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Smartphone e Mindfulness: come prevenire lo stress causato dal Multitasking

La mindfulness consente di prevenire lo stress generato dall'uso eccessivo degli smartphone e dal multitasking quotidiano.

Di Francesco Gallizio

Pubblicato il 17 Gen. 2017

L’articolo è una riflessione su quanto oggi il nostro sistema di elaborazione delle informazioni possa essere stressato dalle innumerevoli stimolazioni ambientali, soprattutto dall’ avvento della tecnologia smart, e su come può essere possibile evitarne gli effetti negativi grazie alla meditazione della mindfulness.

 

Il funzionamento dell’attenzione e l’effetto cockatil party

Il famoso fenomeno del cocktail party è un esempio di come di norma funziona la nostra attenzione: siamo ad una festa dove intorno a noi ci sono tante persone che parlano tra loro ma noi riusciamo a rivolgere l’attenzione ed ascoltare in modo selettivo la persona che ci sta rivolgendo la parola, con cui stiamo parlando. Ad un tratto qualcuno dietro di noi fa il nostro nome e noi rivolgiamo l’attenzione, senza girarci, a quella conversazione.

Questa capacità di selezionare una conversazione tra tante altre, è un esempio di come funziona la nostra attenzione. L’attenzione dunque ha a che fare con l’elaborazione preferenziale dell’informazione sensoriale (Carlomagno, 2007). Cioè, noi possiamo selezionare uno stimolo tra tanti e dare attenzione soltanto ad esso. In realtà, principalmente utilizziamo questa modalità per economia cognitiva, cioè per usufruire al meglio delle nostre capacità. In altre parole, non potendo dare lo stesso grado di attenzione a tanti elementi contemporaneamente, utilizziamo l’attenzione selettiva.

Questo perché il nostro sistema di elaborazione delle informazioni ha una capacità limitata. Molte volte cioè non si possono compiere simultaneamente due attività, elaborare due stimoli o recuperare dalla memoria due informazioni diverse nello stesso tempo (Ladavas e Berti, 2006), ad esempio non è possibile seguire con attenzione il notiziario alla tv e contemporaneamente parlare con qualcuno, o scrivere al computer e nello stesso tempo sostenere un’attenta conversazione.

Nelle società odierne però, siamo bombardati da diverse fonti di informazioni, veicolate soprattutto ultimamente da quei bellissimi strumenti che ci portiamo dietro ogni giorno: gli smartphone. Essi, in origine, dovevano avere lo scopo di facilitarci la vita e in effetti in parte è così, nel senso che grazie ad essi possiamo avere accesso, in qualsiasi momento, ad internet, alla posta elettronica, ai nostri contatti su ogni social network e al nostro lavoro. Tutto questo grazie al multitasking, il sistema che permette appunto di poter eseguire più programmi contemporaneamente. Quello che potremmo fare sembra non avere limiti, ma questo è sia un pregio che un difetto di questi strumenti, infatti insieme a queste grandi possibilità viaggia il rischio di frustrazioni, provocate dalle innumerevoli richieste, non soddisfabili dalla nostra limitata capacità di elaborazione. Tutto ciò, sommato alle richieste esterne, ambientali, del mondo fisico e delle persone reali, si traduce in una imponente fonte di stress.

Talvolta assistiamo a cali nella performance, sia attentiva che mnestica, tali da far pensare quasi ad un disturbo dell’attenzione o della memoria, ma in realtà siamo semplicemente in sovraccarico. Cioè, la nostra attenzione e la nostra memoria di lavoro (working memory), implicate entrambe nell’esecuzione dei compiti, stanno lavorando su troppi elementi rispetto alle reali capacità del sistema. Quando ciò accade, inoltre, ci giudichiamo negativamente per le nostre prestazioni deficitarie, poiché con l’aumento delle possibilità proposte dagli smartphone e dai sistemi multitasking in generale, abbiamo alzato anche le aspettative rispetto a noi stessi e agli altri. Purtroppo poi, questa nostra autocritica ci altera l’umore in senso negativo, influenzando di conseguenza, in un circolo vizioso, la nostra performance cognitiva. Lo stress che deriva da questa condizione non è certo da sottovalutare. In relazione a questo stato, in determinate condizioni sfavorevoli, potrebbero insorgere infatti ansie o anche umore depresso.

 

Come può entrare in gioco la mindfulness nella prevenzione di queste reazioni negative

Come appena osservato, oggi grazie a questi strumenti siamo continuamente chiamati a fare sempre più cose contemporaneamente, e di conseguenza sentiamo sempre più pressione a “fare”. Anche nei momenti di pausa ormai, può capitare che siamo davanti alla tv e contemporaneamente navighiamo con lo smartphone su internet, dunque sempre in una modalità attiva, bombardati da innumerevoli fonti di informazioni. Come osservano Segal e colleghi (2012), nella modalità “fare” la mente monitora costantemente discrepanze tra obiettivo, stato delle cose attuale, e aspettative future. Dunque, quando si riscontrano differenze in negativo, tra stato attuale e obiettivo, proviamo emozioni negative. Questo tipo di riscontro purtroppo, in virtù della nostra capacità limitata di elaborazione delle informazioni, è qualcosa che sperimentiamo spesso, quando cerchiamo quotidianamente di rispondere alla numerose richieste esterne ed interne, a cui si aggiungono, come visto, quelle veicolate dai sistemi digitali.

