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L’epidemia odierna: i perfezionisti nevrotici e inconsapevoli

I giovani d'oggi mostrano una tendenza molto più forte al perfezionismo rispetto alle generazioni precedenti e questo è sempre più causa di grave sofferenza

Di Erica Benedetto

Pubblicato il 18 Feb. 2019

Aggiornato il 08 Mag. 2019 09:58

Il perfezionismo è un fenomeno ancora ampiamente sottovalutato e poco riconosciuto: molti individui percepiscono un profondo disagio e celano le loro imperfezioni a coloro che potrebbero fornire un aiuto (come psicologi, insegnanti e medici di famiglia).

 

Viviamo in una società in cui l’errore non è ammesso e l’imperfezione crea disagio. Non stupisce, quindi, che il perfezionismo abbia preso il controllo sulle nostre vite, specialmente nell’ultimo ventennio.

Più gli anni passano e più gli individui con tale tendenza divengono sempre più sofferenti e sempre meno consapevoli. Per questo motivo, il perfezionismo è stato oggetto di numerosi studi al fine di raggiungere una comprensione del fenomeno il più possibile completa.

Ma che cos’è il perfezionismo? E che cosa comporta essere un “perfezionista”?

Il perfezionismo, in primis, coinvolge l’ambizione alla perfezione e all’impeccabilità, caratteristiche richieste sia a se stessi che agli altri. Oltre a ciò, sono presenti reazioni estremamente negative agli errori, un rigido auto-criticismo, dubbi opprimenti e asfissianti riguardo le proprie abilità performative e, infine, un’intensa percezione degli altri come critici ed esigenti.

Un recente studio della Dalhousie University e della York St John University ha indagato vari aspetti del perfezionismo: comprensione, valutazione e trattamento. Per ottenere una comprensione esaustiva del fenomeno, lo studio è stato condotto attraverso una meta-analisi in larga scala, comprendente 77 ricerche e 25.000 partecipanti circa. I due terzi dei partecipanti erano donne. L’età media dei partecipanti rientrava tra i 15 ai 49 anni.

Attraverso questo studio, i ricercatori hanno concluso che i giovani di oggi hanno una tendenza maggiore al perfezionismo rispetto alle generazioni passate. Secondo gli autori, le cause di ciò sono diverse e piuttosto complesse: in parte, questa forte tendenza al perfezionismo sarebbe imputabile al modello competitivo caretteristico del mondo in cui viviamo, dove posizione e performance hanno un valore primario al punto che il successo e l’interesse egoistico sono enfatizzati; fanno la loro parte anche i social media e le vite irrealisticamente “perfette” che vengono regolarmente proiettate negli schermi: le ultimissime pubblicità impongono standard inconfutabili di perfezione. È così che i millennials si ritrovano circondati da metri di giudizio fittizi su cui imparano a basare il proprio successo o il proprio fallimento. Oltre a ciò, lo sviluppo di una personalità perfezionista è influenzato anche dall’essere cresciuti con genitori controllanti e critici.

Dunque, il diffondersi del perfezionismo sta diventando un serio problema nella società occidentale, dal momento che esso è significativamente correlato ad ansia, stress, depressione, disturbi dell’alimentazione e della nutrizione e, addirittura, suicidio. Pertanto, si fa sempre più urgente la necessità di impegnarsi in attività di prevenzione rispetto al dilagare di tale tendenza attraverso la promozione di interventi mirati. Bisogna ridurre la rigidità e il controllo delle pratiche genitoriali e delle influenze socio-culturali, come per esempio le immagini mediali irrealistiche che contribuiscono al perfezionismo.

Cosa succede quando il perfezionismo è radicato nel tempo?

Un altro risultato del presente studio è riferibile al decorso del perfezionismo: pare che più tempo si passa senza ridurre o trattare questa tendenza, più il perfezionismo appare radicato, irremovibile e invalidante. La personalità diventa più nevrotica (vi è più tendenza a sperimentare emozioni negative come colpa, invidia e ansia) e meno consapevole (meno organizzata, meno efficiente e disciplinata).

Rincorrere la perfezione – obiettivo intangibile e impossibile – potrebbe portare ad un più alto numero di fallimenti e a minori successi che hanno come conseguenza quella di rendere l’individuo ancora più sofferente e consapevole delle proprie imperfezioni, oltre a far diventare più ardua l’impresa di raggiungere gli obiettivi prefissati.

Limiti dello studio e prospettive future

Il presente studio non ha, infine, riscontrato differenze di genere nei livelli di perfezionismo di donne e uomini. I ruoli di genere appaiono quindi insignificanti nella moderna gara utopica a “essere Dio”, dove la pressione al perfezionismo investe allo stesso modo donne e uomini. Tuttavia, non è stato indagato nello studio quali motivazioni spingono uomini e donne al rifiuto delle imperfezioni e degli errori. Le ricerche future potrebbero orientarsi proprio verso questa direzione e indagare se tra i motivi che guidano gli uomini si ritrovano motivazioni basate sul raggiungimento dei risultati e sul successo (come per esempio competere per le risorse) mentre le donne potrebbero essere guidate da un perfezionismo più di stampo relazionale (come per esempio essere giudicate amabili e piacevoli dagli altri).

In conclusione

Nonostante la sua considerevole diffusione nella nostra società, il perfezionismo è un fenomeno ancora ampiamente sottovalutato e poco riconosciuto: molti individui percepiscono un profondo disagio e celano le loro imperfezioni a coloro che potrebbero fornire un aiuto (come psicologi, insegnanti e medici di famiglia). L’esigenza è, quindi, quella di rispondere alla cosiddetta “epidemia del perfezionismo” ad un livello culturale e genitoriale.

Nell’ambiente familiare, per esempio, i genitori dovrebbero esercitare meno controllo, essere meno critici e iperprotettivi verso i propri bambini. Bisognerebbe insegnare loro a tollerare gli errori e imparare proprio da questi ultimi, enfatizzando il sacrificio, il duro lavoro e la disciplina piuttosto che la ricerca irrealistica di una perfezione irraggiungibile. L’amore incondizionato, dunque: dove il genitore valorizza il proprio figlio al di là delle sue performance, della posizione raggiunta o dell’apparenza. Questo sembrerebbe un buon antidoto contro il perfezionismo.

A livello culturale, d’altro canto, il perfezionismo è un mito e i social media rappresentano il suo personale narratore. Abbiamo bisogno di trasmettere un salutare scetticismo verso quelle vite sospettosamente “perfette” che vengono diffuse attraverso post e pubblicità. Mentre photoshop elimina ogni imperfezione e i filtri fanno luccicare le nostre parti umanamente “opache” nel tentativo di diventare corpi statuari degni di copertina e robot instancabili e infallibili, abbandoniamo totalmente quello che realmente ci rende umani: la nostra unicità, la nostra vulnerabilità, le nostre particolarità e le nostre difficoltà.

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