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Osservatorio dei Disturbi Emotivi e Mentali – Giugno 2025

L’Osservatorio dei Disturbi Emotivi e Mentali è un aggiornamento periodico sulla situazione della sofferenza psicologica in Italia e nel mondo

Di Giovanni Maria Ruggiero, Sara Palmieri, Giovanni Mansueto

Pubblicato il 16 Giu. 2025

L’Osservatorio dei Disturbi Emotivi e Mentali

L’Osservatorio dei Disturbi Emotivi e Mentali è un aggiornamento periodico sulla situazione della sofferenza psicologica in Italia e nel mondo. Quali sono i disturbi più diffusi e più gravi e più in crescita, quali segmenti della popolazione sono più colpiti, quali sono le ragioni della loro diffusione e come arginarli con quali cure farmacologiche, psicoterapeutiche e assistenziali.

L’Osservatorio sarà pubblicato su State of Mind dal marzo 2025, uscirà mensilmente e sarà composto consultando i motori di ricerca più rigorosi e avanzati che raccolgono le informazioni pubblicate su riviste scientifiche e su bollettini sanitari affidabili. Il responsabile della composizione dell’Osservatorio è Giovanni Maria Ruggiero con la collaborazione di Sara Palmieri e Giovanni Mansueto.

Osservatorio dei Disturbi Emotivi e Mentali – Giugno 2025

Soffrire per un cambiamento, un’interruzione o una perdita non è un’anomalia, ma una reazione profondamente umana. Questo numero dell’Osservatorio è dedicato al Disturbo dell’Adattamento (AD), una condizione spesso trascurata perché nascosta nella zona grigia tra il disagio normale e la psicopatologia conclamata.

Il disturbo dell’adattamento: la ferita trascurata che racconta il nostro tempo

Qualcuno, ad esempio lo psicologo sociale Jonathan Haidt, sostiene che siamo entrati nella società del trauma, una società che incoraggia la tendenza a sovra-identificarsi con il trauma o a parlarne con troppa frequenza (Haidt e Lukianoff, 2018). 

Eppure, secondo la scienza, il principale strascico emotivo dell’emergenza COVID non è stato il trauma in una delle sue forme cliniche.  È stato Brunet et al. (2022) a suggerire che non è stato il Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) il protagonista clinico della pandemia. È stato semmai l’AD, ovvero l’Adjustment Disorder o Disturbo dell’Adattamento. Un grande studio europeo (Lotzin et al., 2024), con oltre 2000 partecipanti da 11 Paesi, lo conferma: quasi la metà delle persone monitorate ha mostrato sintomi clinici da Disturbo dell’Adattamento nei primi sei mesi di pandemia. Non incubi o flashback, ma insonnia, tensione, senso di fallimento, crisi identitarie. E ancora: Rudenstine et al. (2022) ci hanno mostrato che, nei momenti più duri della pandemia, la probabilità di sviluppare il Disturbo dell’Adattamento era superiore al 60% rispetto a depressione e ansia, e non dipendeva da un trauma singolo, ma da un’interruzione continua della normalità.

Disturbo di adattamento: una diagnosi sottovalutata

Cos’è il disturbo di adattamento o AD? Si tratta di una condizione psicologica caratterizzata da reazioni emotive o comportamentali sproporzionate in risposta a uno o più eventi stressanti della vita, come un lutto, una separazione, un trasferimento, problemi lavorativi o scolastici. Non si tratta di una risposta normale allo stress, ma di una reazione che supera per intensità o durata ciò che ci si aspetterebbe in base al contesto culturale e personale della persona.

Secondo la quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, per fare diagnosi di disturbo di adattamento, devono essere presenti:

  • Sintomi emotivi e/o comportamentali (es. ansia, tristezza, scoppi d’ira, isolamento, ecc.)
  • Entro 3 mesi dall’evento stressante
  • Compromissione significativa della vita sociale, lavorativa o scolastica
  • I sintomi non soddisfano i criteri per altri disturbi mentali (es. depressione maggiore).

