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L’ approccio cognitivo-comportamentale tra i banchi di scuola: l’ Educazione Razionale Emotiva nel contesto scolastico

L' Educazione Razionale Emotiva nel contesto scolastico si configura come una strategia preventiva per il benessere emotivo di bambini e adolescenti.

Di Maddalena Malanchini

Pubblicato il 13 Mar. 2017

Aggiornato il 27 Set. 2019 14:39

Uno dei primi approcci preventivi, che è stato poi ampiamente applicato all’interno del contesto scolastico, è quello dell’ Educazione Razionale Emotiva, essa è una strategia preventiva che mira a favorire il benessere emotivo del bambino e dell’adolescente.

Maddalena Malanchini – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Milano

 

Contesto scolastico e sviluppo della persona

La scuola rappresenta per il bambino un “luogo di vita” in quanto contribuisce fortemente alla crescita e sviluppo della persona. Non si limita a dare un’istruzione, ma consente anche di comunicare e di costruire insieme, condividendo un percorso di vita (Oliverio, 2000).

Gli anni della scolarizzazione costituiscono un importante momento per lo sviluppo delle competenze sociali. Attraverso le relazioni con i coetanei, i bambini e gli adolescenti hanno l’opportunità di acquisire molte abilità, che possono essere apprese soltanto all’interno di questa specifica tipologia di rapporto: la capacità di leggere gli stati emotivi, le intenzioni e le motivazioni degli altri, le modalità di interazione, il rispetto e le regole della convivenza sociale (Schaffer, 1998).

Il contesto scolastico ha come compito principale quello di favorire l’adattamento degli alunni, e per fare questo deve aiutarli a rispondere sia alle sfide connesse all’apprendimento, sia a quelle legate alla gestione del proprio comportamento e alla costruzione delle relazioni con i pari, promuovendo lo sviluppo di abilità di tipo emotivo e sociale (Marini & Menesini, 2012).

 

I programmi di promozione della salute mentale nel contesto scolastico

Pertanto il contesto scolastico viene sempre più visto come un valido punto d’accesso per proporre interventi precoci e progetti di prevenzione per i ragazzi (Mifsud & Rapee, 2005). Infatti la presenza di programmi di promozione della salute mentale appositamente sviluppati per l’ambito scolastico determina un aumento delle opportunità di prevenzione e delle possibilità di accesso sia alle cure di base sia a servizi specialistici per i bambini che presentano difficoltà psicopatologiche. Inoltre tali programmi contribuiscono a ridurre il bisogno di interventi psichiatrici in fase acuta e smorzano lo stigma associato al trattamento (Armbruster, 2002).

Soprattutto in Paesi come gli Stati Uniti o l’Australia, la scuola è stata utilizzata come contesto preferenziale per intervenire con bambini e adolescenti a vari livelli: dalla promozione della salute, alla prevenzione primaria, fino alla presenza più recente dei servizi di salute mentale all’interno delle scuole; le diverse tipologie di programmi hanno condotto ad esiti positivi (Mifsud & Rapee, 2005).

Tuttavia ci sono alcune difficoltà riguardo all’implementazione dei programmi per il benessere psicologico all’interno del contesto scolastico, prima di tutto la fatica a collaborare tra personale scolastico e personale sanitario (Waxman et al. 1999) e la scarsa valutazione dell’efficacia degli interventi (Rones & Hoagwood, 2000; Evans, 1999).

Per questo motivo è importante che gli interventi proposti nelle scuole siano prima di tutto interventi dei quali è stata testata l’efficacia e che contengano all’interno degli stessi una parte dedicata alla valutazione degli esiti, al fine di proporre interventi sempre più ad hoc.

