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EMDR

Negli ultimi anni, la letteratura internazionale ha enfatizzato l’efficacia dell’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR) nel trattamento del Disturbo post-traumatico da stress.

Aggiornato il 27 ago. 2023

EMDR: Che cos’è

L’EMDR è stata presentata per la prima volta nel 1989 e sviluppata nel 1990 da Francine Shapiro e a oggi può essere definito a tutti gli effetti, un approccio empiricamente supportato per il trattamento di esperienze traumatiche che hanno contribuito allo sviluppo della psicopatologia o del disagio psichico nel paziente.

Questa metodologia, utile per il trattamento di disturbi causati da eventi stressanti o traumatici come il disturbo da stress post-traumatico, sfrutta i movimenti oculari alternati, o altre forme di stimolazione alternata destro/sinistra, per ristabilire l’equilibrio eccitatorio/inibitorio, permettendo così una migliore comunicazione tra gli emisferi cerebrali.

Si parla di traumi con la T maiuscola per riferirsi a eventi di vita che hanno coinvolto la persona in modo violento come incidenti, lutti, disastri naturali (terremoti, inondazioni ecc.) e di traumi con la t minuscola per riferirsi a traumi relazionali, cioè la quotidiana e ripetuta esposizione a figure di attaccamento disfunzionali e a contesti familiari patologici, che provoca traumi emozionali. (Fernandez I., 2013).

EMDR per il disturbo da stress post-traumatico (DSPT)

Negli ultimi anni, la letteratura internazionale ha enfatizzato l’efficacia dell’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR) nel trattamento del Disturbo post-traumatico da stress (Shapiro & Solomon, 1995; Seidler & Wagner, 2006; Pagani et al., 2012).

Il disturbo da stress post-traumatico (DSPT) si sviluppa in seguito all’esposizione del soggetto ad un evento traumatico nel quale la persona ha vissuto, ha assistito, o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri. La risposta della persona comprende paura intensa e sentimenti di impotenza o di orrore. Come riportato dal DSM-V l’evento traumatico viene rivissuto ripetutamente in diversi modi, ed il soggetto mette in atto un evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma. Si verificano inoltre alterazioni negative dell’umore o delle cognizioni, ed un’attenuazione della reattività generale, oltre che sintomi di aumentato arousal.

La ricerca ha dimostrato che a seguito di un evento stressante c’è un’interruzione del normale modo di processare l’informazione da parte del cervello. Ciò include il fallimento nel creare una memoria coerente dell’esperienza, in quanto tutti gli aspetti di memoria, pensiero, sensazioni fisiche ed emotive dell’evento traumatico non riescono ad essere integrati tra loro e con altre esperienze. La patologia in questi casi emerge a causa dell’immagazzinamento disfunzionale delle informazioni correlate all’evento traumatico, con il conseguente disturbo dell’equilibrio eccitatorio/inibitorio necessario per l’elaborazione dell’informazione. Questo provoca il ‘congelamento’ dell’informazione nella sua forma ansiogena originale, nello stesso modo in cui è stato vissuto; l’informazione congelata e racchiusa nelle reti neurali non può essere elaborata e quindi continua a essere disturbante per la persona.

I movimenti oculari saccadici e ritmici tipici della terapia EMDR, concomitanti con l’individuazione dell’immagine traumatica, delle convinzioni negative ad essa legate e del disagio emotivo, facilitano la rielaborazione dell’informazione, fino alla risoluzione dei condizionamenti emotivi. In questo modo l’esperienza è usata in modo costruttivo dalla persona ed è integrata in uno schema cognitivo ed emotivo non negativo.

La tecnica EMDR segue la teoria del processamento dell’informazione e si rivolge alle memorie disturbanti individuali ed ai significati personali dell’evento traumatico e delle sue conseguenze, attivando la rete dei ricordi. La terapia EMDR procede tramite catene di associazioni, collegate con stati che condividono gli elementi sensoriali, cognitivi o emotivi del trauma. Il metodo adottato non è di tipo direttivo; l’individuo è incoraggiato a ‘lasciare accadere qualsiasi cosa avvenga limitandosi a notarla‘ mentre le memorie liberamente associate entrano nella mente tramite l’esposizione immaginativa, in forma di brevi flash.

