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Autismo al lavoro (2022) di Attwood e Garnett – Recensione

"Autismo al lavoro" è il nome di un programma finalizzato a fornire pratici strumenti da impiegare adattivamente nei più vari contesti professionali

Di Marta Rebecca Farsi

Pubblicato il 18 Gen. 2023

Il testo “Autismo al lavoro” esplicita senza mezzi termini: a fronte delle innegabili limitazioni, l’autismo possiede una serie di punti di forza parzialmente compensativi. Doti che possono essere proficuamente impiegate ai fini di un’affermazione personale e, perché no, anche di una gratificazione nel mondo del lavoro

 

Trovare un lavoro è un’autentica impresa, nella realtà odierna. Molti giovani escono da un percorso di studi lungo e impegnativo senza la possibilità di sfruttare professionalmente le conoscenze acquisite. I requisiti imposti dal mercato del lavoro sono variegati, mutevoli, spesso difficili da raggiungere e ancor più da mantenere: ma non si tratta soltanto di ciò che viene appreso sui libri. La creazione di un’identità professionale attendibile e competitiva si fonda soprattutto sulla capacità di integrare le conoscenze informative ed esperienziali con le risorse emotive, cognitive e comportamentali, in modo da dar vita a un modello operativo che si distingua per flessibilità, capacità decisionale, negoziazione, creatività, adeguate competenze di problem solving; il tutto coniugato a uno stile relazionale collaborativo, empatico e al contempo dotato di quell’ambizioso agonismo che consente l’evoluzione, la conquista, il progresso.

Date le premesse, appare legittimo chiedersi se un soggetto affetto da autismo possa sperare di introdursi funzionalmente nel mondo del lavoro, superando lo svantaggio socio-individuale al fine di creare un ruolo professionale gratificante, in linea con le proprie possibilità, ma soprattutto socialmente riconosciuto.

La risposta del testo di Attwood e Garnett parte con un dato poco ottimistico, riferendo come circa il 73% degli autistici, stando agli ultimi sondaggi compiuti, riferiscano una seria difficoltà nel reperimento e nel mantenimento di una posizione lavorativa. Molti lo trovano addirittura impossibile.

Non è tuttavia un messaggio di resa quello che traspare dal lavoro degli autori, il cui intento è in realtà volto a dimostrare come, anche in una dimensione indubbiamente sfavorita come quella autistica, sia possibile trovare spunti e opportunità di crescita.

Autismo: non solo limitazioni

Il testo lo esplicita senza mezzi termini: a fronte delle innegabili limitazioni, l’autismo possiede una serie di punti di forza parzialmente compensativi. Doti che possono essere proficuamente impiegate ai fini di un’affermazione personale e, perché no, anche di una gratificazione nel mondo del lavoro: ad esempio una portentosa memoria associativa, le ben sviluppate competenze visuo-spaziali, la capacità di concentrarsi sul dettaglio, conferiscono all’autistico un’attenzione precisa e minuziosa. Allo stesso modo le sue doti di perseveranza e caparbietà nell’ottenimento dei risultati possono renderlo un professionista serio e affidabile. Egualmente, la scarsa attenzione al pensiero conformistico e all’approvazione sociale rendono meno probabile la tenuta di condotte manipolative –financo sleali– così tristemente frequenti nel mondo del lavoro.

Ove inserito nell’adeguato settore di competenza, la persona con autismo si mostra dunque un compagno di lavoro serio, onesto e impegnato, cui è necessario riconoscere –al di là delle categorizzazioni etichettanti– il possesso di un bagaglio esperienziale meritevole di considerazione, anche in ottemperanza a quel pensiero inclusivo che non deve trovare attuazione soltanto all’interno delle aule scolastiche, ma in ogni altro settore sociale, sulla scia di un accoglimento dell’altro che sia pieno e consapevole.

Il lavoro sfida l’autismo. L’autismo accetta la sfida

“Giocare, essere socievole, immaginare, dare un nome ai propri sentimenti, reagire in modo adeguato, comprendere il mondo e la vita: se sei autistico sei prigioniero del tuo modo di pensare” (De Clerq, 2005, p. 143).

Ma non è il caso di arrendersi. Il testo inizia esponendo alcuni consigli utili a inserirsi nel mondo del lavoro accettandone le sfide.