 

L’ Educazione Razionale Emotiva tra le materie scolastiche

Uno dei primi approcci preventivi, che è stato poi ampiamente applicato all’interno del contesto scolastico, è quello dell’ Educazione Razionale Emotiva (ERE). La prima sperimentazione avvenne negli anni ‘70 presso la scuola privata “The Living School”, che era presente all’interno dell’Istitute for Rational Emotive Therapy di New York di Albert Ellis, dove l’ Educazione Razionale Emotiva era considerata una normale materia curriculare al pari delle altre. Questa esperienza durò circa un decennio, dopodiché si decise di promuovere l’applicazione dell’ Educazione Razionale Emotiva anche in altre scuole dello Stato di New York e degli stati limitrofi. Negli anni ‘80 Mario Di Pietro e collaboratori hanno iniziato ad adattare l’ Educazione Razionale Emotiva al contesto scolastico italiano (Di Pietro & Dacomo, 2007).

L’ Educazione Razionale Emotiva è una strategia preventiva che mira a favorire il benessere emotivo del bambino e dell’adolescente; può essere intesa sia come prevenzione primaria che secondaria, in quanto interviene prima che si manifestino forme di disagio oppure sulle iniziali manifestazioni di malessere. E’ un percorso didattico derivato dalla Terapia Razionale-Emotiva, che si concretizza in un lavoro di “Alfabetizzazione Emozionale”, allo scopo di insegnare l’ “ABC” delle emozioni a bambini e ragazzi e in particolare il collegamento tra pensieri e emozioni, per favorire reazioni emotive equilibrate e funzionali (AA VV, 2013).

Una peculiarità dell’ Educazione Razionale Emotiva rispetto ad altri programmi che lavorano sulla dimensione emotiva, è l’accento posto sull’apprendimento di abilità metacognitive: mira a sviluppare la capacità di comprendere i meccanismi cognitivi che sono alla base dell’emozione, in modo da poter agire su di essi e quindi operare una trasformazione delle reazioni emotive spiacevoli e disfunzionali (Di Pietro & Dacomo, 2007).

 

Obiettivi ed efficacia della Educazione Razionale Emotiva nel contesto scolastico

Nel dettaglio, gli obiettivi con i bambini della scuola primaria comprendono: il riconoscimento corretto delle emozioni, l’espansione del vocabolario emotivo, la distinzione tra emozioni utili e dannose, la differenza tra pensieri e stati emotivi, l’individuazione del proprio “dialogo interno” in situazioni emotivamente connotate, il legame tra pensieri ed emozioni e l’apprendimento di un repertorio di pensieri utili. Con i ragazzi della scuola secondaria, oltre a questi obiettivi di base, si mira anche a sviluppare una maggiore competenza metacognitiva: riconoscere le principali categorie di pensieri dannosi (pretese assolute, valutazioni catastrofiche, bassa tolleranza alla frustrazione, valutazioni globali di sé o degli altri), le caratteristiche che rendono un pensiero dannoso e imparare a trasformare tali pensieri (Di Pietro & Dacomo, 2007; AA VV, 2013).

Essendo ormai applicata da qualche decennio, sono stati svolti studi relativi all’efficacia dell’ Educazione Razionale Emotiva, che dimostrano come sia maggiormente adatta per prevenire ed agire sulle problematiche di tipo internalizzato, quali ansia, paura, tristezza, fragilità dell’autostima, rispetto ai disturbi esternalizzanti (Di Pietro & Dacomo, 2007).

In particolare, una review di 21 studi sull’efficacia dell’ Educazione Razionale Emotiva applicata in vari contesti ha sottolineato come nell’88% delle ricerche si notava una diminuzione dei punteggi relativi all’irrazionalità, nell’80% degli studi risultava diminuire l’ansia e nel 71% emergeva un aumento dei punteggi della dimensione “locus of control interno”. Inoltre nel 50% degli studi risultava che l’ Educazione Razionale Emotiva era efficace sulla dimensione dell’autostima e sui problemi comportamentali (Hajzler & Bernard, 1991). Recenti studi sottolineano come l’ Educazione Razionale Emotiva possa essere applicata anche per la prevenzione di nuove forme di malessere tra gli adolescenti, come il Gioco d’Azzardo Patologico, purché debitamente riadattata e abbinata alla divulgazione di informazioni specifiche sulla patologia (Todirita & Lupo, 2013).

