Sebbene sia stato scritto da un giornalista e abbia come protagonista uno dei grandi geni maledetti della musica rock, “ Syd Diamond. Un genio chiamato Barrett ” è un libro molto psichiatrico, che è stato anche preceduto dalla pubblicazione da parte dell’autore di un articolo scientifico su una rivista prestigiosa (Campanella, 2015).
Syd Diamond e la sindrome di Asperger
Oltre all’accurato ed appassionato racconto della vicenda umana del grande chitarrista dei Pink Floyd (di cui quest’anno ricorre il decennale della morte), la nuova tesi che l’autore propone è che Syd fosse affetto dalla sindrome di Asperger, un disturbo dello spettro autistico ad alto funzionamento, che prende il nome dal pediatra austriaco che per primo descrisse questo quadro, di cui pare che pure lui stesso soffrisse in forma lieve.
Le persone affette da questo disturbo possono presentare stereotipie comportamentali, difficoltà nel provare empatia, sinestesie (la contaminazione tra diversi piani sensoriali), ecolalia (cioè il ripetere parole pronunciate da altri), una particolare andatura goffa, trasandatezza, tendenza al soliloquio e una certa predisposizione sul piano artistico (soprattutto nell’ambito delle arti visive). Alcuni di questi aspetti come la sinestesia, l’ecolalia, le stereotipie e la ricerca onomatopeica vengono riconosciuti dall’autore nelle particolari modalità compositive musicali di Syd Barrett e dei primi Pink Floyd ed emersero anche successivamente nel suo modo di dipingere.
Il caso di Syd Barrett
Questa tesi si contrappone a ipotesi precedenti di altri studiosi che avevano inquadrato il caso di Syd Barrett come schizofrenia. L’autore non nega che l’artista abbia avuto episodi psicotici, indotti però dal massiccio utilizzo di sostanze stupefacenti come l’LSD (vengono riportare assunzioni giornaliere fino a 50 trip al giorno) o il Mandrax (il potente barbiturico Metaqualone oggi fuori commercio). L’ipotesi di una psicosi esogena, rispetto a quella di una psicosi endogena può essere certamente accettabile. Dalle biografie risulta evidente come il funzionamento di Syd nella seconda parte della vita, da quando praticamente smise di fare il musicista, fu di tipo psicotico, con un importante ritiro sociale, un’assenza pressoché completa di relazioni, una regressione a un fortissimo legame con la figura materna, un’incapacità ad impegnarsi in altre attività se non la pittura di quadri che poi distruggeva.
L’autore sottolinea come Syd non venne praticamente mai ricoverato in ambito psichiatrico e anche l’assunzione di psicofarmaci fu ridotta, come a voler sottolineare che il quadro fu più di tipo psicorganico. Viene anche ipotizzato un possibile disturbo di personalità di tipo schizoide, sfociato in psicosi dall’uso imponente di sostanze stupefacenti. Oltre agli aspetti nosografici sicuramente puntuali ed interessanti, il libro contiene alcune interviste esclusive alle fidanzate e al nipote di Syd. La storia del musicista si intreccia nel libro con la storia della psichiatria degli anni settanta, che vide protagonisti rivoluzionari culturali e visionari come Gregory Bateson e Ronald Laing. Sicuramente interessante per gli appassionati del genere psicorock e dintorni.