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Neurodiversità al lavoro: intervista a Tony Attwood

L’esperto mondiale di autismo Tony Attwood risponde alle nostre domande su come funzionano le persone nello spettro autistico e sulle sfide che affrontano in contesti lavorativi

Di Valentina Davi

Pubblicato il 11 Mag. 2023

Esplorate l’Autismo: scoprirete un nuovo mondo e vi sentirete meglio per averlo fatto.

 

 Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare il Dott. Tony Attwood, esperto mondiale di Autismo e Sindrome di Asperger, e non ce la siamo fatta scappare! Una chiacchierata non solo volta a raccontare al grande pubblico chi sono le persone autistiche e come funzionano, ma anche una riflessione sui limiti di una società neurotipico centrata e sui rischi a cui va incontro il movimento che promuove la neurodiversità.

Chi sono le persone autistiche

State of Mind (SOM): Dott. Attwood, quali sono le caratteristiche principali di una persona autistica?

Dott. Tony Attwood (T.A.): È una domanda molto semplice, ma non è così facile rispondere.

La differenza principale è che le persone autistiche trovano difficile comprendere gli altri – che cosa pensano, che cosa provano – e leggere il linguaggio del corpo e le espressioni facciali. La loro più grande sfida nella vita sono le persone. Possono essere bravissimi con le macchine, la musica, gli animali, ecc., ma le persone per loro sono un enigma.

Ci sono poi altre dimensioni che sono associate al disturbo autistico, come per esempio la sensibilità sensoriale: suoni, rumori, l’intensità della luce, possono essere incredibilmente dolorosi per queste persone.

Io però ho una mia personale descrizione dell’Autismo: è un modo diverso di percepire, pensare, apprendere e relazionarsi. Il che significa che una persona autistica pensa in maniera differente e pertanto può essere estremamente creativa in tantissimi modi differenti; per questo abbiamo bisogno delle persone autistiche, per la loro originalità nella scienza e nell’arte. Ma la loro grande sfida sono le altre persone. Questa, secondo me, è l’essenza dell’Autismo.

Chi ha ucciso la Sindrome di Asperger?

SOM: In passato si distingueva tra Autismo e Sindrome di Asperger, ma con la pubblicazione del DSM-5 nel 2013 si è cominciato a parlare di Spettro Autistico. Cosa significa? Come mai c’è stato questo cambiamento?

T.A.: La decisione di cambiare non è stata mia, non sono stato invitato alla festa! L’idea era di eliminare quello che noi chiamiamo termine iponimo. Si ritiene che l’Autismo sia uno spettro che si esprime in un’ampia varietà di manifestazioni: ci sono le persone che sono affette da Autismo grave e si trovano in una situazione altamente disabilitante, e le persone descritte da Hans Asperger, che riescono ad avere successo nelle loro carriera o nelle loro relazioni. Quindi lo spettro autistico include la sindrome di Asperger.

Tuttavia questa decisione è stata presa da una commissione, non dalle persone autistiche, che invece desideravano mantenere questo termine. Queste persone infatti spesso preferiscono il termine Sindrome di Asperger perché è neutrale.

Il termine Asperger proviene dall’Europa, ha origine austriaca e gli Europei lo hanno sposato, a differenza degli Americani che non sono riusciti a comprenderlo; per questo motivo un gruppo di accademici in America ha deciso di abbandonarlo.

Il movimento della neurodiversità e le sue implicazioni

SOM: Negli ultimi anni si è assistito a un cambio di paradigma riguardo al concetto di Autismo. Ora si parla di neurodiversità. Può spiegarci cosa si intende per neurodiversità e quali sono le implicazioni di questo cambio di paradigma?

T.A.: Quando parliamo di Autismo di solito parliamo di Autismo+ dove con + intendiamo la compresenza di ADHD, disturbi d’ansia, disturbi depressivi, disturbi di personalità, ecc. L’Autismo riguarda il neurosviluppo, non è una descrizione psichiatrica, e presenta una grandissima varietà nella sua espressione.

I criteri diagnostici presenti nei manuali sono stati sviluppati per gli psichiatri, ma il punto è che forse la psichiatria non è il modo più appropriato per approcciare l’Autismo, poiché non è una malattia psichiatrica, ma un modo diverso di funzionare.

Certo, a causa delle difficoltà che può incontrare nella vita quotidiana, una persona autistica può sviluppare un disturbo d’ansia o depressione, e allora sì che ha bisogno di uno psichiatra, ma questo perché soffre di ansia o depressione, non per l’Autismo in sé.

