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Jingle REBT: affrontare le credenze disfunzionali – Christmas edition

Guida ironica per affrontare le credenze disfunzionali che si nascondono sotto l’albero attraverso la REBT

Di Marina Morgese

Pubblicato il 22 Dic. 2023

Gioie e dolori del Natale

Il mondo si divide in fan del Natale e in grinch. I primi, al ritorno dalle vacanze estive, sono già impegnati a riempire il carrello di Amazon di addobbi natalizi rigorosamente kitsch, anziché disfare le valigie. Per i secondi tutto fila liscio fino ad Halloween, dopo è un continuo chiudersi a discorsi su regali, addobbi o pranzi natalizi, non si sa se più per negazione (se non ne parlo non esiste) o per evitamento (so bene che esiste, ma se non lo affronto che male può farmi?!)  

In effetti –e mi tocca ammetterlo in quanto appartenente alla prima categoria– passare molto tempo in compagnia di parenti e amici tra baci, regali, giochi e pasti abbondanti, può mettere a dura prova l’equilibrio psicologico anche dei più accaniti fan del Natale, figuriamoci dei grinch! 

Ma non perdiamoci d’animo e chiediamo aiuto alla REBT per scovare quelle credenze disfunzionali che forse ci fanno vivere le festività con più ansia e malumore. Chissà, una volta riconosciute, ci potranno aiutare a sopportare anche il “non starai mangiando troppo vitello tonnato?” di zia Gigetta (ce l’abbiamo tutti una zia Gigetta!).

Si ma che cos’è la REBT? Lo spieghiamo qualche riga più sotto.

Questione di credenze

Perché per alcuni le festività natalizie sono fonte di stress e ansia? Secondo l’approccio cognitivo comportamentale, in ognuno di noi, in determinate situazioni, insorgono particolari pensieri, di cui spesso non siamo consapevoli, che possono dar vita a emozioni e comportamenti problematici e fonte di malessere. Una di queste situazioni può essere, per l’appunto, l’avvicinarsi del Natale. 

In particolare secondo Albert Ellis, uno dei fondatori della terapia cognitiva e padre della Rational Emotive Behavior Therapy (REBT), i pensieri possono dividersi in pensieri –o credenze– razionali, chiamati rational beliefs, e pensieri –o credenze– irrazionali chiamati irrational beliefs. Sono spesso questi ultimi i responsabili del nostro malessere psicologico.

Le credenze irrazionali, secondo la REBT, si possono dividere in quattro categorie:

  • Terribilizzazione / Catastrofizzazione
  • Valutazione Globale (di Sé, del Mondo e/o degli Altri)
  • Intolleranza alla Frustrazione
  • Doverizzazioni o Pretese

Se, in una particolare situazione o durante un particolare evento, diamo spazio a una credenza irrazionale, andremo incontro a emozioni disfunzionali, come ansia, rabbia, depressione, senso di colpa.

Ora, dopo la doverosa introduzione, vediamo quali credenze disfunzionali si nascondono sotto l’albero. 

Sarà un disastro!

I veri eroi delle feste natalizie sono quelli che si sacrificano con un “Festeggiamo a casa nostra!” e, come ogni racconto eroico che si rispetti, arriva sempre lo spannung, ovvero il momento in cui anche nel padrone di casa più rodato fa capolino quel pensiero: “E se qualcosa non va come sperato?! E se il pranzo non piacerà?! Oh mio dio! Sarà un disastro!!”

Questo è un esempio di terribilizzazione, ovvero una valutazione soggettiva del pericolo: un probabile evento spiacevole e negativo lo si etichetta come assolutamente negativo. Spesso a questi tipi di pensieri segue un’ansia molto intensa.

Un altro esempio di terribilizzazione natalizia potrebbe essere “Se non azzecco il giusto regalo, sarà tremendo!!” 

Come affrontare la terribilizzazione? Riconosciamo il pensiero e riconosciamo anche il fatto che siamo noi in realtà a etichettare come “terribile” qualcosa che oggettivamente non lo è; è davvero la peggior cosa che possa accadere preparare un pasto non proprio memorabile o non azzeccare il regalo per la suocera? Potrebbe sì essere spiacevole, ma non così terribile! Impariamo a definire gli scenari temuti per quello che sono: imbarazzanti, tristi, spiacevoli, ma di certo non terribili e irrimediabili! E ve lo dice una che per Natale si è cimentata –senza riuscirci, ovvio!– nella preparazione di panzerotti senza glutine (coi parenti pugliesi sento ancora l’onta che mi perseguita, ma con gli amici ci ridiamo ancora su… per lo meno ne resta un ricordo divertente!) 

Non valgo niente!

Bello quando tutti insieme si è a tavola e si mangia in allegria, tra un calice di vino e un sfizioso vol-au-vent… si ride, si discute, si scherza fino a quando… non arriva lei, la fatidica domanda del parente più attempato (o semplicemente più str… passivo-aggressivo!): “E tu quando ti laurei?”… in realtà la domanda cambia a seconda dell’età del destinatario, in ordine: “E tu la fidanzatina? E tu con quanto ti sei diplomato? E tu quando ti laurei / ti sposi / troverai un buon lavoro/ farai un figlio / farai un secondo figlio?” insomma… non c’è mai limite alla curiosità inquisitoria del parente. E se consideriamo che spesso, a una gentile risposta, segue il paragone con l’immancabile fratello/cugino che aveva raggiunto tutti questi traguardi già nella prima mezz’ora di vita, ecco che tutti i pianeti si allineano alla comparsa di un altro tipo di credenza disfunzionale: “Se non ho ancora raggiunto questo obiettivo come fanno gli altri alla mia età, allora non valgo niente!”. Tendenzialmente questo pensiero ci fa provare una profonda tristezza, vergogna e senso di colpa.  

