Il termine coming out indica il comunicare ad un’altra persona il proprio orientamento sessuale o la propria identità sessuale.
L’orientamento sessuale è costituito da attrazioni emotive, romantiche e/o sessuali nei confronti di uomini, donne, entrambi e/o altri generi. Una componente importante dell’orientamento sessuale è il senso di identità, che si fonda sulle attrazioni, sui comportamenti ad esse corrispondenti e sull’appartenenza ad una comunità di persone che condividono attrazioni simili. Far parte di una minoranza sessuale crea spesso un senso di appartenenza ad una comunità in cui vengono condivisi vissuti simili, a prescindere dallo specifico orientamento sessuale, tant’è che la sigla LGBTQIA+ include molte esperienze di diverso tipo, ma appartenenti a vissuti di minoranza (Riboli, 2020).
Le esperienze di discriminazione, stigma, basso supporto sociale familiare o amicale e una possibile omofobia interiorizzata possono portare a disagio psicologico marcato. L’omofobia interiorizzata consiste nella paura di poter essere omosessuale e può ostacolare la formazione della propria identità sessuale e generare vergogna o ansia; si tratta di una componente importante nel disagio vissuto quotidianamente da persone LGBTQ+ e gioca un ruolo cruciale come fattore patogeno, essendo determinante nell’insorgenza di diversi disturbi emotivi (Fregoni, 2018).
Origine del termine coming out
Il termine coming out designava un tempo il rito dell’entrata in società delle giovani femmine, ovvero la presentazione alla comunità di una particolare giovane che entrava a far parte del mondo degli adulti. A partire dagli anni ’30, soprattutto nei Paesi di origine anglosassone, tale termine venne usato nel senso di “uscire allo scoperto”, soprattutto da parte di persone omosessuali: si tratta di quel processo che porterà una persona a dichiarare apertamente la propria identità e/o il proprio orientamento sessuale, non solo agli altri, ma anche a se stesso. Pochi però sanno che l’etimologia completa del termine è coming out of the closet, dove con closet si indica armadio, ripostiglio, quel posto privato in cui si tengono generalmente le cose riservate, fuori dalla vista degli altri (Westheimer e Lopater, 2004).
Seguendo la definizione riportata da Barbagli e Colombo (2007), la terminologia di coming out è usata attualmente sia nel linguaggio comune che nel linguaggio scientifico, e fa riferimento a “quel lungo, difficile e doloroso processo che va dal primo desiderio omoerotico alla dichiarazione della propria identità”
Differenze tra coming out e outing
Diversamente dal coming out in cui è la persona stessa a svelarsi, nell’outing è un’altra persona a rivelare l’orientamento sessuale o l’identità sessuale di qualcuno. E’ importante considerare che ogni persona con status minoritario viene esposta quotidianamente ad uno stress cronico originato dall’interazione con il gruppo maggioritario che la discrimina e la stigmatizza (Meyer, 2003); si possono individuare stressor distali, che sono oggettivi e rappresentano le varie forme di discriminazione e stigmatizzazione (stigma interpersonale e strutturale) e stressor prossimali, che dipendono dalla percezione individuale e sono formati dalle risposte affettive, cognitive e comportamentali degli individui allo stigma, come la sensibilità al rifiuto, l’omofobia interiorizzata e la dissimulazione (Riboli, 2021).
Di conseguenza, fare outing a qualcuno vorrebbe dire esporre questa persona a maggiori livelli di stressor distali e prossimali che possono portare a disturbi d’ansia, specialmente ad ansia sociale, depressione, rischio suicidario e comportamenti autolesivi, e abuso di alcol e sostanze (Feinstein, 2019).
Come si arriva al coming out: dal coming out interiore al coming out esteriore
Fare coming out non è un compito facile. Da un lato, infatti, dichiarare il proprio orientamento sessuale è la fine di un lento e complesso processo di costruzione, fatto di scoperte, sperimentazioni e non di rado conflittualità; dall’altro, in una società in cui essere omosessuali, bisessuali, pansessuali ecc. è ancora motivo di vergogna, il pregiudizio rende spesso doloroso il momento in cui rivelarsi.