  • Primo punto: essere consapevoli dei propri punti di forza e delle proprie capacità si mostrerà d’aiuto nella ricerca di un’occupazione che sia in linea con le stesse e al contempo soddisfi le aspirazioni personali. Per questo è opportuno che gli studenti autistici ricevano una valutazione dettagliata delle rispettive attitudini professionali sin dagli anni della scuola secondaria.
  • Secondo punto: presentare un curriculum che riporti nel dettaglio il proprio percorso formativo ed esperienziale. È necessario mostrare con chiarezza le proprie competenze, evidenziando capacità operative e spunti motivazionali nel settore specifico.
  • Terzo punto: allenare le competenze socio relazionali per gestire con successo il colloquio. Esercitarsi nelle tecniche di gestione conversazionale servirà ad aggirare le difficoltà comunicative e meta comunicative comportate dal disturbo. Per non lasciarsi cogliere dal tanto temuto “effetto sorpresa”, sarà inoltre opportuno provare a immaginare le domande che potrebbero venir poste e pianificare le risposte più adeguate. Si rivelerà un utile strumento di autoverifica.
  • Quarto punto: dichiarare o meno la propria condizione? Gli autori ritengono che si tratti di una scelta individuale, e per questo liberamente gestibile. Nel caso in cui si opti per una soluzione di trasparenza, palesando la presenza dell’autismo sin dal primo colloquio, sarà tuttavia opportuno sfatare il mito del tutto negativo, esponendo con sicurezza skills e punti di forza, nella speranza che si tratti dei requisiti necessari al superamento della selezione.

Il programma nel dettaglio

“Autismo al lavoro”. È questo il nome di un programma finalizzato a fornire pratici strumenti di gestione del Sé socio-individuale da impiegare adattivamente nei più vari contesti professionali. Non si fa riferimento ad alcun impiego specifico: gli strumenti operativi, simpaticamente denominati “cassetta degli attrezzi”, illustrano strategie di gestione del sé spendibili in ogni settore, al fine di evitare quei vissuti di disorientamento che generano reazioni improvvise, non riflettute, spesso risolte con l’agito.

“Autismo al lavoro” è articolato in sette fasi, della durata di due ore ciascuna, da svolgere preferibilmente con il supporto di un educatore o di un life coach una volta alla settimana, in un contesto gruppale. Le aree di interesse del programma sono quelle maggiormente coinvolte nella costruzione di un’identità professionale solida e funzionale: strumenti per la gestione dello stress, strumenti per la gestione sensoriale, strumenti sociali, strumenti per la consapevolezza, strumenti per il pensiero, strumenti organizzativi.

Le prime sei fasi sono dedicate alla regolazione delle aree considerate maggiormente problematiche per un lavoratore autistico, mentre l’ultima, oltre a costituire una sintesi delle precedenti, permette la costruzione di un piano di lavoro individuale nel quale inserire gli obiettivi personali e i mezzi per raggiungerli. Il tutto da attuare in un contesto strutturato –con l’autistico è meglio non lasciare mai nulla al caso– al fine di sviluppare anche capacità di problem solving, automonitoraggio e autocontrollo.

Come ci si riesce?

Per risultare funzionale lo stile cognitivo dell’autistico necessita di regolamentazioni dettagliate, routine, direttive chiare e coerenti, utili a muoversi in una realtà percepita come iperstimolante, talvolta frastornante.

Nell’adattare l’ambiente per le persone con autismo dobbiamo tenere conto dei loro stili di pensiero e dei loro problemi sensoriali. Dobbiamo imparare a osservare il mondo attraverso lenti autistiche, cercando di vederlo come lo vedono loro (De Clerq, 2005, p. 259).

Inutile coltivare pretese irrealistiche e infruttuose. Per questo il contenuto della cassetta degli attrezzi viene somministrato attraverso l’impiego di quei canali che appaiono preservati, ove non potenziati, dalla presenza del disturbo: l’attenzione visiva e la percezione sensoriale. Le singole sessioni operative si avvalgono pertanto di esemplificazioni fornite attraverso supporti audio, registrazioni, video-modeling.

Oltre a potenziare i punti di forza, il programma si prefigge l’obiettivo di aggirare i punti critici, limitandone lo svantaggio: la raccomandazione è volta a costruire una condizione di lavoro ben organizzata, in cui le direttive vengano esposte con un linguaggio sintetico e privo di giri di parole, cercando soprattutto di non sovraccaricare l’impianto cognitivo e la concentrazione.

