Dietro la pretesa si nasconde sempre un bisogno umano. Ancora una volta il problema non è il bisogno ma il modo assoluto e rigido con il quale viene perseguito o richiesto agli altri.
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Tra gli schemi cognitivi che sostengono il malessere psicologico le ‘pretese’ hanno un ruolo molto delicato. Si tratta dell’applicazione di un dovere assoluto al comportamento degli altri e del mondo. Una regola così rigida e assoluta ostacola l’adattamento a un ambiente così fluido com’è quello in cui viviamo. La pretesa ci rende vulnerabili a ciò che qualunque esistenza chiede di far fronte: la frustrazione.
E poi si aggiunga che le proprie pretese non son certo facili da riconoscere, tantomeno da accettare. Ogni pretesa sembra in sé un po’ sporca e ingiusta, così le persone hanno bisogno di raffinati percorsi mentali per sostenerla: (1) non è una mia pretesa, è una regola morale universale, (2) non è una mia pretesa, ma l’alternativa mi è fisicamente intollerabile, (3) non è una mia pretesa, me ne giunge il diritto per riconosciute doti, geni o natali, (4) non è una mia pretesa, è che ho dato così tanto che mi spetta come ricompensa.
Insomma, da un lato l’essere umano pretende e respinge l’idea d’essere pretenzioso aggiustandosi con qualche forma di pseudorazionalizzazione o credenza protettiva. Avere ‘pretese’ non ci piace, ma abbandonarle vuol anche dire uscire al freddo clima della frustrazione, e neanche quello piace.
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Ma cosa noi pretendiamo?
Pretese di gratificazione: la richiesta assoluta di immediata gratificazione che si può riassumere nella norma “devo ottenere ciò che voglio immediatamente” oppure “ogni mio desiderio dev’essere un ordine per gli altri”. La natura di una simile pretesa è primitiva, impulsiva, incapace di sostenere la mancanza, la fame o anche il solo il ritardo: “tutto e subito”.
Pretese di correttezza: la richiesta assoluta di adeguamento a norme di correttezza, coerenza, imparzialità e onestà. Spesso si accompagna a una forte propensione all’autocontrollo e ipercoscienziosità che impone la medesima rigida correttezza a sé stessi. Si può affiancare alla tendenza a considerare norme morali o etiche come assolute anche quando non lo sono. La persona può implicitamente aderire a un sistema di norme e considerarle assolute, non riconoscendo la possibilità per gli altri di riconoscersi in sistemi valoriali differenti.
Pretese di successo: l’imposizione di, piuttosto che la preferenza verso alti standard. La presenza di obiettivi ambiziosi non sono un problema per sé, lo divengono nel momento in cui sono associati ad autocriticismo (es: “se non raggiungo alti standard sono un fallito”) o nel momento in cui interagiscono con pretese di successo (es: “le persone non devono ostacolare la realizzazione del mio potenziale”).
Pretese di attenzione e riconoscimento: la richiesta assoluta di soddisfazione dei propri bisogni affettivi o di stima. L’altro deve soddisfare questi bisogni, non può permettersi di trascurarli anche qualora non fossero chiaramente espressi (es: “avresti dovuto capirlo“). Non appena la persona si sente messa in secondo piano, ignorata o messa in discussione si scatena la furia difensiva.
Pretese di libertà assoluta: la richiesta assoluta di libertà e indipendenza. All’opposto della precedente, la persona richiede assoluta assenza di aspettative nei propri confronti. L’amarezza dell’altro non può e non deve dipendere dal suo comportamento. In sintesi “l’altro non ha diritto di porsi aspettative né manifestare delusioni ma deve accogliere ciò che sono disposto a dargli“.
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Si tratta di piccoli esempi. Molte altre pretese specifiche caratterizzano diverse persone. Se noi ora le rileggiamo forse vediamo un po’ di noi stessi in ciascuna pretesa, o meglio ne vediamo una versione distorta ed estrema che ne mette in luce la componente illogica o problematica.
Questo avviene perché dietro la pretesa si nasconde sempre un bisogno umano. Ancora una volta il problema non è il bisogno ma il modo assoluto e rigido con il quale viene perseguito o richiesto agli altri.
In fondo se considerassimo ciascuno di questi contenuti come delle preferenze piuttosto che come delle pretese avremmo modo di accettare le frustrazioni senza rinunciare totalmente ai nostri bisogni. Avremmo modo di comunicare le nostre richieste e necessità senza aspettarci che il mondo le debba riconoscere. Avremmo infine la possibilità, attraverso la negoziazione e la tolleranza del dolore, di approssimarci il più possibile alla realizzazione dei nostri obiettivi. E questo è ciò che gradualmente accade durante il cambiamento terapeutico.
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Quindi cominciamo così questa piccola esplorazione: appoggiamo le preferenze, fuggiamo le pretese.
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BIBLIOGRAFIA:
- Harrington, N. (2003). The development of a multidimensional scale to measure irrational beliefs regarding frustration intolerance. Unpublished doctoral thesis, University of Edinburgh, United Kingdom.
- Harrington, N. (2005). Dimensions of frustration intolerance and their relationship to self-control problems. Journal of Rational-Emotive and Cognitive-Behavior Therapy, 23(1). (DOWNLOAD)