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Smartphone e internet: coperta di Linus dei nostri tempi

Il rapporto con internet e gli smartphone risulta ambivalente, in quanto emergono effetti benefici nell'immediato ma meno funzionali nel lungo termine. 

Di Chiara Manfredi

Pubblicato il 31 Mar. 2016

Internet o lo smartphone mostrano una loro capacità di ridurre le emozioni negative nel breve termine; attenzione però, che questo comportamento sembra avere la stessa funzione delle condotte di evitamento. Evitare qualcosa che ci mette ansia, infatti, sicuramente ci dà un sollievo immediato, ma nel lungo termine non ci consente di trovare strategie più funzionali per gestire la componente emotiva, così come non ci permette di conoscere l’emozione disturbante e di imparare a gestirla in modo utile.

 

L’utilizzo di internet nella società moderna: le ambivalenze

L’utilizzo degli smartphone è un fenomeno che ha interessato molto tutti noi negli ultimi anni. Accolti con euforia e entusiasmo per le crescenti possibilità che ci hanno offerto, siamo velocemente arrivati al “porta sempre tutto con te ovunque”, tecnicamente possibile grazie ai vari sistemi di cloud computing e all’utilizzo di driver a cui poter accedere sempre in remoto da qualunque punto del mondo. Come fosse una parabola (nel senso della geometria ma anche nell’altro), pian piano abbiamo iniziato a preoccuparci, perché si sa che dare troppe possibilità aumenta il rischio di rovinarsi con le proprie mani.

Allora, dopo un periodo di esaltazione per la facoltà di essere sempre connessi al lavoro e ai social, siamo arrivati alla preoccupazione e all’angoscia esistenziale che ci fa chiedere dove andremo a finire, quando saliamo in metropolitana o in treno e vediamo una massa di persone che fissano schermi e interagiscono con tutti tranne che con chi hanno di fianco. I ragionamenti in questo senso si sono spinti molto oltre, è diventato scontato dire che se i telefonini ci hanno cambiato la vita, gli smartphone e i tablet di più. Le reazioni vanno dai negozi che espongono cartelli simpatici nel tentativo di scoraggiare le connessioni wifi, a studiare come l’utilizzo del cellulare influisca sulla nostra postura.

Di contro, però, la psicologia ha in parte tratto beneficio da questo fenomeno di massa, per esempio con lo sviluppo di app che consentono di valutare online alcuni aspetti interessanti per il lavoro clinico, da poter poi approfondire in seduta (si vedano, ad esempio, i diari alimentari sotto forma di app che si possono utilizzare per la terapia dei disturbi alimentari, così come il diario dell’umore utile all’interno di problematiche di tipo depressivo).

Poi c’è il discorso delle relazioni via etere: siamo tutti spaventati dal proliferare di app e siti che consentono di entrare (e rimanere) in contatto con persone che neanche si sono mai viste, per il rischio che questo danneggi in qualche modo le relazioni vere, ad personam, fatte di incontri, scontri e contatti. C’è addirittura una patologia che si chiama Hikikomori, definita e diffusa in Giappone, in cui i giovani nipponici si auto-escludono dal contesto sociale sia ristretto che allargato, come forma di ribellione verso l’intero apparato sociale; in questo caso, le interazioni via internet diventano addirittura le uniche possibili (e consentite) dalla propria stanza, rifugio e allo stesso tempo prigione di questi ragazzi. Spaventati dalle possibilità che la rete ci offre, soprattutto in termini relazionali, siamo tutti abbastanza preoccupati che quelle platoniche divengano per alcune persone in difficoltà le uniche relazioni possibili.

Però, attenzione. Per chi ha difficoltà a relazionarsi nel modo canonico, passare “attraverso” i vari device non può essere una via di mezzo? Un’esposizione per gradi? Allora, può anche essere utile in senso terapeutico, come passaggio intermedio verso l’interazione faccia a faccia.
Come al solito, quindi, il punto non è lo strumento ma l’uso che se ne fa, che può variare su un’ampia gamma, dal “disastroso” al “miracoloso”.

 

L’utilizzo di internet e il rapporto con le emozioni di ansia e depressione: gli studi

Uno studio uscito a gennaio 2016 su Computers in Human Behavior (Panova & Lleras, 2016) ha chiarito meglio il rapporto tra l’utilizzo di internet e di device portatili e i problemi psicologici. I ricercatori hanno svolto due studi separati. Nel primo, hanno chiesto a 318 studenti (metà maschi e metà femmine) di compilare una serie di questionari self-report sull’utilizzo di internet, l’utilizzo del cellulare, il livello di dipendenza da internet e lo stato emotivo (ansia e depressione). Il fattore cruciale sembra essere il motivo per cui si agisce: la tendenza a utilizzare internet e il cellulare come forma di evitamento dalle difficoltà emotive correla in modo positivo con i livelli di ansia e depressione, mentre lo stesso non si può dire della tendenza a utilizzare questi strumenti per togliersi dalla noia. In altre parole, l’abitudine a navigare o a utilizzare lo smartphone per evitare di rimanere in compagnia di emozioni negative o di pensieri disturbanti, in realtà facilmente si accompagna ad ansia e depressione (emozioni disturbanti, appunto). Decidere invece di usare gli stessi strumenti per evadere dalla noia non ha nessuna particolare ricaduta in termini di emozioni negative.

