e il suo modo di operare nel bambino, ma dimostrava anche che le tendenze inconsce ad esso connesse potevano essere portate alla coscienza, finanche nei bambini, senza alcun danno ma anzi con grande beneficio.
il caso di Albert B.
Il libro di Innamorati prosegue con il caso di Albert B., presentato da Watson nel 1920. Stavolta ovviamente non si tratta di psicoanalisi ma è indubbio che esso ne abbia influenzato la sua evoluzione storica. Il successo delle prime terapie cognitivo-comportamentali contribuì certamente a indicare agli psicoanalisti la necessità di un maggiore rigore scientifico, controllando i propri risultati, senza basarsi solo su dati clinici ma anche su osservazioni più ampie. Comunque, questo studio famoso ma controverso, dove in pratica furono indotte delle fobie ad un bambino, dimostra quanto non solo la psicoanalisi ma anche le altre teorie psicologiche in passato fossero del tutto inadeguate dal punto di vista etico e simili ricerche oggi non rientrerebbero certo nella “buona scienza”.
Il caso di Fritz di Melanie Klein
Analoghe considerazioni possono essere fatte per la terza vicenda, laddove Melanie Klein prende come oggetto di studio il proprio ultimogenito Erich, nominato poi Fritz. Tuttavia, proprio da questa singolare esperienza analitica, condotta inizialmente con obiettivi educativi, Klein ricaverà i due principi tecnici cardini della sua metodologia con i bambini, ovvero l’osservazione del gioco come mezzo per comprendere i conflitti inconsci, sostituendo le libere associazioni, e la possibilità di utilizzo di interpretazioni esplicite e profonde per alleviare l’angoscia. Erich Klein cambiò il suo nome in Eric Clyne dopo l’Anschluss, per evitare di essere ancora identificato come ebreo e subire le conseguenze dell’odio antisemita. Rievocando la propria singolare esperienza raccontò che la madre dedicava un’ora alla sua analisi la sera prima di addormentarlo e che, pur non trovando l’esperienza piacevole, non ha mai serbato rancore verso la madre.
La storia di “Piggle”
Si rimane in ambito anglosassone nel quarto capitolo, ma stavolta si tratta di un caso che avviene al termine di una brillante carriera. Infatti, Il libro di Winnicott che racconta la storia di “Piggle” fu pubblicato postumo nel 1977, quasi a compendio della sua opera. Anche per le capacità letterarie dell’autore il libro è stato molto letto ed ha largamente influenzato pediatri, pedagogisti e terapeuti britannici e non solo. Il percorso, in tutto sedici sedute, fu anomalo sia riguardo al numero di sedute che soprattutto a proposito dell’intervallo temporale tra una seduta e l’altra. Riguardo al destino da adulta di Piggle/Gabriella, diventerà una collega e nel 2015 alla sua analista americana racconterà di aver conosciuto Winnicott da bambina e di averne un vivo ricordo.
Gli ultimi casi
Altrettanto importanti gli altri sei casi narrati. Tra essi, la storia di Anne e sua madre, presentata da Kris nel 1951 all’interno dello studio di Yale, basato sull’osservazione prolungata di singoli bambini, successivamente riletta da Joseph Lichtenberg (1989), nell’ottica della sua teoria dei sistemi motivazionali. In questo modo, è possibile avere una duplice visione dello stesso materiale clinico. Poi vi è il lavoro di Margaret Mahler con le psicosi infantili, illustrato con il caso del piccolo Stanley, entrato in analisi a 6 anni e affetto da una memoria prodigiosa ma incapace della rimozione. Si prosegue con l’opera di J. Bowlby e J. Robertson, che registrarono l’osservazione di Laura, all’età di 2 anni e cinque mesi. Le riprese confluirono nel film A Two-Year-Old Goes to Hospital, proiettato la prima volta nel 1952 e destinato a lasciare un segno nella coscienza collettiva dell’ambiente medico britannico. Tra l’altro le considerazioni scritte da Bowlby a proposito della piccola Laura sono state fondamentali per la nascita della teoria dell’attaccamento, il suo contributo più importante e innovativo.
Completano il volume i capitoli dedicati a Selma Fraiberg, il cui lavoro è reputato fortemente sottovalutato; a Daniel Stern, che utilizza un escamotage letterario per narrare in prima persona Joey (1990), un bambino perfettamente normale ma immaginario, in modo da descrivere i temi fondamentali della sua visione dell’evoluzione psichica infantile; a Beatrice Beebe, che ha teorizzato una concezione sistematica dell’interazione della coppia analitica.