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Coming out interiore ed esteriore

Il coming out è un processo che di solito ha origine nell’infanzia e si interseca poi con caratteristiche sociali che direzionano l'interpretazione e il riconoscimento del proprio orientamento sessuale. Non ha però a che fare solo con la definizione dell'identità personale ma anche della propria identità come persona.

Di Fiorenza Grella

Pubblicato il 21 Giu. 2018

Aggiornato il 30 Giu. 2022 20:19

Il coming out interiore e il vivere la prima relazione omosessuale è fondamentale per un omosessuale perchè gli permette di definirsi tale. Dal momento in cui il coming out interiore è venuto già allo scoperto e non è rimasto velato, è il coming out esteriore il passo successivo del processo più generale di coming out. Ovvero l’uscire allo scoperto anche con gli altri. 

 

Il termine coming out designava un tempo il rito dell’entrata in società delle giovani femmine, ovvero la presentazione alla comunità di una particolare giovane che entrava a far parte del mondo degli adulti. A partire dagli anni ’30, soprattutto nei Paesi di origine anglosassone, tale termine venne usato nel senso di “uscire allo scoperto”, soprattutto da parte di persone omosessuali: si tratta di quel processo che porterà una persona a dichiarare apertamente la propria identità sessuale, non solo agli altri, ma anche a se stesso.

Seguendo la definizione riportata da Barbagli e Colombo (2007), la terminologia di coming out è usata attualmente sia nel linguaggio comune che nel linguaggio scientifico, e fa riferimento a “quel lungo, difficile e doloroso processo che va dal primo desiderio omoerotico alla dichiarazione della propria identità”.

Come si arriva al coming out

La possibilità di effettuare un coming out subentra nel momento in cui nell’omosessuale vi è una corrispondenza tra sentimenti, comportamenti ed identità di ordine sessuale (Garelli, 2000; Chiari, Borghi, 2009). Tutto ciò si interseca con caratteristiche sociali che direzionano, socioculturalmente, questo processo di interpretazione e riconoscimento del proprio orientamento sessuale.

Gli stessi Barbagli e Colombo riferiscono che il coming out non è un processo che si manifesta soltanto nel momento in cui lo stesso emerge, ma un lungo percorso che ha origine nell’infanzia. Non sono rari, infatti, i ricordi d’infanzia degli omosessuali (riportati dagli intervistati della ricerca di Barbagli e Colombo del 2007) che fanno riferimento a dei giochi che, ad esempio, ritenevano inappropriati per la propria identità sessuale, ma che nonostante ciò davano loro piacere; molte volte erano costretti a negare il piacere che provavano nei loro confronti proprio perché li ritenevano inappropriati alla loro identità sessuale. La questione infantile di natura omosessuale poteva essere ben arginata per i limiti che l’età imponeva, cosa che risulta invece inappropriata quando un adolescente inizia a provare intensi sentimenti omoerotici. Essendo che le ricerche (Saraceno, 2003; Barbagli e Colombo, 2007) hanno messo in evidenza che la maggior parte delle persone omosessuali hanno provato per la prima volta attrazione per una persona dello stesso sesso proprio durante l’adolescenza, bisogna sottolineare l’importanza di questa fascia di età in quel processo che poi porterà al vero e proprio coming out.