C’è poi da considerare che non esiste un momento preciso in cui la consapevolezza del proprio orientamento sessuale conduce al desiderio di fare coming out.
La possibilità di effettuare un coming out subentra nel momento in cui nella persona vi è una corrispondenza tra sentimenti, comportamenti ed identità di ordine sessuale (Garelli, 2000; Chiari, Borghi, 2009). Tutto ciò si interseca con caratteristiche sociali che direzionano, socioculturalmente, questo processo di interpretazione e riconoscimento del proprio orientamento sessuale.
Possono passare parecchi anni dal momento in cui si verifica la prima attrazione omoerotica. Il periodo che intercorre tra l’attrazione, l’atto sessuale e il coming out, passa per quell’ulteriore sotto-processo del coming out esteriore che è quello di tipo interiore: ovvero la capacità dell’omosessuale, bisessuale, pansessuale, ecc. di dire e accettare il proprio orientamento, andando contro le caratteristiche socioculturali stereotipate (Corbisiero, 2010).
Coming out interiore
Uno dei modelli più citati in letteratura per descrivere le fasi del coming out interiore è il modello di Cass (1984) che così schematizza i vari passaggi:
- confusione di identità (chi sono?);
- comparazione (sono diverso/a?);
- tolleranza (probabilmente sono omosessuale/bisessuale/pansessuale/ecc.);
- accettazione (sono omosessuale/bisessuale/pansessuale/ecc);
- orgoglio (sono fiero di essere omosessuale/bisessuale/pansessuale/ecc);
- sintesi (la mia omosessualità/bisessualità/pansessualità/ecc è una parte di me).
Coming out esteriore
Il coming out esteriore è poi il passo successivo del processo più generale di coming out. Ovvero l’uscire allo scoperto anche con gli altri. Con Pietrantoni e Prati (2011) possiamo distinguere tre tipi di coming out esteriore:
- il primo è il tipo più implicito, dove la persona non nasconde la sua relazione ma non ne parla con nessuno e pensa che gli altri lo abbiano capito;
- il secondo è il “confessionale”, quando ovvero la persona sceglie di dirlo ad altri opportunamente selezionati, in un’atmosfera intima;
- il terzo è quello di tipo più spontaneo: la persona riferisce serenamente di essere omosessuale senza farsi particolari problemi sul suo status.
Le difficoltà legate al coming out
Tuttavia il processo di coming out non è sempre così lineare e semplice e non si rivela sempre una scelta facile.
Le esperienze di discriminazione, stigma, basso supporto sociale familiare o amicale e una possibile omofobia interiorizzata possono portare a disagio psicologico marcato. L’omofobia interiorizzata consiste nella paura di poter essere omosessuale e può ostacolare la formazione della propria identità sessuale e generare vergogna o ansia; si tratta di una componente importante nel disagio vissuto quotidianamente da persone LGBTQ+ e gioca un ruolo cruciale come fattore patogeno, essendo determinante nell’insorgenza di diversi disturbi emotivi (Fregoni, 2018).
Esistono inoltre vari fattori sociali che possono facilitare od ostacolare il processo di coming out, come l’età, il genere, la regione e il comune di nascita, il titolo di studio, l’educazione religiosa ricevuta (Barbagli e Colombo, 2007; Bertone, 2009).
L’atto di dichiararsi agli altri, pertanto, varia molto in funzione del contesto e delle caratteristiche dei destinatari e delle persone verso cui il coming out vuole essere messo in atto. Fare coming out non è, quindi, la migliore scelta per tutti ed in ogni momento della propria vita, in quanto l’esito dello stesso è strettamente connesso al contesto socioculturale in cui si vive. Le persone della comunità LGBTQIA+ possono costantemente valutare se fare coming out o meno a seconda delle circostanze, dei possibili rifiuti e/o dei fenomeni discriminatori (Pachankis, 2007). Molto spesso, la soluzione più frequente a cui ricorrono le persone della comunità LGBTQIA+ è quella di un coming out selettivo con le persone di cui ci si fida maggiormente (Giano et al., 2020).
