Nel trattamento della depressione, la CBT, la terapia psicodinamica, la terapia metacognitiva sono gli approcci a cui oggi più spesso si ricorre e dei quali si hanno più dati a disposizione per valutare gli effetti e i benefici per i pazienti. Vi sono però altre tecniche, psicoterapiche e non solo, alle quali si può ricorrere nel trattamento della depressione.
Depressione e Terapia ElettroConvulsivante
A dispetto dell’immaginario collettivo che la associa alle disumane pratiche dei manicomi degli anni ‘30, la Terapia ElettroConvulsivante (TEC – ai tempi nota come Elettroshock) è oggi tuttora in uso, soprattutto nel trattamento delle depressioni più gravi.
La TEC rilascia, mediante elettrodi applicati sullo scalpo, una corrente elettrica altamente controllata sulla corteccia prefrontale del cervello, che risulta ipoattivata nelle persone che soffrono di depressione. Intervenire con la TEC comporta tuttavia dei rischi soprattutto a livello cognitivo.
Per questo motivo alcuni ricercatori (Tor, Bautovich, Wang, Martin, Harvey e Loo, 2015) stanno valutando gli effetti di una stimolazione con impulsi ultra-brevi. La stimolazione ultra-breve rilascia impulsi di elettricità con una durata più breve di quella standard e separati da delle piccole pause, in questo modo la stimolazione del tessuto cerebrale viene ridotta di un terzo rispetto alla stimolazione standard. Dalle analisi è emerso che la TEC standard è leggermente più efficace per il trattamento della depressione, richiedendo in media una seduta in meno di trattamento rispetto alla terapia ad impulsi ultra-brevi, ma porta con sé una maggior incidenza di effetti collaterali sul versante cognitivo, in particolare sulle funzioni mnestiche.
La stimolazione ultra-breve invece diminuisce significativamente il rischio potenziale di distruzione delle memorie formate prima del trattamento ed è efficace quasi allo stesso livello della TEC standard. Per questo motivo questo nuovo trattamento, che si sta gradualmente inserendo nella pratica clinica in Australia, costituisce uno dei più significativi sviluppi nel trattamento clinico della depressione severa degli ultimi 20 anni. Nonostante i benefici della stimolazione ultra-breve siano significativi, i ricercatori sottolineano come la TEC standard non possa essere accantonata, ma va considerata come via terapeutica nei casi che richiedono una risposta più veloce al trattamento in condizioni di urgenza ed emergenza.
Depressione e stimolazione transcranica a corrente diretta continua
Tra gli ulteriori strumenti a cui si può ricorrere nel trattamento della depressione, va ricordata anche la stimolazione transcranica a corrente diretta continua (tDCS). La Transcranial Direct Current Stimulation (tDCS) è una forma di stimolazione cerebrale non invasiva e consiste nel far passare una debole corrente elettrica depolarizzante nella parte anteriore del cervello con l’uso di elettrodi posti sul cuoio capelluto, durante la procedura i pazienti rimangono svegli e vigili.
La tDCS, nata in Italia e oggi usata in tutto il mondo, è una tecnica di facile applicazione con cui è possibile stimolare diverse parti del cervello in modo non invasivo, efficace, indolore e senza effetti collaterali significativi (le più frequenti percezioni riscontrate sono un leggero pizzicorio/prurito/calore all’inizio della stimolazione nei punti in cui sono posizionati gli elettrodi). Nonostante sia una tecnica “giovane”, molti studi la indicherebbero come un possibile prezioso strumento anche per il trattamento di altre condizioni neuropsichiatriche oltre la depressione, quali ansia, morbo di Parkinson, demenza di Alzheimer, dolore cronico, dipendenze, riabilitazione post ictus o traumi.
La tDCS permette due tipi di stimolazioni: anodica e catodica. La stimolazione anodica provoca un’eccitazione dell’attività neuronale e quella catodica la inibisce o la riduce. La stimolazione tDCS consiste in una debole corrente elettrica continua all’intensità costante di 1-2 mA, non percepibile dalla persona, che viene applicata allo scalpo tramite una coppia di elettrodi (uno eccitatorio, l’anodo, e uno inibitorio, il catodo) di 35 cm² di superficie. Gli elettrodi sono rivestiti da una spugna sintetica imbevuta di una soluzione salina per aumentare la conduttività (consentendo di attraversare le ossa craniche e raggiungere l’area cerebrale d’interesse) ed evitare possibili effetti fastidiosi causati dall’applicazione diretta di corrente.