Durante l’adolescenza, gli oggetti di attrazione omoerotica sono talvolta persone al di fuori dell’ordinario, come le star del cinema o della televisione, ma possono essere anche persone appartenenti al proprio mondo familiare, come un parente, un insegnante o un compagno di scuola. Queste infatuazioni durante l’adolescenza determinano una concettualizzazione molto specifica di ciò che riguarda il coming out: se da un lato, infatti, gli adolescenti sono sempre tentati di uscire allo scoperto, dall’altra le caratteristiche socioculturali impongono il mantenimento del segreto. Tutto ciò porta molto spesso a romantiche fantasie omoerotiche che possono essere considerate come il precursore di quella che poi sarà l’omofobia internalizzata (Barbagli, Colombo, 2007). È senza dubbio rilevante il fatto che l’adolescenza accresca ed accentui quel sentimento di mutamento e di diversità degli omosessuali, poiché è il periodo che più di tutti va contro e si allontana dalle consuetudini della società.
Possono passare parecchi anni dal momento in cui si verifica la prima attrazione omoerotica, generalmente durante l’adolescenza, ma anche durante l’infanzia, al momento in cui si attua un vero e proprio atto sessuale con la persona prescelta. Il periodo che intercorre tra l’attrazione omoerotica, l’atto sessuale e il coming out, passa per quell’ulteriore sotto processo del coming out esteriore che è quello di tipo interiore: ovvero la capacità dell’omosessuale di dire a sé stesso che è omosessuale, andando contro le caratteristiche socioculturali stereotipate (Corbisiero, 2010).

Differenze di genere: maschi e femmine alla scoperta della propria omosessualità

Dalle recenti ricerche (ad esempio Saraceno, 2003) emerge che ogni persona omosessuale giunge al coming out interiore in maniera molto diversa rispetto ad un’altra, poiché possono essere seguite diverse tappe per raggiungere il medesimo obiettivo.

Da un punto di vista generale passa qualche anno dal momento in cui si hanno i primi rapporti (sia omosessuali che, nella maggior parte dei casi, eterosessuali), al momento in cui ci si dichiara omosessuali definitivamente. Occorre distinguere, pertanto, quelle persone che hanno sempre avuto un orientamento sessuale verso le persone dello stesso sesso e quelle che invece lo hanno scoperto solo dopo aver provato esperienze sessuali con persone eterosessuali. L’adolescenza può essere per questo definita come un periodo di sperimentazione in cui si cerca di capire qual è il vero orientamento sessuale che appartiene alla persona (Pietrantoni, Prati, 2011). Barbagli e Colombo (2007) definiscono questa sperimentazione nei termini di un diverso grado di fluidità sessuale che può subire diverse manifestazioni in base alla storia personale, alla società ed alla cultura cui si appartiene.

In maniera più schematica, Pietrantoni e Prati (2011) identificano due modalità prototipiche circa il riconoscimento della propria omosessualità: nella prima, che è più frequente nelle donne, la consapevolezza è successiva a esperienze eterosessuali tratteggiate come altrettanto significative, l’enfasi è sul contesto e sulla relazione, la sessualità è fluida e l’omosessualità può non essere irreversibile né esclusiva; nella seconda, più frequente negli uomini, vi è la contrapposizione etero-omo, i desideri sono percepiti come già presenti nell’infanzia e il compito della persona è stato quello di accettare la propria vera natura.
In maniera più specifica, per quanto riguarda le femmine l’autodefinizione come lesbica è dettata dalla consapevolezza graduale di sentimenti provati verso le persone dello stesso sesso. Questo è dovuto anche al fatto che le lesbiche incontrano meno ostacoli, rispetto ai maschi, nel loro tentativo di esplorare le persone del loro stesso sesso (Bertone, 2009). Le amicizie femminili sono infatti caratterizzate, al contrario di quelle maschili, da contatti fisici, scambi di effusioni eterosessuali, dove il bacio di natura eterosessuale è considerato sì come un atto omosessuale, ma in funzione di ciò che si farà da adulte con un uomo: è chiaro che in questo clima le femmine ritrovano una più proficua e graduale espressione del loro innamoramento omosessuale rispetto ai maschi (Pietrantoni, Prati, 2011).

Si evince, pertanto, che il genere è un forte organizzatore dei modelli di relazione, identità e comportamento omosessuale (Corbisiero, 2010). Ad esempio, gay e lesbiche fanno uso di strategie differenti per la gestione dello stigma sociale omofobo per evitare di essere emarginati o etichettati: gli uomini gay tendono ad evitare costantemente il coinvolgimento affettivo al fine di minimizzare l’importanza dell’esperienza sessuale con altri uomini (probabilmente per derivazioni particolari di origine socioculturale), al contrario delle donne lesbiche (Bertone, 2009).