Fare coming out al di fuori della famiglia di origine e della sfera delle amicizie cui si appartiene, infatti, è ancora più complesso poiché è molto facile ricadere in reazioni negative, sia di tipo fisico o verbali, e di rifiuto. In tale mondo si può includere anche la scuola e il lavoro, dove spesso e volentieri la persona non eterosessuale è obbligata a “modulare” la propria dichiarazione e i propri atteggiamenti al fine di prevenire eventuali reazioni negative (Lingiardi, 2007).
Un’emozione spesso condivisa da pazienti LGBTQ+ è l’ansia legata al fatto che si trovano ad affrontare la difficoltà del coming out e delle sue conseguenze, di eventuali outing, di trovare amici e partner se si abita in zone a bassa densità di popolazione (piccoli paesi/province) e la possibile scelta di intraprendere percorsi di transizione in caso di esperienze legate ad identità di genere transessuali (Riboli, 2020).
Nelle società odierne le persone appartenenti alla comunità LGBTQ+ si trovano quindi a valutare se fare coming out o meno a seconda delle circostanze e del possibile rifiuto o fenomeno discriminatorio (Pachankis, 2007). Fare coming out con i propri familiari e amici può fornire una fonte di sostegno emotivo e di comprensione, ma talvolta anche di stress.
Il coming out, quindi la condivisione del proprio orientamento sessuale, con i familiari varia a seconda della relazione che si ha con i diversi membri della famiglia; in particolare si può distinguere tra rapporti “orizzontali”, ad esempio tra fratelli, e “verticali”, ad esempio con i genitori. Nel primo caso, i rapporti sono caratterizzati da pari status, reciprocità, vicinanza e intimità, nel secondo, le relazioni sono maggiormente gerarchiche e prevedono ruoli più distinti: da un lato, c’è chi ha più autorità, si prende cura ed è responsabile per l’altro, dall’altro c’è chi è in certa parte dipendente e deve mostrare più obbedienza e rispetto. Rivelare l’orientamento sessuale sembra comportare ansia, ma anche sentimenti di lealtà e vicinanza e, quando i familiari si rivelano supportivi, fare coming out rafforza notevolmente i legami. Fare coming out con i componenti della famiglia estesa è considerato invece meno urgente e necessario che con i propri genitori e fratelli. La decisione di parlare del proprio orientamento sessuale sembra dipendere soprattutto dalla vicinanza geografica e relazionale con nonni, zii e cugini. Tendenzialmente, il coming out con la famiglia estesa è un processo non lineare e che ciclicamente si ripete con i diversi familiari (Rovida, 2020).
Supportare le persone LGBTQ+ nel coming out
Per sostenere persone LGBTQ+ si è sviluppata la terapia affermativa, un tipo di psicoterapia il cui scopo è quello di convalidare e sostenere le esigenze di pazienti che appartengono a minoranze sessuali. Evidenze scientifiche riportano gli effetti benefici di tali terapie sull’autorealizzazione dei propri pazienti, i quali nel corso di queste terapie vivono un ambiente di accoglienza, accettazione e assenza di eterosessismo. Spesso persone LGBTQ+ si trovano a vivere quasi quotidianamente esperienze di eterosessismo, un insieme di atteggiamenti a favore di una sessualità eterosessuale, che esclude possibili altre forme di sessualità e, nelle declinazioni più estreme, considera le esperienze eterosessuali come unica e superiore opzione. Atteggiamenti di chiusura da parte di un terapista possono minacciare l’alleanza terapeutica e impedire di lavorare adeguatamente con il proprio paziente o portarlo ad un rapido drop-out (Riboli, 2020).