 

Programmi per la gestione dell’ansia nel contesto scolastico

Di recente è cresciuto l’interesse per l’applicazione di programmi specifici per la gestione dell’ansia all’interno del contesto scolastico, sia in termini di prevenzione che di intervento precoce su situazioni a rischio (Misfud & Rapee, 2005).

Uno studio che ha valutato l’efficacia di un programma di prevenzione primaria per i disturbi d’ansia in infanzia è quello condotto da Lowry-Webster e collaboratori, che ha coinvolto in prima persona gli insegnanti, i quali hanno svolto il programma all’interno delle ore curricolari. I risultati sono stati incoraggianti, seppur limitati: i sintomi ansiosi mostravano un decremento significativo secondo una delle due scale di rilevazione utilizzate (Spence Children’s Anxiety Scale), ma non secondo l’altra (Revised Manifest Anxiety Scale) (Lowry-Webster et al., 2001).

Per quanto riguarda gli interventi precoci con gli alunni a rischio di sviluppare un disturbo d’ansia, è stato svolto uno studio controllato su ben 1.786 studenti dai 7 ai 14 anni, selezionati in quanto avevano ottenuto alti punteggi per sintomatologia ansiosa ma non per comportamenti dirompenti o difficoltà di apprendimento, in base al giudizio dei loro docenti. Il trattamento è stato erogato a scuola e consisteva in 10 sessioni per ciascun ragazzo e 3 incontri individuali per i genitor (Dadds et al., 1997). Al re-test non era emersa alcuna differenza significativa tra il gruppo sperimentale che aveva ricevuto il trattamento e il gruppo di controllo; tuttavia, il follow-up a sei mesi ha rilevato che il 16% del gruppo trattato presentava un disturbo d’ansia contro il 54% del gruppo di controllo. Stranamente le differenze si sono appianate al follow-up di dodici mesi, ma sono poi riemerse al follow up di due anni (Dadds et al., 1999).

Una ricerca successiva di Misfud e Rapee ha tentato di applicare il modello di intervento del “Cool Kids Program” per la riduzione dei sintomi ansiosi all’interno del contesto scolastico (Misfud & Rapee, 2005). Il Cool Kids Program è un modello cognitivo-comportamentale che deriva da precedenti programmi per il trattamento dei disturbi d’ansia e prevede una serie di attività da svolgere con il bambino (10 sessioni, comprendenti 37 attività) e con i genitori (altrettanti 10 moduli). Il programma comprende una fase di psicoeducazione sulla natura dell’ansia, una fase di ristrutturazione cognitiva per combattere i pensieri ansiosi, un’esposizione graduale agli stimoli che elicitano nel soggetto risposte ansiose e lo sviluppo di abilità complementari quali abilità sociali, assertività, gestione delle prepotenze subite (Lyneham et al., 2014).

La ricerca è stata svolta su una popolazione di 425 bambini tra gli 8 e gli 11 anni a rischio di sviluppare un disturbo d’ansia e appartenenti a una condizione socio-economica svantaggiosa; il campione è stato suddiviso tra gruppo sperimentale e gruppo di controllo (questi ultimi assegnati a una lista di attesa). I bambini sottoposti al Cool Kids Program hanno partecipato a 8 sessioni in piccoli gruppi, condotte dagli psicologi e dai docenti insieme; i genitori in parallelo hanno partecipato a due incontri formativi. I risultati hanno dimostrato che i bambini assegnati alla condizione sperimentale hanno riportato una riduzione significativa nei sintomi ansiosi, rispetto a coloro assegnati alla lista d’attesa; tali differenze si sono mantenute a distanza di quattro mesi, sia secondo i punteggi dei questionari somministrati ai ragazzi che dei questionari compilati dai docenti (Misfud & Rapee, 2005).