In accordo con le teorie del condizionamento classico, promuovere l’attenzione a informazioni correlate alla paura facilita l’attivazione, l’abituazione e la modificazione della struttura di paura.

Durante la terapia EMDR, i terapeuti spesso accedono solo a brevi dettagli della memoria traumatica, ed incoraggiano la distorsione o il distanziamento dell’immagine che, in accordo con le teorie tradizionali, dovrebbe esitare in un evitamento cognitivo. La terapia EMDR incoraggia tuttavia gli effetti distanzianti che sono considerati efficaci nel processamento della memoria piuttosto che nell’evitamento cognitivo.

L’EMDR comprende il complesso delle risposte emotive che seguono un evento stressante analizzando stati affettivi, sensazioni fisiche, pensieri, emozioni e credenze contemporaneamente.

Il cambiamento cognitivo che la terapia EMDR evoca, mostra che il soggetto può avere accesso a informazioni correttive e collegarle alla memoria traumatica e ad altre reti di memorie associate. Tutto ciò avviene con piccole, se non nulle, indicazioni da parte del terapeuta. L’integrazione del materiale positivo e negativo che avviene spontaneamente durante il processo di desensibilizzazione dell’EMDR somiglia all’assimilazione in strutture cognitive (in linea con la teoria del processamento adattivo dell’informazione), così come accade per le visioni del mondo, i valori, le credenze e l’autostima.

L’ EMDR e il trauma complesso

L’emdr è molto usato anche nel trattamento del trauma complesso: il Disturbo Post-Traumatico da Stress Complesso (DPTSc) descritto da van der Kolk e colleghi nel 2005, che comprende sette gruppi di sintomi: alterazione della regolazione delle emozioni e degli impulsi, sintomi dissociativi e difficoltà di attenzione, somatizzazioni, alterazioni nella percezione e rappresentazione di sé, alterazioni nella percezione delle figure maltrattanti, disturbi relazionali, alterazioni nei significati personali. Autori come Herman e van der Kolk tendono infatti a considerare il DBP sostanzialmente assimilabile al DPTSc.

Nel trattamento del DPTSc una volta ottenuta una sufficiente stabilizzazione dei sintomi e costruita una buona alleanza terapeutica con il paziente, è possibile dare inizio alla seconda fase della terapia centrata sull’esame più attivo e attento dei ricordi traumatici, che talvolta il paziente ha già riportato spontaneamente durante la prima fase, e poi sull’integrazione.

È importante ricordare come le memorie traumatiche comportino di regola l’incompleta integrazione del ricordo nel flusso continuo dell’autocoscienza, a causa dei processi dissociativi di detachment e compartimentazione, e come la conseguenza della dis-integrazione di tali memorie influenzi il comportamento e le reazioni emotive dei pazienti, disorganizzandoli, senza che essi ne siano pienamente consapevoli (Liotti e Farina, 2011b).

Lo scopo del trattamento delle memorie traumatiche non è quello di far emergere un contenuto rimosso, ma piuttosto quello di ricostruire l’interezza degli eventi vissuti, di associare le diverse componenti frammentate (emotiva, sensoriale, motoria, cinestesica, cognitiva), assimilarle e permetterne l’integrazione nella narrazione autobiografica del paziente al fine di evitare o mitigarne l’effetto disorganizzante.

Il clinico esperto sa che questo lavoro di integrazione deve essere necessariamente preceduto dal lavoro sulla regolazione delle intense e soverchianti emozioni provocate dalle memorie traumatiche. Per poter affrontare un ricordo traumatico il paziente deve collocarsi all’interno della “finestra di tolleranza” dell’attivazione e delle emozioni ed essere in grado di modulare tale attivazione; l’alleanza terapeutica deve essere sufficientemente solida e l’umore e le condizioni generali del paziente devono essere adeguate.