Coming out Day: celebrare il coming out
Il giorno 11 Ottobre di ogni anno si celebra il Coming Out Day, una giornata che ha l’obiettivo di celebrare le varie sfumature identitarie e di orientamento sessuale.
Riconoscere il prorpio orientamento sessuale non è un processo semplice, ma è un percorso spesso lungo e doloroso, vissuto come una profonda rottura rispetto ad una prospettiva di vita che si dava per scontata e in cui tutto viene organizzato in funzione dell’eterosessualità. È un processo non soltanto relativo all’orientamento sessuale, ma anche un processo di formazione dell’identità della persona nel suo complesso (Saraceno, 2003; Garelli, 2000).
Il coming out quindi esprime una concomitanza di eventi importanti nella vita di ogni persona della comunità LGBTQIA+: innanzi tutto il “venir fuori” pubblicamente, svelandosi ad ogni tipologia di “altro”, ma anche venire fuori nei confronti di se stessi e riuscire a rifiutare termini offensivi, riuscire a disfarsi dei vari bias sociali e dei relativi pregiudizi, sostituendoli con interpretazioni di affermazione, rispetto ed integrazione a tutti i livelli (Bertone, 2009).
Celebrare il Coming Out Day è dunque fondamentale per mostrare rispetto e vicinanza a chi, nel proprio percorso di vita e di auto-accettazione, ha dovuto o deve ancora affrontare questo processo che, come abbiamo visto, si mostra spesso lungo e difficoltoso. Celebrare, sensibilizzare, parlare aiuta a ridurre sempre di più quella quota di stigma che altra funzione non ha se non quella di ostacolare la libertà, fondamentale per ogni persona, di accettarsi ed essere accettata.
Qualche utile indicazione per fare coming out
Scelta della prima persona a cui rivolgersi
La scelta della prima persona con cui fare coming out ha un impatto importante all’interno di tutto il processo. Il momento della prima confidenza segna anche l’inizio della decisione di uscire allo scoperto, poiché il processo continuerà anche dopo che la prima confidenza sarà stata fatta (Saraceno, 2003).
L’interlocutore ideale deve essere una persona vicina, comprensiva e aperta ad accettare l’omosessualità/bisessualità/pansessualità ecc. della persona, in modo tale da non mettere in discussione o turbare la relazione affettiva che è presente tra i due (Barbagli e Colombo, 2007; Saraceno, 2003).
A questo proposito possono tornare utili i risultati di una recente ricerca di Grafsky, Hickey, Nguyen e Wall (2018) che hanno approfondito l’impatto del coming out sulle relazioni familiari, avendo in mente questa domanda: che differenze ci sono nella rivelazione del proprio orientamento sessuale da parte di adolescenti e giovani adulti ai diversi membri della famiglia?
I familiari a cui viene rivelato più spesso l’orientamento sessuale sonoi fratelli (84%), seguiti dalle madri (81%). Secondo quanto emerso dalle interviste, rivelare l’orientamento sessuale ai fratelli comporta ansia, ma anche sentimenti di lealtà e vicinanza. Quando i fratelli sono supportivi, fare coming out può rafforzare il legame fraterno.
Di solito si è meno propensi a fare coming out con i nonni, in parte perché la differenza di età li faceva sentire a disagio a discutere di sessualità, in parte perché temevano che i nonni avessero dei pregiudizi nei confronti delle persone LGBQ+. Tuttavia, in molti casi, anche il supporto da parte dei nonni è risultato significativo.
Un ruolo importante nel processo di coming out, secondo questa ricerca, è quello rivestito da zie o zii. Infatti gli zii possono condividere relazioni affettuose con i propri nipoti, mantenendo un certo grado di autorità in quanto adulti, pur senza rivestire lo stesso ruolo educativo di un genitore. Spesso gli zii possono rivestire un ruolo di mediazione con altri membri della famiglia o dare consigli su come comunicare la notizia ai genitori. Pertanto, gli zii possono essere preziosi sostenitori nel processo di rivelazione del proprio orientamento sessuale.
