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Il piccolo Albert – I grandi esperimenti di psicologia nr. 1

L'esperimento del piccolo Albert sui principi del comportamentismo, quali il condizionamento, la generalizzazione, l'estinzione e il ricondizionamento

Di Alessia Offredi

Pubblicato il 18 Gen. 2016

#1: Il piccolo Albert (John B. Watson & Rosalie Rayner, 1920)

Con l’esperimento del piccolo Albert introduciamo una rubrica in cui vi presentiamo una serie di articoli relativi ai più grandi esperimenti in ambito sociologico e psicologico. Per fare ciò abbiamo cercato di risalire alle fonti originarie, ai primi articoli divulgati dagli autori. In questo modo sarà più facile vivere le loro scoperte a partire dalle loro stesse ipotesi e respirare un’aria in cui, liberi (purtroppo) da vincoli etici, tutto era possibile in nome della scienza.

 

#1: Il piccolo Albert (John B. Watson & Rosalie Rayner, 1920)

Jhon Broadus Watson, nato nel 1878, è conosciuto come il padre del comportamentismo. Siamo nel periodo in cui la psicologia adotta sempre di più una metodologia sperimentale che la avvicina alle altre scienze e l’importante diventa cogliere le relazioni tra ambiente e comportamento. Per questo motivo appena ottiene una cattedra alla John Hopkins University si fa allestire un laboratorio per lo studio del comportamento umano e animale. Negli anni del primo dopoguerra, la scienza psicologica fa i bagagli dal Vecchio Mondo e si trasferisce in America, dove troverà fertile terreno di studiosi pronti ad accoglierla.

Rosalie Rayner, classe 1898, è stata studentessa, collaboratrice e in seguito moglie di Watson. Non ancora sposati, hanno condotto l’esperimento noto come “Piccolo Albert”, dal nome del bambino partecipante allo studio, chiamato Albert B (da qui il nome dell’esperimento del piccolo Albert).

Torniamo quindi negli anni 20, cercando di capire quali erano i presupposti alla base dello studio. In letteratura il dibattito è relativo alla possibilità o meno di originare diversi tipi di risposte emotive nei soggetti, ma mancano ancora evidenze scientifiche a supporto di una posizione. Watson e Morgan hanno appena elaborato una teoria, che afferma che nell’infanzia vi è un limitato numero di pattern di risposta emotiva osservabili, riconducibili a paura, rabbia e amore. S’immaginano anche che sia possibile elicitare questi pattern con stimoli piuttosto semplici, mentre nell’adulto la situazione sembra essere molto più complessa e quindi più difficile da studiare.

L’ipotesi di partenza afferma che nel bambino si possono introdurre, attraverso il condizionamento ambientale, nuovi stimoli in grado di suscitare una delle tre emozioni identificate. Casualità, l’emozione scelta per l’esperimento è la paura.

L’esperimento viene proposto a una balia dell’Harriet Lane Home for Invalid Children, da poco diventata madre di un bel bimbo sano e forte, su cui, affermano gli autori “ci sembrava che l’esperimento qui illustrato potesse arrecare un danno relativamente lieve”. Il piccolo Albert cresce all’interno dell’ospedale con la madre, quindi può essere facilmente a disposizione dei ricercatori.
A 8 mesi e 26 giorni Albert affronta il suo primo test, per verificare se un suono potesse elicitare paura. Uno sperimentatore distrae il bambino, mentre un altro colpisce una sbarra di ferro con un martello. All’inizio Albert sembra solo spaventato, ma alla terza volta che sente il rumore scoppia a piangere.

Dopo pochi giorni al bambino vengono proposti una serie di stimoli per scegliere quali utilizzare come target per suscitare reazioni di paura: un topo bianco, un coniglio, un cane, una scimmia, maschere con o senza i capelli, della bambagia, un giornale infuocato e molto altro. Albert passa a pieni voti questo test, non mostrando paura in nessuna delle situazioni presentate.
Questi dati preliminari fanno sorgere alcune domande nei ricercatori: possiamo suscitare paura di uno stimolo riscontrato come neutro (ad esempio il topo bianco) associandoci il rumore del martello sulla barra? Può questo condizionamento essere trasferito ad altri stimoli? Se si stabilisce in maniera stabile, come possiamo rendere quest’associazione reversibile? Da queste domande inizia la parte più interessante della procedura sperimentale. Gli autori hanno pubblicato i loro appunti presi in laboratorio:

11 mesi e 3 giorni
1. Il topo bianco viene mostrato a Albert. Lui cerca di raggiungerlo con la mano sinistra. Non appena lo tocca la barra viene colpita proprio dietro la sua testa. Il bambino ha sussultato ed è caduto in avanti con la faccia nel materasso. Non ha pianto, comunque.
2. Non appena la mano destra tocca il topo la barra viene nuovamente colpita. Il bambino sussulta di nuovo, cade in avanti e comincia a piagnucolare.

Per non traumatizzare eccessivamente il piccolo Albert, gli studiosi decidono di concedergli una settimana di pausa.