Nel secondo studio, gli autori hanno utilizzato una procedura sperimentale per valutare se e in che misura fare appello a internet e ai device mobili riducesse la percezione di ansia nel breve e nel medio termine. Si sono detti “se davvero le persone si rivolgono a questi strumenti in momenti di difficoltà per trovare una forma di sollievo, forse avere la possibilità di accedervi in situazioni di ansia può dare benefici nel breve termine, che a loro volta possono ciclicamente mantenere la tendenza delle persone a farvi ricorso quando sono in difficoltà”. Per testare questa ipotesi, hanno reclutato 84 studenti e li hanno sottoposti a un compito finalizzato ad aumentare la loro ansia: è stato chiesto loro di scrivere una breve pagina su una consegna specifica, dicendo loro che quanto prodotto sarebbe poi stato valutato da due professori, i quali in seguito avrebbero interrogato il soggetto. Dopo aver svolto il compito ansiogeno per 5 minuti, i partecipanti erano lasciati soli ad attendere per 10 minuti. I soggetti erano precedentemente stati divisi in 3 gruppi: durante questi 10 minuti il gruppo A non aveva alcun accesso a nulla, il gruppo B poteva utilizzare il proprio smartphone e il gruppo C poteva utilizzare solo un computer non connesso alla rete, con cui era possibile giocare. Prima e dopo la stesura del compito e al termine dei 10 minuti di attesa tutti i soggetti hanno compilato un test che valutava l’ansia percepita in quello specifico momento.

Cosa dicono i dati? I partecipanti del gruppo B hanno mostrato un minor innalzamento dell’ansia a seguito della condizione sperimentale: nonostante non ci fossero differenze nel livello di ansia percepita prima dei 5 minuti di compito, i soggetti che avevano potuto tenere con loro il cellulare sembravano rispondere in modo meno intenso alla condizione sperimentale. È come se il fatto di poter avere il proprio telefonino funzionasse da coperta di linus, moderando il livello di ansia suscitata dal compito. Attenzione però, che se invece osserviamo quanto l’ansia sia diminuita dopo i 10 minuti passati nelle 3 condizioni, vediamo che non si notano differenze nei 3 gruppi. In altre parole, per tutti e 3 i gruppi si è rilevato un andamento sovrapponibile nella dinamica di ansia: aumento dopo i 5 minuti di stress e diminuzione dopo i 10 minuti nelle 3 condizioni. Il fatto di poter utilizzare il proprio smartphone non ha portato a una diminuzione più importante del livello di ansia rispetto alle altre due condizioni.

Conclusioni

Questo dato è molto interessante e ci dice che il fatto di avere a disposizione il proprio smartphone ha una specie di effetto protettivo nei confronti dell’ansia per tutto l’arco della procedura: non aiuta i soggetti a calmarsi di più una volta che lo stress è innescato, ma addirittura diminuisce il potere ansiogeno del compito. Se leggessimo la cosa a rovescio, però, potremmo anche dire che essere privati del proprio smartphone rende le persone più vulnerabili agli stressor ambientali, e questa spiegazione si sposa abbastanza con il costrutto di nomofobia, che descrive una vera e propria sindrome di ansia da separazione dal proprio smartphone.

Sembra quindi che i risultati “scagionino” l’utilizzo di strumenti come internet o lo smartphone, mostrando una loro capacità di ridurre le emozioni negative nel breve termine; attenzione però, che questo comportamento sembra avere la stessa funzione delle condotte di evitamento. Evitare qualcosa che ci mette ansia, infatti, sicuramente ci dà un sollievo immediato, ma nel lungo termine non ci consente di trovare strategie più funzionali per gestire la componente emotiva, così come non ci permette di conoscere l’emozione disturbante e di imparare a gestirla in modo utile. Mettere via il cellulare non sembra essere la soluzione ultima, ma imparare a stare fermi nell’emozione disturbante può essere un buon inizio.

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SCRITTO DA
Chiara Manfredi
Chiara Manfredi

Teaching Instructor presso Sigmund Freud University Milano, Ricercatrice per Studi Cognitivi.

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