Questo tipo di pensiero irrazionale riguarda la valutazione di sé: irrazionale è infatti la convinzione di potersi giudicare come persone buone o cattive, positive o negative, degne di valore o meno, a partire dalle nostre azioni, dai nostri traguardi o dai nostri comportamenti (Gazzotti, 2023). Ma come possiamo giudicarci sulla base di un solo aspetto, per quanto importante esso ci sembri? Davvero chi non si sposa, non si laurea o ha un lavoro appagante ma umile non vale abbastanza? 

Come affrontare questo pensiero quando bussa alla nostra mente? La risposta, secondo Ellis, è nell’accettazione incondizionata di se stessi: siamo troppo complessi per poter dire di noi stessi (o degli altri) che siamo buoni, cattivi, persone di successo o falliti. Non si può determinare il valore di un essere umano, generalizzando a partire da azioni e comportamenti specifici, è semplicemente illogico! Riconosciamo i nostri limiti e rinunciamo a qualunque giudizio, sia esso positivo o negativo. Stessa cosa anche nei confronti dell’altro! (Capito parente dalle mille domande?) 

Non posso sopportare tutto questo!

In alcune circostanze i pensieri irrazionali possono insorgere ben prima della full immersion di festeggiamenti e parenti. Lo scrivevo poco fa: c’è chi, dalla mezzanotte di Halloween, dà inizio all’evitamento natalizio. Facile immaginare il pensiero che accomuna tutti gli evitanti del Natale: “Non ce la posso fare! Non posso sopportare un altro pranzo natalizio a casa di zia Gigetta!” 

Questo è un caso di intolleranza alla frustrazione, ovvero la convinzione di non riuscire ad affrontare qualcosa di spiacevole. Spesso crediamo infatti di avere una certa soglia di sopportazione dei problemi e, una volta superata quella soglia, di non poter gestire e fronteggiare la situazione (DiGiuseppe, 2014). Questo può causare ansia, tristezza o rabbia. 

Come affrontare questo pensiero? Riconosciamo che la situazione che dovremo affrontare non sarà delle più piacevoli, ma riconosciamo anche che –fortunatamente e contrariamente a quanto pensiamo– abbiamo le giuste risorse per sopportarla! 

A Natale si deve essere felici!

Veniamo ora al pensiero irrazionale che più di tutti forse non ci fa andare giù le festività natalizie: “A Natale dobbiamo essere felici! Dobbiamo amarci e dobbiamo essere più buoni”… Quante doverizzazioni per un solo periodo dell’anno! 

Le doverizzazioni sono aspettative irrealistiche e assolute su come dovrebbe essere un evento, una situazione o come dovrebbero comportarsi le persone: noi stessi o gli altri (DiGiuseppe 2014). Alle doverizzazioni spesso seguono emozioni di rabbia, tristezza, frustrazione. 

Tutti noi possiamo avere un’idea di come dovrebbe andare il mondo in certe occasioni, ma ciò che rende disfunzionali le doverizzazioni è la loro rigidità (il mondo deve andare così a tutti i costi!). Infatti non c’è nulla di sbagliato nelle doverizzazioni in sé, esse hanno alla loro base un bisogno umano. Il problema non è il bisogno, ma il modo assoluto e rigido con il quale viene perseguito (Caselli, 2012).

Come gestire queste doverizzazioni? Trasformiamole in preferenze! Se modifichiamo il pensiero “A Natale dobbiamo essere felici!” in “Sarebbe bello se a Natale fossimo tutti felici”,  noteremo un cambiamento nell’emozione: mi sentirò un po’ meno frustrato se non riesco a essere così felice come mi aspetto e come gli altri si aspettano o se gli altri non sono felici e buoni come io vorrei! 

E con questo consiglio forse anche zia Gigetta accetterà più volentieri il fatto che, nonostante il suo “non si deve mangiare troppo”, quel vitello tonnato ci piace così tanto! 

Un attimo di serietà

Siamo ben consapevoli che per alcune persone il Natale può rappresentare un periodo molto triste dell’anno. In letteratura si parla di christmas blues o di disturbo affettivo stagionale, ma ci sono anche casi in cui particolari situazioni personali o familiari portano a vivere con sofferenza il periodo natalizio. In questo caso raccomandiamo sempre di rivolgersi a uno specialista della salute mentale. Allo stesso modo siamo ben consapevoli che quelli dati nell’articolo sono piccoli consigli basati sulla REBT, che invece va sempre applicata da un terapeuta specializzato che abbia seguito percorsi formativi ad hoc. 

L’intento dell’articolo, il cui taglio ironico è esplicitato sin dal titolo, è semplicemente quello di fare un po’ di psicoeducazione strappando un sorriso, nonché validare quelle emozioni e quei pensieri che spesso alcuni di noi fanno fatica ad accettare, pensando di essere i soli a farne esperienza, ma che in realtà sono più comuni di ciò che pensiamo. 

Buon Natale a tutti!

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SCRITTO DA
Marina Morgese
Marina Morgese

Caporedattrice di State of Mind

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