SOM: Se le persone autistiche sono solo persone neurodivergenti il ​​cui funzionamento rappresenta una normale variazione neurologica (come il genere o la sessualità), che dire delle persone autistiche “gravi” che necessitano di cure speciali a causa della gravità delle loro difficoltà nel comunicare o nel relazionarsi?

Non c’è forse il rischio che i loro bisogni di cura si “perdano” in questo stato di variazione naturale? Ad esempio, il Governo potrebbe decidere di ridurre gli investimenti finanziari e sociali per una condizione che è “solo” una variazione neurologica e non un handicap a cui dare assistenza.

T.A.: Questa è una domanda molto importante su cui mi sono spesso interrogato. Ci sono persone in cui l’espressione dell’Autismo è decisamente lieve, che vogliono essere viste come qualsiasi altra persona, che vogliono essere viste come differenti, ma non difettose. Ci sono però persone che sono affette da una grave forma di Autismo e necessitano di grande supporto.

Una metafora che utilizzo spesso è quella del deficit visivo: esistono individui ciechi che hanno bisogno di molto supporto e poi ci sono quelli come me che hanno bisogno di un paio di occhiali; tecnicamente ho un deficit visivo, ma non sono cieco, se mi dai un paio di occhiali riesco a vedere bene. Puoi dare a una persona autistica un paio di occhiali e lei all’improvviso riesce a comprendere e leggere le situazioni sociali e le persone.

Quindi plaudo al movimento [per la neurodiversità, n.d.t.] per la sua integrità e per la spinta verso l’accettazione dell’Autismo. Tuttavia, quando hai un Autismo+ (con difficoltà di apprendimento, difficoltà di linguaggio…), hai bisogno di supporto e spesso i Governi cercano di evitare di dare sostegno. Quindi di fronte a un movimento politico che sostiene “dovremmo essere trattati come gli altri, siamo come gli altri!” i Governi diranno “D’accordo, siete come gli altri!” e abbandoneranno i servizi. E questa non è una buona idea.

Non è una società per neurodiversi

SOM: La nostra società è indubbiamente neurotipico centrata. Secondo Lei la nostra società crea disabilità? Come potremmo essere più inclusivi?

T.A.: C’è una certa arroganza tra le persone che noi chiamiamo neurotipici o non autistici: “Noi siamo esseri supremi, la socializzazione è la cosa più importante della vita e vedrai quanto è bello socializzare!”. Se dovessi descrivere una persona autistica direi che è una persona che ha scoperto cose molto più belle nella vita che socializzare. Il problema è che siccome è diverso, diventerà un bersaglio per prese in giro e atti di bullismo poiché la ragione principale per bullizzare qualcuno è proprio il fatto che è diverso.

È necessario che la società accetti queste differenze, proprio come è accaduto per esempio con i mancini, che in passato non venivano accettati e si cercava di cambiarli.

Se si vuole avere successo in alcune aree della vita, il modo di pensare delle persone autistiche è preziosissimo, ma è necessario accomodare le loro difficoltà relazionali.

La prevalenza dell’Autismo è di circa 1 su 36 e questa è una stima conservativa. Ciò significa che ognuno di noi a scuola, al lavoro o nella cerchia di amici, ha vicino a una persona autistica. Dobbiamo renderci conto che l’Autismo non è raro, è molto più diffuso di quanto pensiamo.

SOM: Parlando di diagnosi e del rischio di essere etichettati nella società, rivelare la propria diagnosi può essere d’aiuto o è controproducente?

T.A.: Quando faccio una valutazione diagnostica a un adulto e gli chiedo “Quando avresti voluto sapere del tuo Autismo e che le altre persone lo venissero a sapere?” quasi sempre risponde “Quando ero il più giovane possibile perché pensavo di essere cattivo, difettoso, matto, che ci fosse qualcosa di sbagliato in me”. E questo porta a depressione e a bassa autostima. Quando comunico la diagnosi ai genitori di un bambino, spiego loro che a sei anni il bambino si renderà conto che è diverso, che è interessato a cose che agli altri bambini non interessano, che i giochi sociali creano in lui confusione, perché pensa in maniera diversa e percepisce in maniera diversa e quindi saprà che è diverso. Racconterà che quando prova a unirsi agli altri bambini, gli altri lo guardano in modo strano e lui non capisce cosa stia succedendo. Questo è il momento in cui potrà avere una reazione negativa ed è il momento in cui è necessario che sappia del suo Autismo, così che possa affrontare sia le difficoltà sia essere consapevole dei talenti che l’Autismo può portare con sé, siano essi abilità matematiche o la capacità di disegnare in maniera fotograficamente realistica o di cantare in tono perfetto ecc. Deve sapere che ha dei talenti dovuti all’Autismo, ma anche delle difficoltà: il modo in cui percepisce i suoni, il modo in cui si relaziona agli altri, la probabilità che sia bullizzato o preso in giro…