Una volta stabilita con il paziente una buona alleanza, aver condiviso gli obiettivi da perseguire insieme nel percorso terapeutico e sperimentato l’aumento delle capacità metacognitive e di controllo degli stati emotivi, è possibile procedere alla rievocazione guidata delle memorie traumatiche.

Prima operazione sarà dunque quella di ricostruire la funzione janetiana di presentificazione (distinzione tra passato e presente), ricostruendo con il paziente i confini temporali dell’evento da condividere in seduta (Liotti e Farina, 2011b). Successivamente si potrà procedere all’integrazione delle differenti componenti dell’evento: le emozioni e le sensazioni corporee, le immagini mentali, i significati generali e specifici derivanti dall’accaduto. È in questa fase del trattamento che si può cominciare ad usare l’EMDR.

L’EMDR in pratica

Per poter avviare una seduta con EMDR, secondo il protocollo standard, è necessario innanzitutto individuare un target, cioè un un ricordo disturbante. Si procede in senso cronologico partendo dai ricordi disturbanti del passato, procedendo con quelli del presente e anticipando scenari futuri.

Una volta individuato il ricordo da cui partire, si chiede di individuare l’immagine peggiore dell’evento.

Si procede con l’individuazione della cognizione negativa che la persona ha sviluppato su di sé in relazione a tale ricordo; le cognizioni negative maggiormente riportate dai pazienti sono: non valgo, sono sbagliato, sono incapace, sono cattivo, non vado bene.. Identificare una corretta cognizione negativa legata al momento presente è fondamentale in quanto l’ EMDR trasforma solo il materiale realmente inadeguato e disfunzionale, mentre quello veritiero non viene modificato (ad es. nel caso di una vittima di stupro la cognizione negativa “ero impotente” è probabilmente corretta in relazione all’evento, mentre la cognizione “sono impotente” può essere ristrutturata attraverso l’ EMDR in quanto non risulta più adeguata nel momento presente). La cognizione negativa, dunque, deve riferirsi a se stessi ed essere sostenuta nel presente.

A questo punto, viene identificata la cognizione positiva, ossia ciò che alla persona piacerebbe pensare di se stessa ripensando a quell’evento. Identificare una cognizione positiva significa definire una visione alternativa del trauma.

Successivamente, vengono individuate le emozioni provate nel presente in relazione al ricordo dell’evento traumatico. L’intensità delle emozioni viene valutata all’inizio e continuamente monitorata durante tutto il processo di desensibilizzazione.

Infine, si chiede di fare attenzione alle sensazioni fisiche provate nel ricordare l’evento traumatico, che possono presentarsi come memorie corporee dell’esperienza traumatica.

Dopo aver definito i precedenti elementi in relazione al ricordo traumatico, si procede con i movimenti oculari, la cui distanza, velocità e direzione vengono adeguate al paziente. Dopo ogni set, si chiede al paziente un feedback per valutare le nuove informazioni, pensieri, immagini o emozioni che sono insorti durante la rielaborazione.

Ci sono diverse tecniche per affrontare le difficoltà di elaborazione del materiale mnestico e le difficoltà che il paziente stesso può avere nell’accostarsi a questo tipo di tecnica.