11 mesi e 10 giorni
1. Subito viene presentato il topo senza suono. C’era [da parte di Albert] una costante fissazione, ma non da subito la tendenza ad avvicinarlo. Il topo è vicino, iniziano tentativi di raggiungerlo con la mano destra. Quando il topo si avvicina alla mano sinistra, viene ritratta prima del contatto. Si è così visto che le stimolazioni della settimana precedente hanno avuto un effetto.

La presentazione dei due stimoli associati (topo + rumore) viene proposta 4 volte e seguita dalla presentazione del solo topo. Tutto questo viene ripetuto per due volte. Alla decima prova:

[blockquote style=”1″]non appena viene mostrato il topo il bambino comincia a piangere. Quasi immediatamente si gira verso sinistra, cade sul lato, si mette a gattoni e comincia a allontanarsi così rapidamente che viene fermato a fatica prima di raggiungere il bordo del tavolo.[/blockquote]

LEGGI ANCHE: Little Albert Experiment, un fumetto di Matteo Farinella

Little Albert Experiment, by Matteo Farinella 2012

Successivamente, gli autori scoprono che la risposta condizionata di paura è stata generalizzata agli altri animali, ma non solo: anche alla pelliccia e alla bambagia. Il condizionamento si è allargato includendo altri stimoli apparentemente simili al tatto, fino a comprendere i capelli di Watson e la maschera di Babbo Natale. Dopo circa tre mesi, all’età di 1 anno e 21 giorni, il piccolo Albert mostra ancora un’attivazione negativa, sebbene in misura ridotta, rispetto agli stimoli presentati. Gli autori concludono che queste esperienze potrebbero rivelarsi quindi stabili e modificare la personalità di Albert nel corso della sua vita.

Giunti a questo punto, Watson e Rayner vogliono verificare se sia possibile attuare il processo inverso, desensibilizzando il piccolo Albert nei confronti degli stimoli utilizzati. Tuttavia il bambino si allontana dell’Harriet Lane Home for Invalid Children, rendendo impossibile continuare la sperimentazione. Gli autori quindi espongono quali sarebbero stati gli step successivi, se ne avessero avuto la possibilità.

  • Esporre continuamente il bambino agli stimoli, con lo scopo di abituarlo alla loro presenza, fino a estinguere l’attivazione emotiva negativa ad essi connessa.
  • Tentare un “ricondizionamento” in cui venivano presentati gli stimoli utilizzati associandoli a una sensazione fisica piacevole, attraverso il contatto con zone erogene.
  • Associare agli stimoli non il rumore negativo, ma delle caramelle.
  • Utilizzare gli stimoli in maniera differente, svolgendo attività costruttive che prevedano un approccio diverso.

Il piccolo Albert per fortuna se n’è andato. Questo studio da pelle d’oca è condotto nel 1920 e sicuramente l’etica non è la prima preoccupazione nei laboratori delle università. In ambito psicologico l’esperimento del piccolo Albert è ampiamente citato e ovviamente criticato. Tanto che nel 1979 Harris pubblica un articolo dal titolo “Cosa è successo al piccolo Albert?”, denunciando il fatto che in diversi testi universitari non venivano esposti correttamente i dati dell’esperimento, tralasciando ad esempio i dettagli che potevano rendere lo studio eticamente inaccettabile o aggiungendo un lieto fine in cui Watson riesce a liberare Albert dalle paure apprese attraverso il condizionamento (Engle & Snellgrove, 1969; Gardiner, 1970; Whittaker, 1965).

Lo stesso Watson, in alcuni lavori (ad esempio: Watson & Watson, 1921) tralascia alcuni dettagli della sperimentazione condotta. Ad oggi questo studio mantiene il suo ruolo di punto di partenza per la corrente comportamentista che da lì si è sviluppata. Lungi dal voler difendere tale metodologia, occultare il passato o addolcire una sperimentazione non sono strade percorribili all’interno della comunità scientifica, tantomeno in professionisti in formazione, come è accaduto negli anni ’60 e ’70. Per questo il lavoro di Watson e Rayner è stato presentato così come loro l’hanno esposto nel 1920. Il piccolo Albert probabilmente non l’hanno più rivisto.

Guarda il video dell’esperimento:

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Engle, T. L., & Snellgrove, L. Psychology: Its principles and applications (5th ed.). New York: Harcourt, Brace & World, 1969.
  • Gardiner, W. L. Psychology: A story of a search. Belmont, Calif.: Brooks/Cole, 1970
  • Harris, B. (1979). Whatever happened to little Albert? American Psychologist, Vol 34(2), 151-160.
  • Watson, J.B. & Rayner, R. (1920). Conditioned Emotional Reactions Journal of Experimental Psychology, 3(1), 1-14.
  • Watson, J. B., & Watson, R. R. (1921). Studies in infant psychology. Scientific Monthly, 13, 493-515.
  • Whittaker, J. O. Introduction to psychology. Philadelphia, Pa.: Saunders, 1965.
  • John B. Watson. (2015). In Encyclopædia Britannica. Retrieved from: http://www.britannica.com/biography/John-B-Watson
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