Una volta affrontati questi aspetti – ci sono molti libri e molta letteratura per bambini autistici dove l’eroe è autistico – chiediamo loro “Chi altro deve sapere del tuo Autismo?” e spesso hanno un atteggiamento positivo rispetto al dirlo a scuola. Di solito chiediamo al bambino, ai genitori e agli insegnanti di trovarsi per discutere come spiegare ai compagni le sfide che deve affrontare e soprattutto come possono aiutarlo. Quindi se un bambino autistico sembra volersi unire agli altri bambini, ma non è sicuro, verrà tirato in mezzo e incitato dagli altri.

I teenager, invece, sono molto riluttanti ad accettare la propria diagnosi perché gli adolescenti sanno essere molto critici e crudeli verso chiunque sia diverso. Quindi un adolescente può non essere in disaccordo con la diagnosi, ma essere terrorizzato all’idea di cosa possano fare i pari verso qualcuno che è diverso da loro.

Per gli adulti, infine, diventa un aspetto importante in ambito lavorativo (in cosa sono bravi e in cosa non sono bravi), oltre che anche nelle relazioni. Pertanto preferiamo un approccio che sia il più trasparente possibile.

Autismo al lavoro

SOM: Lei ha scritto un libro intitolato “Autismo al lavoro” che è molto interessante e utile sia per le persone autistiche sia per le persone che hanno colleghi autistici.

Perché assumere persone autistiche

SOM: Ci sono aziende che cercano specificamente dipendenti autistici. Se fossi un imprenditore o un datore di lavoro, perché dovrei assumere qualcuno nello spettro dell’Autismo?

Innanzitutto per i loro talenti, come per esempio la loro abilità a rilevare errori. Certo, potrebbero identificare gli errori del capo…per questo dobbiamo spiegare al capo che quando una persona autistica evidenzia un errore, non è per farlo arrabbiare, ma per aiutarlo! C’è poi la loro abilità nell’identificare pattern e sequenze in dati e informazioni che altri potrebbero non notare. Inoltre il loro modo di pensare può essere molto creativo nel risolvere problemi e questo può essere molto utile per un’azienda.

Le persone autistiche possono essere molto brave anche in campo artistico. Se sei un artista e non sei particolarmente abile nelle relazioni sociali, non è poi così importante; finché disegni o canti o componi musica possiamo anche sopportarlo: l’eccentricità, si pensi a Andy Warhol, è accettata. Quindi l’arte può essere un’area in cui esprimere sé stessi, dalla recitazione alla scrittura e così via.

Infine, le persone autistiche sono molto brave nel prendersi cura degli altri. Poiché gli altri sono considerati un enigma sin dai tempi della scuola materna, le persone autistiche sin da piccolE osservano e analizzano le persone per cercare di capirle e di relazionarsi con loro e in seguito diventano degli psicologi di grande successo.

Quindi le persone autistiche possono trovare impiego non solo nel settore tecnologico, industriale o informatico, ma in tutti i settori.

Le difficoltà da gestire

SOM: Cosa può essere più difficile per un datore di lavoro o un collega quando assume o lavora con una persona autistica e cosa può fare?

T.A.: Una delle difficoltà che deve affrontare il loro capo è come far fronte alle situazioni in cui è coinvolto un team di lavoro. A volte le persone autistiche sono molto brave nel loro lavoro, ma se devono guidare un team, che è un compito che ha aspetti interpersonali, sociali, che implica aver a che fare con conflitti, questo potrebbe non essere un loro punto di forza. Di solito preferiscono andare al lavoro, fare quello che devono fare e tornare a casa, punto. Non sono interessati ad andare a fare un aperitivo, partecipare a ritrovi sociali. Sono lì per lavorare. Il senso della qualità, la determinazione, la loro abilità a perseverare dove altri si arrendono può portarli a ottenere successo sul lavoro, ma c’è bisogno che questo gli sia riconosciuto. A volte lavorano talmente bene che alcuni colleghi possono sabotarli deliberatamente proprio perché sono così bravi. Altre volte non ottengono una promozione perché non hanno abilità sociali. Spesso la persona che ottiene una promozione è una persona in grado di relazionarsi con il capo e con i colleghi e quindi riesce a essere popolare sul luogo di lavoro. Chi è socialmente popolare ha maggiore probabilità di essere promosso rispetto a chi lavora meglio di lui, ma non ha una rete sociale. Per questo motivo le persone autistiche vengono spesso ignorate dall’azienda.