La terapia con EMDR si compone di 8 fasi

  1. La prima fase consiste in un’approfondita anamnesi del paziente e nella definizione di un piano terapeutico. È opportuno verificare l’idoneità del paziente ad una terapia con EMDR, la stabilità personale, le risorse possedute. Se sono presenti impedimenti lavorativi o familiari che potrebbero ostacolare la continuità del percorso terapeutico sarebbe opportuno rinviare l’inizio dell’ EMDR.
  2. La seconda fase è quella della preparazione del paziente al trattamento, durante la quale vengono spiegate la teoria e la procedura dell’ EMDR e i possibili disturbi che potrebbero insorgere sia durante l’elaborazione sia tra una seduta e l’altra. In questa fase è opportuno anche individuare delle tecniche di rilassamento che potrebbero essere efficaci in caso di eccessiva attivazione durante l’elaborazione.
  3. La terza fase consiste nell’assessment e nella definizione degli elementi citati precedentemente (ricordo target, immagine peggiore, cognizione negativa, cognizione positiva, emozioni e sensazioni fisiche).
  4. La quarta fase è quella relativa alla desensibilizzazione che avviene tramite i set di movimenti oculari e che si conclude solo quando il livello di disturbo dell’immagine si riduce a 0.
  5. La quinta è la fase dell’installazione della cognizione positiva e consiste nella ristrutturazione cognitiva dell’evento traumatico. Si continua con i set per rafforzare la cognizione positiva.
  6. La sesta fase consiste nella scansione corporea durante la quale si valuta se sono ancora presenti sensazioni corporee ripensando all’evento
  7. La penultima fase, ossia quella della chiusura, ha lo scopo di verificare lo stato di equilibrio del paziente e viene richiesto di compilare un diario in settimana nel caso in cui emergessero pensieri, sogni, immagini che potrebbero essere associati all’evento elaborato.
  8. L’ultima fase viene effettuata la settimana successiva e consiste nella rivalutazione per verificare se in settimana sono insorti nuovi disturbi, emozioni o immagini disturbanti legati al ricordo iniziale.

EMDR e dati di efficacia

Gli effetti terapeutici dell’ EMDR sono stati osservati già nei primi studi condotti negli anni ’90. Due studi di Brom e coll. (1989) in cui sono state condotte 15 sedute di desensibilizzazione e un lavoro di Foa e coll. (1991) hanno dimostrato l’efficacia della tecnica. Anche uno studio condotto da Forbes e coll. (1994) su soggetti affetti da Disturbo da Stress Post Traumatico (PTSD) ha dimostrato l’efficacia dell’ EMDR solo dopo 4 sedute terapeutiche.

I primi studi sull’efficacia terapeutica dell’ EMDR sono stati condotti su vittime civili (Chemtob, Nakashima, Hamada, Carlson, 1996; Freund, Ironson, Williams, 1998; Lee e Gavriel, 1998…), sui reduci di guerra (Boudewyns e Hyer, 1996; Carlson e al., 1998..), su pazienti affetti da PTSD (Lazrove e coll, 2000; Grainger e al., 1997…) e hanno dimostrato come l’ EMDR favorisca una notevole riduzione della sintomatologia post traumatica.

Diverse reviews e studi meta-analitici anche più recenti dimostrano l’efficacia dell’ EMDR nel trattamento del Disturbo da Stress Post Traumatico (Maxfield, 2000; Shepherd, Stein, 2000). Ad esempio uno studio del 2012 ha valutato l’efficacia clinica e neurobiologica dell’ EMDR in pazienti affetti da disturbo da stress post-traumatico. Tramite la risonanza magnetica cerebrale è stato valutato il quadro clinico dei pazienti e le volumetrie ippocampali in 29 soggetti con PTSD e 30 controlli sani. I pazienti sono stati trattati con EMDR e dopo tre mesi di psicoterapia sono stati rivalutati. I risultati indicano la scomparsa della diagnosi in tutti i pazienti che hanno terminato il percorso e in tutti è stato rilevato un incremento medio del 6% dei volumi ippocampali.

Questo dimostra come l’ EMDR non solo consenta una rielaborazione e reintegrazione degli eventi traumatici vissuti, ma abbia dei riscontri oggettivi anche a livello neurobiologico.

