Negli ultimi anni si è diffusa la falsa credenza che la somministrazione della melatonina esogena possa essere un trattamento specifico ed efficace per il disturbo depressivo, considerando l’andamento ciclico giornaliero dei sintomi depressivi. Le numerose evidenze scientifiche suggeriscono, invece, un ruolo modesto di questa sostanza in tale disturbo.
La melatonina
Negli ultimi anni la ricerca scientifica si sta occupando in maniera sempre più specifica di sondare gli effetti della melatonina, il suo ruolo in alcune psicopatologie e il suo razionale uso clinico.
La melatonina, come sostanza biochimica, è ascrivibile alla classe degli ormoni ed è prodotta principalmente dalla ghiandola pineale o epifisi ed esplicita la sua azione sull’ipotalamo. La produzione della melatonina non è costante nel ciclo di vita dell’individuo: infatti, essa raggiunge la maggiore quantità nella giovinezza per poi decrescere nel corso della maturità e della senescenza.
La sua sintesi nell’organismo umano è regolata dalla quantità di luce che giunge ai fotorecettori della retina. In altri termini, la sua produzione è esigua nel corso della giornata, mentre diviene massima nel corso della notte, raggiungendo il picco di produzione fra le due e le quattro del mattino. I recettori retinici, allorquando sono colpiti dai fasci luminosi, inviano un input inibitorio all’epifisi, che è responsabile della scarsa produzione dell’ormone. Al contrario, la mancanza di luce attiva la via neuronale che comincia dalla retina, si proietta sui nuclei soprachiasmatici dell’ipotalamo per arrivare all’epifisi, dove elicita la sintesi di melatonina.
Nell’ambito della produzione di questo ormone, un ruolo chiave lo svolgono i neurotrasmettitori: infatti, la sua secrezione viene stimolata dalla noradrenalina e richiede la serotina come precursore (Simonneaux e al., 2003). In sintesi, la produzione di melatonina da parte della ghiandola pineale regola, quindi, le funzioni corporee e i comportamenti umani secondo il ritmo del giorno e della notte (ritmo circadiano).
Disturbi depressivi e melatonina
Considerando la natura ciclica dei disturbi depressivi, il loro andamento nel corso della giornata (i sintomi depressivi appaiono della massima intensità al mattino, mentre decrescono nel corso della giornata), la ricerca, nel corso degli anni, ha focalizzato la sua attenzione sulle connessioni che esistono tra melatonina e depressione.
La depressione può far parte del disturbo depressivo vero e proprio o essere una fase del disturbo bipolare. Essa si manifesta, secondo il DSM – 5 (2014), con umore depresso (sentimento di tristezza, vuoto esistenziale, disperazione), perdita di interesse per le attività quotidiane, diminuzione o aumento dell’appetito, con relativo dimagrimento o sovrappeso, insonnia o ipersonnia, agitazione o rallentamento psicomotorio, mancanza di energia, vissuti di autosvalutazione e senso di colpa, rallentamento ideatorio, con ridotta concentrazione, frequenti pensieri di morte.
Relativamente all’origine della depressione, in ambito biologico sono state proposte diverse ipotesi nel corso del tempo.
La prima ipotesi è stata quella neurochimica, che ha visto dapprima l’origine della depressione, secondo la teoria monoaminergica e la teoria recettoriale monaminergica, in una deplezione delle amine biogene (dopamina, serotonina e noradrenalina) o in una diminuzione della loro attività nell’ambito del Sistema Nervoso Centrale (Stahl, 2008), e successivamente, secondo l’ipotesi neurotrofica, come prodotto di un deficit nella produzione di BDNF (Brian Derived Neurotrophic Factor) nel SNC (Duman, 2006).
Ancora, in ambito biologico, è stata proposta l’ipotesi di una disfunzionalità del sistema ipotalamo – ipofisi – surrene, con livelli elevati di cortisolo plasmatico, come origine della depressione (Young, 2004).
Attualmente, nel contesto biologico, si sta facendo sempre più strada l’ipotesi della depressione come malattia infiammatoria cronica, nell’insorgenza della quale un ruolo chiave lo riveste l’attività delle citochinine proinfiammatorie (Dowlati e al., 2010).
Le correlazioni fra produzione di melatonina e comportamenti legati ad un eventuale stato depressivo sono state studiate nei ratti. Infatti, a quanto si è detto, la diminuzione di melatonina sarebbe elicitata da una diminuzione delle ore di luce e proprio questa condizione è stata utilizzata a livello sperimentale per studiare tali collegamenti. I ratti, esposti per quattro settimane ad una luce di bassa intensità nel corso della giornata, hanno mostrato un incremento dell’immobilità, scarsa capacità di iniziativa, minore propensione ad alimentarsi e altre manifestazioni ascrivibili ai sintomi comportamentali depressivi (Ashkenazy-Frolinger e al., 2010; Deats e al., 2015). In aggiunta, in questi animali il trattamento con melatonina ha migliorato i sintomi depressivi summenzionati (Ali e al., 2020).
Nell’uomo non si è trovata questa corrispondenza: infatti, differenti ricerche hanno studiato l’utilizzo della melatonina esogena o di farmaci agonisti della melatonina nel trattamento della sindrome depressiva. Alcuni di questi studi hanno stabilito che la melatonina (ad un dosaggio che arriva fino a 10 mg al giorno) sembra incidere positivamente sull’insonnia che si manifesta nel disturbo depressivo, ma non sugli altri sintomi (Dolberg e al., 1998). Altre ricerche hanno sottolineato il benefico effetto della melatonina solo sul disturbo affettivo stagionale (SAD) (Lewy e al., 1998). Da qualche anno nell’ambito della cura della depressione si utilizza l’agomelatina, un antidepressivo di terza generazione, che ha un’azione agonista sui recettori melatoninergici M₁ ed M₂. In pratica, questa molecola simula l’azione regolatoria della melatonina (Mauri e Volonteri, 2017). Gli studi fin qui condotti, non hanno mostrato la superiorità di questo farmaco rispetto ad altri farmaci antidepressivi (paroxetina, fluoxetina, sertralina, escitalopram e venlafaxina) nel trattamento della depressione (De Berardis e al., 2013; Guaiana e al., 2013).
Attualmente, l’uso razionale della melatonina è indicato per il trattamento di alcune forme d’insonnia (difficoltà di addormentamento) (dosaggio fra 1 e 5 mg al giorno). Inoltre, essa è raccomandata nel trattamento aggiuntivo dell’insonnia dell’età evolutiva, che compare nel corso dell’ADHD e dell’autismo, nella cura dell’insonnia dei lavoratori che hanno frequenti turni di notte e in alcune sindromi da fuso orario (jet lag) (Tonon e al., 2021).
In conclusione, negli ultimi anni si è diffusa la falsa credenza che la somministrazione della melatonina esogena possa essere un trattamento specifico ed efficace per il disturbo depressivo, considerando l’andamento ciclico giornaliero dei sintomi depressivi. Le numerose evidenze scientifiche suggeriscono, invece, un ruolo modesto di questa sostanza in tale disturbo. Un uso razionale della melatonina è indicato per alcune forme d’insonnia dell’età adulta (difficoltà di addormentamento) e dell’età evolutiva (insonnia nel corso di ADHD e dei disturbi dello spettro autistico).