Ci sono molte altre tematiche che devono essere affrontate. Una di queste, ne ho già parlato prima, è la sensibilità sensoriale. Bisogna assicurarsi, per esempio, che la persona autistica non stia seduta accanto a un frigorifero che produce un rumore di sottofondo o che la luce non sia eccessivamente brillante.

Pertanto è vero che bisogna considerare e gestire le difficoltà sociali e sensoriali, ma in cambio si avrà una persona che può essere straordinaria nel risolvere problemi.

Bullismo

SOM: C’è un capitolo nel Suo libro in cui parla della possibilità che le persone dello spettro autistico vengano prese in giro o siano vittime di bullismo sul posto di lavoro. Come reagire in quei casi?

T.A.: Il bullismo è un problema scolastico che non sparisce nel momento in cui ci si diploma. È una caratteristica umana verso chi è diverso, che porta un gruppo di persone neurotipiche a prendere di mira qualcuno che è diverso e le fa sentire più unite. Il bullismo ha varie forme, non è solo fisico, può essere anche verbale.

Se si verifica sul luogo di lavoro può portare a un calo nelle prestazioni lavorative o alle dimissioni. Il manager deve essere consapevole di ciò, osservare e fermare questi atti e allo stesso tempo la persona autistica deve comunicare quanto accade.

 È bene che abbia un mentore, una guida, sul lavoro, qualcuno che conosca i protocolli sociali, le personalità o le dimensioni sociali e possa fornire linee guida su cosa fare e dire, qualcuno a cui rivolgersi per chiedere “Questo è bullismo?” e che possa eventualmente rispondere “No, no, questo è sarcasmo. Certo, il sarcasmo non è molto carino, ma non prenderla sul personale”. Quindi hanno bisogno di qualcuno di cui possono fidarsi, che capisca la loro tendenza a interpretare letteralmente e che sia anche in grado di agire per suo conto e sia in grado di spiegare che “No, non voleva essere maleducato, è stato diretto”.

Spiegare la neurodiversità

SOM: I luoghi di lavoro sono neurotipico centrati e organizzati. Quale cambiamento suggerisce per rendere il posto di lavoro più adatto a persone neurodivergenti come le persone nello spettro autistico?

T.A.: Uno degli accorgimenti per rendere un posto di lavoro adatto alle persone autistiche è dare loro la possibilità di spiegare sé stesse, non cercare di cambiare il loro Autismo.

Per esempio, una delle caratteristiche dell’Autismo è la mancanza di contatto visivo, che manda in confusione chi interagisce con una persona autistica. Dobbiamo quindi dare la possibilità alla persona autistica di spiegare che non guardare l’interlocutore negli occhi la aiuta a concentrarsi su quello che l’altro sta dicendo.

Un altro esempio riguarda la capacità di riconoscere i segnali di stop: un collega è al telefono e la persona autistica lo interrompe improvvisamente con una domanda senza specificare il contesto. La persona autistica dovrebbe esplicitare che non è brava a cogliere i segnali di “Non ora!” e quindi chiedere che sia dato un chiaro segnale (es. fare segno di stop con la mano), così che possa fermarsi, ma deve essere un segnale chiaro.

Se diamo alle persone autistiche la possibilità di spiegare perché si comportano in un certo modo, quindi gli aspetti del loro Autismo che possono indurre negli altri imbarazzo o confusione, la reazione degli altri sarà “Aaah, ora ha senso! Ok!”

Come prepararsi a un colloquio di lavoro

SOM: Per ottenere un lavoro bisogna prima affrontare un colloquio di lavoro, che può essere molto stressante per le persone autistiche che hanno difficoltà nei rapporti sociali e nella comunicazione. Come possono prepararsi per affrontare il colloquio di lavoro in modo più sereno?

T.A.: La parola chiave è proprio prepararsi: bisogna fare prove, prove, prove.

