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REBT: Report dal Primary Practicum di Milano 2014

Il 7, 8 e 9 giugno 2014 è sbarcato in Italia il Primary REBT Praticum eseguito secondo il regolamento dell’Albert Ellis Institute (AEI) di New York.

Di Elena Tugnoli

Pubblicato il 30 Giu. 2014

 

Elena Tugnoli

Il 7, 8 e 9 giugno 2014 è sbarcato in Italia il corso di terapia razionale emotiva comportamentale di Albert Ellis, il “Primary REBT Praticum” originale eseguito secondo il regolamento dell’Albert Ellis Institute (AEI) di New York.

Il corso è stato tenuto da supervisori REBT certificati, i maggiori esponenti dell’istituto di New York, Kristine Doyle (direttore clinico dell’AEI), Raymond Di Giuseppe (direttore scientifico dell’AEI), e Ennio Ammendola, supervisore REBT.

Il corso prevedeva lezioni teoriche al mattino, concentrate sui fondamenti della REBT e tenute da Kristine Doyle o da Ray Di Giuseppe, e gruppi di esercitazione tra pari supervisionati anche da Ennio Ammendola nel pomeriggio.

Per me che già l’avevo seguito a New York non è stata una novità dopo avere già affrontato i successivi due livelli della formazione REBT (advanced e fellowship) e molte, moltissime, supervisioni. Eppure ho trovato ancora cose da imparare e ho potuto chiarire aspetti oscuri. La parte più interessante del corso sono state le piccole sfumature stilistiche e la flessibilità che questo tipo di terapia offre! Nell’individuazione dell’ABC bisogna essere dei veri investigatori al limite della pignoleria, eppure al tempo stesso occorre imparare a non disperdersi in troppe domande.

Mi chiedo: quali sono i punti fermi della REBT e quali invece sono le aree più personalizzabili?

La parte più rigida è la prima sezione, l’individuazione del problema. Nelle descrizioni di Doyle e DiGiuseppe sembra facile. In terapia non è così, ed è facile sottovalutare il problema e scadere nella vaghezza.

Gli Americani sconsigliano una apertura della seduta generica e raccomandano l’individuazione di una situazione problematica specifica per poter lavorare su qualcosa di concreto, il cosiddetto “A critico”. Questa è una delle sfumature da non perdere! Non è sufficiente la situazione ma ci serve l’A critico! Per essere in grado di centrare l’A critico, è importante chiedere un esempio recente di quando il paziente si è sentito a disagio o ha percepito quel fastidio.

La stessa attenzione va dedicata all’indagine scrupolosa dell’emozione. Ci si deve accertare che l’emozione sia chiara e definita, che all’interno di essa non ci siano altre emozioni e che sia disfunzionale (unhealthy), ovvero paralizzante e non volta alla soluzione del problema. Qui si può inserire uno spiraglio di flessibilità, indagare a piacimento, utilizzando scale per misurare l’intensità o chiedere a livello corporeo dove sente quell’emozione.

Si passa poi ai B (beliefs), ai pensieri, e soprattutto agli IB (irrational beliefs), i pensieri disfunzionali. È rimarcata l’importanza di non fermarsi ai soli pensieri negativi del paziente ma andare alla ricerca dei veri B irrazionali attraverso la catena di inferenze, continuando a chiedere “e qual è il problema in questo che ha pensato? Cosa non le piace in questo che ha pensato?” In questo gli allievi italiani si sono dimostrati eccellenti.

Un punto -rigido ma necessario perché penso sia la vera base della terapia- è mostrare l’ABC completo al paziente e al fine di concordare come non sia l’A ma il B a suscitare il C: ovvero non è la situazione che causa il malessere, ma il pensiero. Senza questo passaggio il cliente non ci seguirebbe più e non potremmo proseguire.

Altro punto focale della terapia è concordare l’obiettivo, e in particolare l’obiettivo emotivo. Quale emozione vorresti provare?

Ovvio che l’obiettivo non è di cambiare emozione ma di passare da una versione disfunzionale a una funzionale dello stato emotivo. Questo punto è quello teoricamente più discutibile ma utile nella pratica terapeutica. Si tratta di concordare con il cliente che lo stato d’ansia non va eliminato, ma può essere vissuto in termini più tollerabili e funzionali, chiamando la versione funzionale con un termine diverso. Ad esempio preoccupazione.

La parte più flessibile della terapia risulta essere quella del cosiddetto disputing. Una volta trovati i B irrazionali, che fanno parte di una delle quattro categorie: Doverizzazione o Pretese, Valutazione Globale (Di Sé, Del Mondo e/o Degli Altri), Catastrofizzazione e Intolleranza alla Frustrazione, decideremo come fare il disputing.

Per alcuni, ad esempio Windy Dryden, si parte sempre prima dalla Doverizzazione per poi affrontare le altre categorie; per altri terapeuti REBT invece le categorie sono tutte allo stesso livello e quindi possiamo disputare anche senza la presenza di una doverizzazione.

Il disputing si basa sull’esame della coerenza logica, del valore euristico/funzionale (pragmatico), e delle prove empiriche dei pensieri che sono alla base della sofferenza. E qua sta al terapeuta incoraggiare il cliente a mettere in discussione i suoi IB. Si possono utilizzare delle metafore. Kristine Doyle ci ha illustrato la metafora della mela: su un vassoio ci sono mele buone e succose e ce ne sono un paio marce, diresti mai che il vassoio ha solo mele marce? Utilizzando questa metafora mostriamo al cliente come il suo pensiero sia focalizzato sugli aspetti negativi.

Con prudenza possiamo usare perfino l’ironia, mai contro il cliente ma talvolta contro i suoi pensieri più negativi. Possiamo anche proporre soluzioni pratiche, di fronte alla necessità di provare nell’esperienza la possibilità di pensarla diversamente. Alcuni clienti rigidi e restii a cambiare sostengono che capiscono ma che non riescono a mettere in atto le nuove idee più funzionali. In questo caso due sono le strade possibili. Proporre di sperimentare personalmente la possibilità di poter tollerare le emozioni tanto temute; oppure proporre una soluzione pratica e cosiddetta “inelegante” modificando la situazione esterna, ad esempio incrementando l’assertività.

A fine seduta il terapeuta consegna i compiti a casa che hanno l’obiettivo di rinforzare i B razionali. Si possono dare compiti mirati a incrementare le auto-istruzioni, a partire da semplici post-it per arrivare a registrazioni di memo vocali da risentire.

A questo proposito Doyle e DiGiuseppe ci hanno proposto fin dall’inizio lo shame attack, l’esercizio anti-vergogna che è un “must” nel loro centro e della terapia. Questo esercizio consiste nel fare un’esposizione imbarazzante in pubblico e “stare nella vergogna”. Ci si può sbizzarrire e provare ad urlare in metropolitana, ballare al ristorante o perfino mettersi in mutande in piazza…a proprio rischio e pericolo!

Il Primary Training permette di imparare le tecniche REBT e fornisce al terapeuta una struttura di base al tempo stesso chiara e adattabile al proprio stile personale e alla propria creatività.

 

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Interview with Kristene A. Doyle & Raymond Digiuseppe from the Albert Ellis Institute on Rebt

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