Per quanto riguarda i Disturbi Esternalizzanti, caratterizzati da aggressività, problemi nella concentrazione, impulsività e iperattività, sono stati messi a punto programmi di prevenzione e di intervento specifici. E’ facile capire infatti come bambini con alti livelli di aggressività espressa e di problemi di condotta creino maggiori difficoltà di gestione nel contesto scolastico, possano impattare sull’ambiente di apprendimento dei propri compagni e sui loro stessi risultati accademici (Kupersmidt et al.,2000). Inoltre i comportamenti aggressivi e dirompenti (ad esempio un atteggiamento di sfida nei confronti dell’autorità, mentire, imbrogliare) possono compromettere seriamente il benessere emotivo e relazionale degli alunni e turbare il clima della classe (Barth et al., 2004).

Ci sono evidenze che insegnanti supportivi, che impiegano di frequente i rinforzi positivi (come la lode), strategie di insegnamento proattive e che evitano una disciplina rigida, possano giocare un ruolo estremamente importante nel promuovere lo sviluppo di abilità emotive e sociali e nel prevenire l’insorgenza di problemi comportamentali nei bambini (Burchinal et al., 2000).

Gli interventi di prevenzione nel contesto scolastico, il cui scopo è diminuire la prevalenza di comportamenti antisociali nei giovani, sono stati quotati come un modalità di intervento efficace e che minimizza i costi (Jenson, 2006; Powell et al, 2011). Le ricerche condotte a cavallo tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio del XXI secolo hanno dimostrato che l’applicazione di strategie cognitive in classe può diminuire la presenza di comportamenti dirompenti e aggressivi e rinforzare le competenze sociali e i comportamenti prosociali (Daunic et al., 2006; Mytton et al., 2006).

Infatti molti programmi preventivi utilizzano un modello di intervento cognitivo-comportamentale che si focalizza sulla modificazione dei processi socio-cognitivi distorti o deficitari dei bambini: in particolare, le distorsioni nel ricordo e nella percezione dei comportamenti degli altri, l’eccessiva rilevanza assegnata alle soluzioni non verbali dirette all’azione, la scarsa rilevanza data alle soluzioni verbali assertive durante la risoluzione di un problema. Tali programmi hanno come obiettivo anche il potenziamento delle competenze sociali ed emotive degli alunni, per migliorare le loro competenze relazionali e di auto-regolazione (Eyberg e al., 2008).

 

I protocolli clinici riadattati per il contesto scolastico

Al fine di metter in atto programmi sempre più efficaci, alcuni psicologi clinici e ricercatori hanno cercato di riadattare al contesto scolastico interventi inizialmente sviluppati e attuati in contesti clinici, inizialmente come programmi di trattamento precoce per gli studenti a rischio, ma poi sempre più come programmi di prevenzione universale per tutta la classe (Misfud & Rapee, 2005).

Un esempio è il programma “The Incredible Years Program” di Webster-Stratton e collaboratori, originariamente sviluppato per il trattamento di bambini dai 3 ai 7 anni con diagnosi di Disturbo Oppositivo Provocatorio o con un esordio precoce di Disturbo della Condotta, che è stato riadattato da Barrera e collaboratori in modo tale che gli insegnanti potessero utilizzarlo come intervento precoce di prevenzione universale all’interno delle classi (Barrera et al.,2002).

Un altro programma che è stato di recente applicato nel contesto scolastico è il “Coping Power Program” (CPP) di J. Lochman e collaboratori. Il Coping Power Program è un modello multi-sistemico e multi-modale per il trattamento di minori con Disturbi del Comportamento di età compresa tra gli 8 e 16 anni, che prevede un percorso per i figli (che si sviluppa in 34 sessioni di gruppo) e uno per i genitori (che si articola in 16 sessioni). Originariamente sviluppato per i contesti clinici, può essere applicato anche in ambito preventivo (Lochman et al.,2012; Muratori et al., 2011, 2015). E’ un programma evidence-based, che ha dato prove di efficacia nel ridurre i comportamenti aggressivi e l’abuso di sostanze nei ragazzi anche a distanza di tre anni (Lochman e Wells, 2002) e che è stato tradotto e debitamente riadattato al contesto culturale italiano (Muratori et al., 2015).