Quindi, parlare con qualcuno, un membro della famiglia o un amico o impiegato dall’agenzia di reclutamento: a quali domande dovrò rispondere? Come dovrò rispondere? Quali domande posso fare?

Ma c’è un altro aspetto da considerare: quando una persona ti pone una domanda, come fai a sapere quando non hai detto abbastanza o hai detto troppo? Come fai a leggere il comportamento non verbale che ti segnala quanto dire?

Oppure ci sono domande particolari a cui può essere molto difficile rispondere per una persona autistica, come per esempio: “Noi non la conosciamo, quindi, ci parli un po’ di Lei. Chi è Lei?”

Pertanto è necessario organizzarsi: dove si terrà il colloquio di lavoro? Facciamo un po’ di pratica andando lì, così che la persona possa familiarizzare e rilassarsi. Queste sono le domande che potrebbero fare, proviamo a rispondere, così che tu possa fare commenti del tipo “Sto rispondendo alla tua domanda? Hai bisogno di più informazioni? Questa cosa mi confonde”.

Tuttavia la conversazione vis à vis è molto difficile per una persona autistica, per questo suggeriamo che abbia un portfolio video o prove tangibili di ciò che sa fare (es. lettere di raccomandazione).

Mindfulness

SOM: La mindfulness può essere d’aiuto?

T.A.: Le persone autistiche sono bravissime a preoccuparsi e si preoccupano tantissimo. Hanno ansia da prestazione, sono perfezioniste. La loro ansia è legata all’incertezza e al cambiamento e quindi hanno bisogno di strategie per gestire l’ansia.

Mindfulness, meditazione e yoga sono molto utili, ma non per tutte le persone autistiche. Una persona su 3 infatti rifiuta queste strategie. Sono coloro la cui mente corre veloce e che hanno bisogno di trattenere i loro pensieri accelerati. Se li lasciassero scorrere verrebbero travolti da pensieri ed emozioni e non riuscirebbero più a concentrarsi; sarebbe come avere un disturbo dell’attenzione. Queste persone hanno bisogno di attività fisica, come la corsa o la palestra, piuttosto che della mindfulness.

Psicoterapia cognitivo comportamentale

SOM: Nel Suo libro presenta un programma e offre strumenti pratici per affrontare il mondo del lavoro. Tra gli strumenti ha incluso anche le tecniche CBT (es. ABC). Come possono essere utili?

T.A.: Penso che la CBT sia utile per gestire l’ansia da prestazione sia in ambito lavorativo sia in ambito sociale perché permette alle persone di verificare la validità delle proprie ipotesi, come per esempio “Non sono bravo” oppure prendere un commento troppo duro come una critica. C’è una tendenza nell’Autismo al pensiero catastrofico e si possono presentare tutti i principali disturbi del pensiero, quindi la CBT è un modo per assicurarsi di cercare prove e verificarle.

Autistic burnout

Un ulteriore aspetto da considerare è il Burnout autistico. Vivere in un ambiente che non è Autismo-friendly alla fine rende la persona autistica depressa e la spinge ad abbandonare il lavoro perché non ha più energie ed è molto stressata. Può essere a causa delle pretese del mondo esterno, delle esigenze sociali, lavorative, sensoriali, che diventano troppo.

Quindi la persona deve domandarsi: “Quante ore alla settimana sono in grado di lavorare? Ci si aspetta che io lavori 38 ore alla settimana, ma non ce la faccio, ho bisogno di un lavoro part-time”.

Ci sono però lavori in cui non è importante se sei una persona autistica perché non c’è bisogno di incontrare altre persone, come per esempio il guardiano in uno zoo o la guardia forestale in un parco nazionale, dove tutto il giorno devi occuparti di badare ad animali e piante senza bisogno di interagire con altri.

Nessuno si accorgerà che la persona è autistica perché il modo principale per accorgersene è relazionarsi con lei. Se non hai persone con cui interagire, non sei autistico.

Un bellissimo messaggio da portare a casa

SOM: C’è un messaggio che vorrebbe che i nostri lettori si portassero a casa?

Esplorate l’Autismo: scoprirete un nuovo mondo e vi sentirete meglio per averlo fatto.

 

Il dott. Attwood sarà in Italia per l’evento Autismo al Lavoro che si terrà a Milano nei giorni 11-12 maggio 2023.

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SCRITTO DA
Valentina Davi
Valentina Davi

Coordinatrice di redazione di State of Mind

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