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L’impatto del coming out sulle relazioni familiari estese

Che differenze ci sono nella rivelazione del proprio orientamento sessuale da parte di adolescenti e giovani adulti ai diversi membri della famiglia?

Di Margherita Rovida

Pubblicato il 16 Lug. 2020

Aggiornato il 30 Giu. 2022 17:37

Solitamente, nella vita di una persona omosessuale, bisessuale o queer (LGBQ), prima o poi arriva quel momento, colloquialmente definito coming out, in cui si decide di comunicare il proprio orientamento sessuale alla propria famiglia.

 

Condividere un aspetto così personale di sé può far sentire vulnerabili. Parallelamente, ricevere questa notizia può attivare svariate dinamiche psicologiche, sociali ed emotive nei familiari, ad esempio rifiuto oppure senso di colpa o di vergona (Grafsky, Hickey, Nguyen, & Wall, 2018).

Grafsky, Hickey, Nguyen e Wall (2018) hanno approfondito l’impatto del coming out sulle relazioni familiari, avendo in mente questa domanda: che differenze ci sono nella rivelazione del proprio orientamento sessuale da parte di adolescenti e giovani adulti ai diversi membri della famiglia?

Gli autori hanno sottolineato che tradizionalmente la ricerca si focalizza sulla rivelazione dell’orientamento sessuale ai propri genitori e sulle loro reazioni. Tuttavia, tutti i membri della famiglia, inclusi i fratelli e altri parenti meno prossimi come nonni o zii, possono differenziarsi e influenzarsi a vicenda rispetto alle modalità con cui accolgono l’informazione e reagiscono ad essa.

Per questo Grafsky e colleghi (2018) hanno intervistato ventidue adolescenti e giovani adulti di età compresa tra i 14 e i 21 anni, che si identificavano come gay, lesbiche, bisessuali, queer o pansessuali. Durante l’intervista ciascun partecipante doveva individuare sei persone significative della propria famiglia, descrivere la propria relazione con ciascuna di esse e indicare se queste fossero a conoscenza o meno del loro orientamento sessuale. I partecipanti dovevano poi riportare se la rivelazione fosse stata spontanea o dovuta alla comunicazione da parte di altri, specificando in questo caso chi avesse comunicato la notizia. Infine dovevano spiegare la loro decisione di rivelare il proprio orientamento sessuale a specifici membri della famiglia e raccontare esperienze positive e negative associate al coming out.

I risultati indicano che circa il 63% di tutti i familiari individuati era a conoscenza dell’orientamento sessuale degli intervistati. I familiari a cui più probabilmente veniva rivelato l’orientamento sessuale erano i fratelli (84%), seguiti dalle madri (81%). In generale, i genitori e i fratelli erano più probabilmente a conoscenza dell’orientamento sessuale dei figli rispetto ai parenti al di fuori del nucleo familiare stretto.

Le interviste hanno inoltre mostrato come la condivisione del proprio orientamento sessuale sia diversa a seconda della relazione che si ha con un particolare componente della famiglia. In particolare, gli autori hanno operato una distinzione tra rapporti “orizzontali” e “verticali”. Nel primo caso, i rapporti sono caratterizzati da pari status, reciprocità, vicinanza e intimità, come avviene tra fratelli. Nel secondo caso, le relazioni sono maggiormente gerarchiche e prevedono ruoli più distinti: da un lato, c’è chi ha più autorità, si prende cura ed è responsabile per l’altro, dall’altro c’è chi è in certa parte dipendente e deve mostrare più obbedienza e rispetto. Questo è il caso delle relazioni tra genitori e figli o tra nonni e nipoti.

Secondo quanto emerso dalle interviste, rivelare l’orientamento sessuale ai fratelli comportava ansia, ma anche sentimenti di lealtà e vicinanza. Quando i fratelli erano supportivi, fare coming out poteva rafforzare il loro legame.

I partecipanti ritenevano che fare coming out con i componenti della famiglia estesa era meno urgente e necessario che con i propri genitori e fratelli. La decisione di parlare del proprio orientamento sessuale dipendeva soprattutto dalla vicinanza geografica e relazionale con nonni, zii e cugini. Tendenzialmente, il coming out con la famiglia estesa era un processo non lineare e che ciclicamente si ripeteva con i diversi familiari.

Gli intervistati erano meno propensi a fare coming out con i nonni, in parte perché la differenza di età li faceva sentire a disagio a discutere di sessualità, in parte perché temevano che i nonni avessero dei pregiudizi nei confronti delle persone LGBQ. Gli adolescenti e giovani adulti erano preoccupati che i nonni potessero rifiutarli o di comunicare loro una notizia difficile da processare, aggiungendo a eventuali problemi di salute un’ulteriore difficoltà. In alcuni casi però il supporto da parte dei nonni è risultato significativo.

Un ruolo importante nel processo di coming out è quello rivestito da zie o zii. Gli autori hanno definito “diagonale” la relazione tra un adolescente o giovane adulto e gli zii. Infatti gli zii possono condividere relazioni affettuose con i propri nipoti, mantenendo un certo grado di autorità in quanto adulti, pur senza rivestire lo stesso ruolo educativo di un genitore. Per questo, i partecipanti hanno raccontato che spesso gli zii avevano un ruolo di mediazione con altri membri della famiglia o davano consigli su come comunicare la notizia ai genitori. Pertanto, gli zii possono essere preziosi sostenitori nel processo di rivelazione del proprio orientamento sessuale.

Un ruolo simile poteva essere ricoperto dai genitori adottivi, qui intesi come patrigni o matrigne, in quanto anche la loro relazione con i figli può essere definita diagonale. Tuttavia in questo caso la prossimità e la vicinanza dovevano essere negoziate e condivise. Similarmente, la condivisione con i fratelli acquisiti dipendeva dall’aver sviluppato con loro un legame più o meno stretto.

Questo studio presenta anche alcune limitazioni: è stato condotto su un campione poco numeroso, con metodi qualitativi e con partecipanti provenienti dagli Stati Uniti. Sarebbe interessante confrontare l’impatto del coming out sui vari componenti della famiglia e sull’intreccio dei loro rapporti in differenti culture.

Tuttavia, questo studio permette di affacciarsi sul complesso mondo delle relazioni familiari e di iniziare a comprendere come queste possano essere una fonte di sostegno emotivo e di comprensione, ma talvolta anche di stress, per ragazzi LGBQ+.

Per i clinici che lavorano con adolescenti e giovani adulti LGBQ+, è importante ricordare che fratelli, zii, nonni e membri della famiglia estesa, in virtù dei loro specifici ruoli, possono rappresentare fonti di stress o risorse da tenere in considerazione quando si discute della condivisione del proprio orientamento sessuale con la famiglia. Del resto, riconoscere l’orientamento sessuale dei membri LGBQ+ della propria famiglia significa anche ampliare il concetto di famiglia nucleare eteronormativa per accogliere la possibilità di famiglie più fluide, in cui conta la relazione più che il ruolo sociale.

 

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