Segal e colleghi (2012) studiano da anni la possibilità di applicare la mindfulness per un supporto terapeutico ai sintomi depressivi. Il loro ambito è dunque proprio quello di pensieri ed emozioni negative. Il protocollo MBCT (Mindfulness Based Cognitive Therapy), da essi proposto, si è dimostrato di grande efficacia soprattutto per la prevenzione delle ricadute depressive, in quanto agisce efficacemente sul rimuginio e sui pensieri negativi. Gli autori evidenziano, in riferimento ai miglioramenti acquisiti grazie alla pratica di mindfulness, il fatto che essa favorisce il passaggio dalla modalità “fare” alla modalità “essere”. Questa seconda modalità consiste nel rimanere presenti allo stato delle cose, così come sono nel momento presente, senza giudizi e senza pretendere di cambiare nulla. Ciò porta ad un cambiamento radicale del modo di vedere le cose, attraverso cui è possibile percepire una maggiore accettazione di se stessi e delle proprie possibilità. Una prima soluzione dunque, che si contrappone alla componente di stress prodotta dal giudizio sulla propria performance cognitiva e alle frustrazioni che derivano dal confronto stato-obiettivo, rispetto al sovraccarico cognitivo.

Ma la soluzione che può proporre la mindfulness non si limita a questo. Infatti, rispetto proprio alla performance cognitiva, nell’ottica di un potenziamento delle funzioni attentive o mnestiche, la meditazione può dimostrarsi di grande utilità. Sempre più evidenze scientifiche oggi infatti mostrano che la meditazione di mindfulness può migliorare l’attenzione e la memoria di lavoro. Ne sono solo un esempio il lavoro di Mrazek e colleghi (2013) e quello di Morrison e Jha (2015). Naturalmente queste caratteristiche influenzate dalla mindfulness, anche al di là dell’argomento oggetto di questo articolo, possono essere di notevole ausilio, nell’ottica di un miglioramento della performance generale della persona e, di conseguenza, di un aumento del benessere percepito.

Conclusioni

Quindi, in antitesi alla forte pressione al “fare”, insita nelle innumerevoli richieste che giungono oggi al nostro sistema di elaborazione delle informazioni, che possono indurre stress, calo di performance cognitiva e pensieri negativi riferiti a se stessi, sarebbe altamente preferibile allenare sempre più la modalità dell’”essere”. Questo diminuirebbe sensibilmente lo stress indotto dal nostro attuale stile di vita e tutto il correlato di rischiose emozioni negative ad esso connesse.

La meditazione di mindfulness si è dimostrata negli anni un utile strumento per riconnettersi appunto alla modalità dell’”essere” e dunque per riavvicinarci a noi stessi, in modo meno giudicante e più salutare. Inoltre la sua capacità di migliorare i nostri meccanismi attentivi e la working memory, può essere di grande ausilio nel rafforzare il nostro sistema di elaborazione delle informazioni, così fortemente messo alla prova dalle innumerevoli richieste del mondo di oggi, che vanno ben oltre quelle degli smartphone, oggetto di questo articolo. Lo stress è ormai congenito nelle nostre società; come direbbe Jon Kabat-Zinn (2003), ideatore del primo training mindfulness (MBSR), viviamo in “un mondo sotto stress” e dunque tornare alla mindfulness, e tramite di essa a noi stessi, sarebbe la cosa più utile da fare per il nostro bene.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Carlomagno S. La valutazione del deficit neuropsicologico nell'adulto cerebroleso. Seconda edizione, Elsevier, 2007;
  • Kabat-Zinn J. Vivere momento per momento, Tea Pratica, 2013;
  • Ladavas E., Berti A. Neuropsicologia. Il Mulino, 2006;
  • Morrison A.B., Jha A.P. Mindfulness, Attention, and Working Memory. Handbook of Mindfulness and Self-Regulation, Springer Science+Business Media New York, 33-45, 2015;
  • Mrazek M.D., Franklin M.S., Tarchin Phillips D., Baird B., Schooler J.W. Mindfulness Training Improves Working Memory Capacity and GRE Performance While Reducing Mind Wandering. Psychological Science XX(X) 1–6, 2013;  DOWNLOAD
  • Segal Z.V., Williams J.M.G., Teasdale J.D. Mindfulness – al di là del pensiero, attraverso il pensiero. Bollati Boringhieri, 2012.
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