A questo punto vengono inseriti all’interno di una cuffia di gomma (non conduttiva) che ne facilita il fissaggio sulla testa. Generalmente viene utilizzato un montaggio in cui l’elettrodo attivo viene posizionato sull’area che si intende stimolare mentre l’elettrodo di riferimento viene posizionato sull’area sovraorbitale controlaterale o in un’area non cefalica (ad esempio sulla spalla).
Questa tecnica, attraverso il flusso di corrente da un elettrodo all’altro, modifica i potenziali di membrana dei neuroni permettendo di modulare l’eccitabilità della corteccia cerebrale e quindi l’attività neuronale del cervello, aumentando o diminuendo la funzionalità dell’area stimolata (producendo effetti a livello cognitivo e comportamentale) per un tempo che permane oltre la durata della stimolazione. In particolare, la stimolazione anodica depolarizza i neuroni aumentando l’eccitabilità corticale dell’area stimolata, mentre la stimolazione catodica iperpolarizza i neuroni con effetti inibitori. Se la stimolazione viene ripetuta più volte è possibile rendere tali modificazioni più stabili e durature (Bolognini et al. 2009).
La differenza tra tDCS e terapia elettroconvulsiva, sta nel fatto che quest’ultima prevede una corrente molto più forte – tipicamente 800 milliampere, o 800 volte la corrente utilizzata nella tDCS – ed è progettata per produrre una scarica controllata. Altre differenze includono il fatto che la TEC fornisce un breve impulso piuttosto che una corrente costante.
Nei soggetti con depressione, gli elettrodi vengono posizionati sulle loro tempie in modo che la corrente possa attraversare la corteccia prefrontale dorsolaterale (un’area con attività diminuita in tali soggetti). Le persone con depressione mostrano l’ipoattività cerebrale in diverse aree cerebrali, ma soprattutto in questa regione; si pensa che il meccanismo d’azione della stimolazione possa aumentare l’attività nella corteccia prefrontale dorsolaterale, ma ancora non è stato dimostrato nessun effetto di questo tipo.
Esistono ulteriori tecniche progettate per modificare l’attività elettrica del cervello: la stimolazione magnetica transcranica, la stimolazione transcranica a corrente alternata, la stimolazione profonda del cervello e gli ultrasuoni focalizzati.
Depressione e pratiche meditative: la mindfulness
Ma le tecniche di stimolazione cerebrale non sono le sole a essere applicate nella cura della depressione, molto utilizzate risultano anche le pratiche meditative, in particolare la Mindfulness.
La mindfulness è una forma di meditazione applicabile all’attività clinica. Essa è una pratica di attenzione al momento presente, attenzione consapevole, intenzionale e non-giudicante. Jon Kabat-Zinn è stato il primo a portare la mindfulness nel contesto psicoterapico. Per Kabat-Zinn, per nutrire il terreno del nostro atteggiamento e affinché la nostra pratica della consapevolezza possa crescere rigogliosa e fiorire, dobbiamo coltivare sette atteggiamenti: non giudizio, pazienza, la “mente del principiante” (essere disposti a guardare ogni cosa come se la vedessimo per la prima volta), fiducia, non cercare risultati, accettazione, lasciare andare, impegno nella pratica e visione di ciò che si desidera per se stessi.
Jon Kabat-Zinn, sostiene che meditare possa trasformare in modo duraturo la sofferenza e lo stress.
L’obiettivo della Mindfulness è di eliminare quindi la sofferenza inutile, coltivando una comprensione e accettazione profonda di qualunque cosa accada attraverso un lavoro attivo con i propri stati mentali. Quindi, la pratica della Mindfulness consente di passare da uno stato di disequilibrio e sofferenza ad uno di maggiore percezione soggettiva di benessere, grazie ad una conoscenza profonda degli stati e dei processi mentali.
Kabat-Zinn ha reso la Mindfulness accessibile alle possibilità psicologiche e fisiche dei pazienti e facilmente adattabile a condizioni mediche particolari: nel 1979 avvia il programma per la riduzione dello stress basato sulla coltivazione della consapevolezza. Il programma MBSR creato e messo a punto da Kabat-Zinn è caratterizzato da tempi limitati e limiti di movimenti e spazi; è un percorso strutturato, in cui si unisce la tecnica Mindfulness agli aspetti scientifici e psicoeducativi.
Negli ultimi venticinque anni la mindfulness è stata efficacemente applicata su diverse psicopatologie tra cui la depressione, ma anche su disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo da stress post-traumatico, dipendenze, dolore cronico e molto altro.