Il Coping Power Program si focalizza sullo stabilire regole di gruppo e rinforzi contingenti, generare soluzioni alternative, considerare le conseguenze di soluzioni alternative relative a situazioni sociali problematiche, gestire e fronteggiare la rabbia (utilizzando auto-istruzioni ed esercizi di rilassamento), identificare in modo accurato le situazioni sociali in cui vengono messi in atto atteggiamenti provocatori, aumentare le abilità sociali, scoprire modalità più funzionali per entrare a fare parte di nuovi gruppi di coetanei, utilizzare modalità positive come la negoziazione e la cooperazione nelle interazioni con i pari (Muratori et al., 2015).

Uno studio del 2015 di Muratori et al., svolto nel contesto toscano, ha applicato per la prima volta il Coping Power Program come intervento preventivo di classe all’interno di due scuole primarie. Sono state coinvolte in totale nove classi, di cui cinque sono state assegnate casualmente al Coping Power Program e quattro al gruppo di controllo. La versione di classe del Coping Power Program è stata debitamente riadattata e ha previsto 24 sessioni della durata di 60-75 minuti, con frequenza settimanale in orario curricolare. Ha coinvolto tutti gli alunni invece di un piccolo gruppetto di essi con problemi di aggressività conclamata, come previsto invece dal protocollo originale, anche a partire dall’idea che i bambini che avrebbero mostrato alti livelli di coinvolgimento nel programma sarebbero potuti essere modelli positivi per i coetanei maggiormente reattivi (Muratori et al., 2015).

Per misurare l’efficacia del programma è stato utilizzato il Questionario sui Punti di Forza e di Debolezza (SDQ) – Versione Insegnante di Goodmann (Goodman, 1997), somministrato prima dell’inizio dell’intervento e un mese dopo il termine dello stesso. Il questionario SDQ consente di raccogliere informazioni sul minore riguardo alle seguenti aree: iperattività e problemi di attenzione, problemi di condotta, difficoltà emotive, comportamenti prosociali, rapporti con i pari; inoltre raggruppa le cinque sottoscale su una scala totale di stress globale.

I risultati dello studio mostrano una diminuzione dei punteggi per l’indice totale di difficoltà e per la scala iperattività/disattenzione all’interno delle classi appartenenti al gruppo sperimentale, così come un aumento dei punteggi della scala relativa al comportamento prosociale; tali modificazioni dei punteggi non sono state riscontrate invece nelle classi appartenenti al gruppo di controllo (Muratori et al., 2015).

In uno studio successivo sono stati analizzati gli effetti a medio termine, con un follow up a distanza di un anno. Dai risultati emerge che le classi che hanno ricevuto il Coping Power Program presentano una probabilità significativamente inferiore di mostrare problemi di iperattività e/o disattenzione e presentano una minor occorrenza di comportamenti problematici; inoltre tali classi hanno mostrato un miglioramento significativo dei voti scolastici. Pertanto i risultati mostrano che la versione riadattata del Coping Power Program, come programma di prevenzione universale, produce cambiamenti positivi per quanto riguarda le difficoltà comportamentali dei bambini e ciò può determinare un importante effetto generalizzato sul rendimento scolastico (Muratori et al., in press).

A fronte delle ricerche sopracitate, è importante sottolineare come i programmi di prevenzione e di intervento sulle principali manifestazioni psicopatologiche in età evolutiva attuati in contesto scolastico non possano sostituire il bisogno di trattamenti specifici in ambito clinico per i bambini e i ragazzi che presentano disturbi conclamati (Misfud & Rapee, 2005). Tuttavia gli interventi sia di prevenzione primaria (promozione del benessere) sia di prevenzione secondaria (screening diagnostico e interventi precoci) consentono di raggiungere un’ampia fetta di popolazione in età evolutiva, in modo che insegnanti, educatori, psicologi scolastici possano intervenire precocemente, abbattendo i costi e la durata dei trattamenti e riducendo il disagio esperito dai minori e dalle famiglie.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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