In un altro studio di Pagani del 2011 è stato utilizzato l’elettroencefalogramma per monitorare l’attivazione neuronale durante una sessione di EMDR. Lo studio ha descritto le attivazioni corticali dominanti durante la prima sessione di EMDR e durante l’ultima. Durante la prima sessione, la corteccia limbica prefrontale si attivava durante l’ascolto del testo autobiografico e durante i movimenti oculari bilaterali nella fase di desensibilizzazione dell’ EMDR. Durante l’ultima sessione l’attivazione prevalente si registrava nelle regioni corticali temporali, parietali e occipitali. Questo dimostra come anche a livello cerebrale sia possibile rilevare dei cambiamenti a seguito di una terapia con EMDR.

Indagini di neuroimaging sugli effetti della psicoterapia nel trattamento del disturbo post-traumatico da stress (PTSD), tramite l’EMDR hanno riportato evidenze sulle modifiche del flusso ematico cerebrale (PET), del volume e densità neuronale (RM) nonchè del segnale elettrico cerebrale (EEG). I cambiamenti neurobiologici correlati all’EMDR sono stati monitorati durante la terapia stessa e si è evidenziato uno spostamento dell’ attivazione massima dal sistema limbico “emotivo” a regioni corticali “cognitive”. Sono stati riportati cambiamenti neurobiologici che si verificano durante ogni seduta di psicoterapia, rendendo l’EMDR la prima forma di psicoterapia con un effetto neurobiologico comprovato. (Pagani et al. 2013).

In uno studio di Hogberg del 2008, invece, venti soggetti con PTSD sviluppato in seguito a incidenti sul treno o aggressioni sul posto di lavoro, sono stati trattati con cinque sedute di EMDR. Ai pazienti sono state somministrate scale psicometriche e interviste diagnostiche prima del trattamento, dopo il trattamento, dopo otto mesi e dopo 35 mesi dopo la fine della terapia. Il follow up ha permesso di rilevare come i risultati riscontrati subito dopo il trattamento si mantengono nel tempo.

Gli studi anche recenti sull’ efficacia dell’ EMDR e il mantenimento dei risultati conseguiti anche nel follow-up dimostrano l’importanza di continuare ad investire nella ricerca e nell’ampliamento e perfezionamento della tecnica.

L’EMDR è utilizzata con successo anche nel trattamento di bambini esposti a eventi traumatici. In particolare, uno studio di meta-analisi dei ricercatori del Department of Educational Sciences di Amsterdam (Rodenberg et al., 2009), mostra l’efficacia dell’EMDR per i traumi infantili. La meta-analisi consiste nel riassumere, nel modo più dettagliato possibile, le ricerche riguardanti quello specifico aspetto (in questo caso l’approccio EMDR con bambini), tenendo conto di alcune variabili come ad esempio, l’attenzione del terapeuta, le aspettative del paziente e la standardizzazione del campione. In questo lavoro, peraltro, l’EMDR veniva messa a confronto con altri approcci psicoterapeutici.

I risultati della ricerca mostrano che, l’EMDR con bambini è più efficace di altre terapie classiche, nella risoluzione del disagio psicologico legato all’evento traumatico durante l’infanzia e in alcuni casi, il trattamento porta più velocemente a benefici rispetto allo stesso trattamento utilizzato nell’adulto. La ricerca conferma l’efficacia dell’EMDR nella risoluzione del PTSD e ad oggi risulta essere il più grande lavoro di meta-analisi (7 ricerche a confronto) concernente il trattamento EMDR con bambini esposti a esperienze traumatiche.

Nonostante le prove di efficacia, il meccanismo che determina i risultati dell’EMDR è stato oggetto di dibattito per molti anni, principalmente per la difficoltà nell’operazionalizzare i costrutti di “congelamento” e “rielaborazione”. A questo si aggiunga che recenti review della letteratura scientifica internazionale hanno evidenziato come risultati tra terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e EMDR non risultino significativamente differenti (National Institute of Clinical Excellence, 2005; Seidler & Wagner, 2006) nel trattamento dei disturbi legati al trauma.