Come gestire le reazioni della famiglia
È da tenere in conto che le loro reazioni dei familiari possono essere a volte cariche di ostilità, magari perché permeate esse stesse dai pregiudizi della società e dalla preoccupazione della ghettizzazione in cui il/la proprio/a figlio/a sarà esposto/a.
Non bisogna sottovalutare il fatto che fare coming out innesca spesso una crisi a livello familiare, imperniata su alcune tipiche risposte, come Stai dicendo questo solo per metterti contro di noi oppure È solo una fase: vedrai che poi ti piaceranno le donne o ancora È colpa nostra se sei gay.
Dietro a ognuna di queste risposte si nasconde una paura, cui si può controbattere in modi che restituiscano la propria dignità e serenità.
Innanzitutto, è utile rassicurare i propri genitori, dicendo che si vuole solo essere onesti con loro, che la sincerità è espressione di amore e non potrà che migliorare il rapporto.
È opportuno sottolineare, con calma, ma fermezza, che non si tratta di un alcun modo di una situazione temporanea. Sempre con calma si deve rispondere a quegli attacchi manipolatori del tipo Mi farai morire dal dispiacere, oppure Che abbiamo fatto di male per meritare questo?. Più facile, a dirsi che a farsi, in molti casi! In generale, però, è sempre un’ottima arma non rispondere agli scoppi emotivi dei tuoi genitori, gridando a propria volta.
Se c’è il rischio di essere colpevolizzati e si vive una sensazione di disagio insostenibile, si può prendere una pausa per pensare meglio a mente lucida.
Potrebbe a tal proposito essere utile leggere testimonianze di altre famiglie di omosessuali, così da diminuire il loro senso di colpa e vergogna.
In ogni caso, è necessario sempre mettere i propri sentimenti al primo posto. Perché si può essere responsabili solo delle proprie emozioni e delle proprie decisioni, non di quelle degli altri. I genitori non devono tanto capire, quanto accettare, e possono sempre scegliere di essere fieri del proprio figlio, non devono per forza sentirsi infastiditi o nascondersi dalla società che non capirebbe.
Anche chiedere aiuto a qualcuno della famiglia di cui ci si fida e a cui si è già fatto coming out è una buona strategia, soprattutto se questi ha un’influenza positiva sulla famiglia e può aiutarla a riconsiderare la sua posizione.
Aiuto professionale e gruppi di ascolto
Se, dopo sforzi ripetuti, i genitori si rifiutassero comunque di comprendere, si dovrebbe cercare supporto altrove. Senz’altro sarebbe meglio se in famiglia regnassero mutuo rispetto e tolleranza, ma se questo non fosse possibile, è necessario proseguire la propria strada e non lasciarsi intimorire nel perseguire la propria realizzazione.
Professionisti preparati e specializzati possono aiutare la persona alle prese con questo percorso di accettazione e rivelazione di sé a gestire gli stati d’animo ad esso associati. Per sostenere persone LGBTQ+ si è sviluppata la terapia affermativa, un tipo di psicoterapia il cui scopo è quello di convalidare e sostenere le esigenze di pazienti che appartengono a minoranze sessuali. Evidenze scientifiche riportano gli effetti benefici di tali terapie sull’autorealizzazione dei propri pazienti, i quali nel corso di queste terapie vivono un ambiente di accoglienza, accettazione e assenza di eterosessismo.
Esistono anche dei gruppi di ascolto in cui, persone che vivono le stesse difficoltà legate al fare coming out, possono trovare il sostegno di chi le ha già affrontate e superate.
Conclusione
Per concludere quindi, la decisione di fare coming out è un momento delicato che ciascuno può sperimentare in momenti diversi della propria vita, ma sentirsi parte di una comunità, come quella LGBTQ+, e avere eventualmente un supporto da parte di un professionista, come il terapeuta, possono facilitare il processo.