L’autismo impedisce un’attività di pensiero multitasking e una modalità di ragionamento a doppio binario: questo rende altamente difficoltoso formulare punti di vista alternativi al proprio, capacità di mentalizzazione e lettura emotiva, così come impedisce la possibilità di tenersi occupati su più fronti, impiegando un’attenzione divisa. È dunque preferibile affrontare un problema alla volta, scrivendo dubbi e incertezze nel quaderno delle attività previsto per ogni partecipante, per poi esporre il contenuto all’educatore e ai compagni in una finalità di confronto.

“Autismo al lavoro” si premura inoltre di valorizzare l’approccio con il Sé corporeo mediante l’applicazione di pratiche meditative e di rilassamento muscolare progressivo, descritte in un’apposita sezione di appendice. Questo non solo per l’importante funzione comunicativo-relazionale rivestita dal corpo, ma anche al fine di limitare, attraverso una maggiore consapevolezza propriocettiva, i vissuti di isolamento e le componenti alessitimiche tipiche del disturbo.

Attenzione specifica viene rivolta alla conoscenza del proprio stile cognitivo –sarebbe erroneo credere che l’autistico non ne possegga uno– e allo sviluppo della capacità di automonitoraggio, in modo da valutare in una prospettiva adattiva le competenze, le reazioni, i comportamenti. Per questo il programma prevede, all’interno di ogni fase, la possibilità di fare il punto della situazione, una sorta di consuntivo generale svolto attraverso domande autorivolte e test di autoverifica utili a mantenere il controllo degli apprendimenti.

E infine l’ultima regola, ma la più importante: mai perdersi d’animo di fronte alle difficoltà. Avere pazienza, ricominciare da capo, essere consapevoli delle proprie capacità e renderle punti di forza, malgrado gli ostacoli e gli elementi critici.

Il significato del programma

Il testo si rivolge al target autistico con coerenza e semplicità espositiva. Lo stile è netto e chiaro, così come il contenuto, che arriva dritto all’obiettivo e lascia il segno.

Soprattutto colpisce il tentativo di fornire un metodo da utilizzare nei più vari contesti, a dispetto di quella difficoltà che il disturbo autistico provoca nella capacità di generalizzazione e astrazione dei concetti.

Ma l’impressione è che non si tratti di un paradosso, né di un errore metodologico, quanto di una sfida volta a dimostrare quante potenzialità e punti di forza possano scaturire dalla somministrazione di un programma educativo consapevolmente strutturato, pur in una situazione non neurotipica come quella in oggetto.

Il lavoro di Attwood e Garrett costituisce la testimonianza di quanto sia lontano il tempo in cui l’autismo veniva considerato non trattabile, in quanto non capibile.

Oggi l’autismo può essere trattato perché è stato possibile identificarne l’origine, le connotazioni eziopatologiche, la sintomatologia; informazioni attinte dai più vari settori di competenza (clinica, psicologia, neuropsicologia, e genetica) che hanno offerto preziosi spunti per la costruzione di programmi volti all’abilitazione e al progresso individuale. Con sorprendente efficacia, è innegabile. L’ABA, il Teach, il Denver: tanti passi sono stati fatti, da quando l’autismo veniva considerato una psicosi priva di soluzione terapeutica.

Oggi l’autistico può studiare, può lavorare, può costruirsi un ruolo socio-professionale valido e gratificante; può permettersi di avere aspirazioni, propensioni, capacità e competenze, e infine può strutturarsi una vita non svantaggiata, ma semplicemente diversa dalle altre. E non dimentichiamo quanto la diversità possa risultare fonte di arricchimento, di scoperta, di creazione, in un mondo che si apre alla globalizzazione e all’integrazione reciproca!

L’importante è muoversi nei rispettivi ambiti di competenza, mostrandosi coerenti con le proprie possibilità. Senza pessimismi paralizzanti né ottimismi irrealistici, ma semplicemente armati di una buona dose di pazienza, onestà intellettuale e impegno, che rendono tutte le imprese degne di essere portate avanti.

Il programma educativo di Attwood e Garnett offre le basi di un progetto di vita, carico di quella resilienza e motivazione con cui tutti –senza eccezioni– dovremmo reagire di fronte alle sfide e alle difficoltà.

Nessuno può tirarsi indietro, dunque. Con “Autismo al lavoro”, tutti al lavoro.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Attwood, T. Garnett, M. (2022) Autismo al lavoro: un programma in sette fasi per riuscire meglio nel mondo del lavoro,  LSWR, Milano;
  • De Clerq, H. (2005)  L’autismo da dentro: una guida pratica Erickson, Trento;
  • Vivanti, G. (2022) La mente autistica. Le risposte della ricerca scientifica all’enigma dell’autismo, Hogrefe, Firenze.
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