Gli autori suggeriscono la necessità di spostare l’attenzione dalla semplice efficacia alla comprensione dei mediatori del cambiamento, vale a dire quei meccanismi che vengono effettivamente modificati dall’intervento terapeutico e che determinano la risoluzione del disturbo.

Marcel A. van den Hout, ricercatore di fama internazionale, negli ultimi anni assieme a numerosi colleghi ha affrontato e testato una dopo l’altra tutte le ipotesi inerenti il meccanismo di funzionamento della terapia EMDR. Ne emerge una sintesi di grande valore scientifico che permette di chiudere alcune strade e aprirne delle nuove.

In sintesi:

  1. L’EMDR e altri interventi efficaci sul trauma sembrano agire attraverso la riduzione della vividezza dei ricordi traumatici (Engelhard et al., 2010). La forza immaginativa del ricordo traumatico viene offuscata e questo significa una minor sensazione di realtà imminente, minor attivazione emotiva, maggior capacità di riflessione e rielaborazione del ricordo. Questa riduzione della vividezza potrebbe essere il mediatore comune dei diversi interventi efficaci sul trauma.
  2. Il meccanismo con cui avviene la riduzione della vividezza non è l’abituazione, non basta esporsi più volte al ricordo o ripetutamente riviverlo perché questo perda le proprie caratteristiche immaginative.
  3. Il meccanismo non è la sincronizzazione dei due emisferi, la riconnessione tra gli stessi, il passaggio dell’informazione tra un emisfero e l’altro. Infatti non si hanno variazioni nell’elettroencefalogramma (Samara et al., 2011) ma soprattutto la stimolazione verticale ottiene i medesimi risultati di quella orizzontale.
  4. Il meccanismo sembra essere un processo di appesantimento della memoria di lavoro durante il recupero del ricordo traumatico (van den Hout et al., 2011). Stimolando la memoria di lavoro (working memory) che ha capacità limitate attraverso un secondo compito (es: seguire il movimento delle dita) questa non sarebbe più in grado di recuperare le informazioni traumatiche con la stessa vividezza. Si aprirebbe così lo spazio a un’elaborazione più distaccata del materiale mnestico comunque rievocato.
  5. L’ipotesi del working memory taxing è confermata dal fatto che altri esercizi che notoriamente appesantiscono la memoria lavoro, come l’esecuzione di alcuni compiti matematici che richiedono la memorizzazione di una serie di numeri, ottengono gli stessi effetti in termini di riduzione della vividezza dei ricordi negativi.
  6. Un’altra interessante conclusione riguarda l’utilizzo dei beep (rumori alternati), piuttosto che dei movimenti oculari. I beep non appesantiscono la memoria di lavoro. E in effetti un recente studio (van den Hout et al., 2012) mostra come ottengano risultati significativamente inferiori all’uso dei movimenti oculari, anche se considerati una stimolazione bilaterale. Quindi la sostituzione della stimolazione oculare con quella uditiva è sconsigliata e prematura.
  7. Infine, il protocollo di intervento EMDR prevede l’uso delle stimolazioni bilaterali per rinforzare immaginazioni e ricordi positivi. Questa procedura avrebbe senso clinico se si potesse sostenere l’ipotesi che la sincronizzazione degli emisferi favorisce l’elaborazione del ricordo. Ma non è così (vedi punto 3). Nel paradigma del working memory taxing sostenere un immaginazione positiva durante una stimolazione oculare, cioè durante l’appesantimento della memoria lavoro, significa rendere più difficile il mantenimento di un immagine vivida nella memoria. Insomma, ostacola proprio l’obiettivo che si propone. Conclusione: è inutile, se non controproducente.

La sintesi finale di van den Hout non è certo una sintesi contro la terapia EMDR. Anche perché la terapia EMDR non è solo questo. Il razionale che ne emerge è limpido: modalità che appesantiscono la memoria lavoro durante il recupero di ricordi traumatici ne favoriscono la rielaborazione. E questa è una strada ancora tutta da percorrere.

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