In realtà, dietro questo nome meno attraente si cela ancora il “trauma” ma non più legato a un evento unico bensì a una valanga silenziosa di piccoli e grandi sconvolgimenti. Questo numero dell’Osservatorio è un invito a guardare a un disturbo che non ha bisogno di eventi catastrofici per esplodere. Basta una perdita, un cambiamento, un’interruzione della continuità personale. Riassumendo, il disturbo di adattamento è una reazione esagerata ma comprensibile a eventi di vita che, pur essendo fonte di stress, non sono traumatici in senso clinico. Si tratta di situazioni comuni ma difficili, come una separazione, la perdita del lavoro, un trasferimento o problemi familiari. I sintomi tipici includono ansia, tristezza, irritabilità, difficoltà di concentrazione o comportamenti disfunzionali, e compaiono entro tre mesi dall’evento. La durata è solitamente limitata nel tempo: tende a risolversi entro sei mesi dalla fine dello stress, anche se può protrarsi in caso di situazioni stressanti persistenti. Al contrario, il PTSD è una risposta psicologica a un evento traumatico estremo, che coinvolge una minaccia reale o percepita alla propria integrità fisica o a quella di altri (come guerre, violenze, gravi incidenti o catastrofi naturali). I sintomi del PTSD sono più gravi e includono rivissuti dell’evento (flashback o incubi), evitamento di luoghi o situazioni collegate al trauma, ipervigilanza, reazioni esagerate agli stimoli, disturbi del sonno e, in molti casi, anche sintomi dissociativi. Questi sintomi non si limitano a una reazione emotiva, ma interferiscono profondamente con il funzionamento quotidiano e possono durare mesi o anni.

Diffusione del Disturbo di Adattamento secondo la letteratura scientifica

Qual è la diffusione del disturbo di adattamento? Dapprima citiamo gli studi che hanno valutato i sintomi da disturbo di adattamento durante la pandemia da COVID-19. Secondo Lotzin et al. (2024) il tasso medio stimato di disturbo di adattamentoè stato tra il 15% e il 25% della popolazione generale esposta a stress pandemico. Per Brunet et al. (2022) il disturbo di adattamento è stato più frequente del PTSD, con prevalenze tra il 20% e il 30% in alcuni campioni internazionali.

Passando alla popolazione generale, Kelber et al. (2022) in una meta-analisi dei predittori del disturbo di adattamento, confermano che i tassi di prevalenza riportati variano, ma rientrano tra il 10% e il 30%, a seconda del contesto e della popolazione studiata. Anche per Zelviene & Kazlauskas (2018) la prevalenza stimata del disturbo di adattamento varia molto, ma spesso supera quella del PTSD nei contesti non traumatici, arrivando anche al 20-25% nei soggetti esposti a eventi di vita stressanti.

In conclusione, nei contesti di crisi collettive o stress prolungati, come la pandemia da COVID-19, il disturbo di adattamento ha mostrato tassi di prevalenza tra il 15% e il 30%, spesso superiori a quelli del PTSD. È più comune di quanto venga riconosciuto, soprattutto nei contesti clinici dove lo stress è presente ma non c’è un trauma definito ed è sottovalutato nella ricerca, ma molto presente nella pratica clinica quotidiana.

Il confine che cura: normalità, dolore e bisogno di senso

Ma se è così diffuso, perché quasi nessuno ne parla? Perché il disturbo dell’adattamento abita quella zona grigia tra normalità e patologia, tra la fatica dell’essere umani e la sofferenza clinica. Morgan et al. (2022) denunciano questa sottovalutazione: pochi strumenti diagnostici, scarse linee guida, quasi nessun modello esplicativo robusto e, inoltre, la prevalenza di disturbo dell’adattamento è sottovalutata rispetto ad altri disturbi dell’umore o d’ansia, nonostante sia tra i più diagnosticati in contesti clinici di primo livello e di medicina generale. Per Zelviene & Kazlauskas (2018) il disturbo dell’adattamento è il più umano dei disturbi psicologici, e forse per questo il più ignorato. Soffrire dopo una separazione, una diagnosi, una pandemia, non è un sintomo di malattia mentale, ma un segnale che qualcosa in noi cerca una nuova forma. Infine, Kelber et al. (2022) mettono in fila i fattori che ci rendono vulnerabili al disturbo dell’adattamento: stress cronico, isolamento sociale, precarietà emotiva, bassa resilienza. Eppure, ci ostiniamo a usare lenti sbagliate.

Riferimenti Bibliografici
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