Dal coming out interiore al coming out esteriore

Uno dei modelli più citati in letteratura per la descrizione e spiegazione del coming out interiore è il modello di Cass (1984) che schematizza il processo in questo modo: confusione di identità (chi sono?); comparazione (sono diverso/a); tolleranza (probabilmente sono gay/lesbica); accettazione (sono omosessuale); orgoglio (sono fiero di essere omosessuale); sintesi (la mia omosessualità è una parte di me)

Il coming out interiore e il vivere la prima relazione omosessuale è fondamentale per un omosessuale perchè gli permette di definirsi tale. Dal momento in cui il coming out interiore è venuto già allo scoperto e non è rimasto velato, è il coming out esteriore il passo successivo del processo più generale di coming out. Ovvero l’uscire allo scoperto anche con gli altri.

Ci sono vari fattori sociali che possono facilitare o ostacolare il processo di coming out esteriore, come l’età, il genere, la regione e il comune di nascita, il titolo di studio, l’educazione religiosa ricevuta; altri che invece possono influire, come la generazione di appartenenza, l’adesione alla morale cattolica, l’intensità del desiderio erotico omosessuale e le caratteristiche familiari (Barbagli e Colombo, 2007; Bertone, 2009).

L’atto di dichiararsi agli altri come omosessuali, pertanto, varia molto, anche in questo caso, in funzione del contesto e delle caratteristiche dei destinatari e delle persone verso cui il coming out vuole essere messo in atto. Barbagli e Colombo (2007) affermano, in relazione alle loro ricerche, che è più facile che la dichiarazione di omosessualità venga fatta a gruppi paritetici piuttosto che a gruppi gerarchici, quindi con gli amici e i compagni piuttosto che con i familiari.

La scelta della prima persona a cui dire di essere omosessuali comporta un certo qual peso all’interno di tutto il processo di coming out. Il momento della prima confidenza segna anche l’inizio della decisione di uscire allo scoperto, poiché il processo continuerà anche dopo che la prima confidenza sarà stata fatta (Saraceno, 2003). L’interlocutore ideale deve essere una persona vicina, comprensiva e aperta ad accettare l’omosessualità della persona, in modo tale da non mettere in discussione o turbare la relazione affettiva che è presente tra i due (Barbagli e Colombo, 2007; Saraceno, 2003). L’85 % delle persone, secondo la ricerca di Barbagli e Colombo (2007), inizialmente preferisce dichiarare la propria omosessualità agli amici rispetto ai familiari, probabilmente perché vi è la speranza di essere più compresi e meno giudicati. Dopo gli amici seguono gli stessi familiari, e quindi gli insegnanti, i sacerdoti, gli psicologi e i medici. In pratica l’uscita allo scoperto avviene prima con i gruppi primari e poi con quelli secondari (Bertone, 2009).

I processi decisionali sul dirlo o non dirlo sono frutto di una complessa valutazione costi-benefici: tra gli svantaggi di un outing vi sono i timori delle reazioni negative, di essere target di pregiudizi o di scarsa impellenza, ma dall’altro lato il vantaggio è rappresentato dalla voglia di sentirsi autentici e di richiedere aiuto.

Con Pietrantoni e Prati (2011) possiamo distinguere tre tipi di coming out esteriore: il primo è il tipo più implicito, dove la persona non nasconde la sua relazione ma non ne parla con nessuno e pensa che gli altri lo abbiano capito; il secondo è il “confessionale”, quando ovvero la persona sceglie di dirlo ad altri opportunamente selezionati, in un’atmosfera intima; il terzo è quello di tipo più spontaneo: la persona riferisce serenamente di essere omosessuale senza farsi particolari problemi sul suo status.

Come cambiano le amicizie dopo il coming out

Dal momento in cui viene manifestata apertamente la propria natura omosessuale, i gay e le lesbiche modificano naturalmente anche l’intrecciarsi ed il mantenimento delle relazioni amicali cui è stato riferito. Ciò che viene messo in evidenza dalle ricerche è che si verifica una netta preferenza per amici sia dello stesso sesso che dello stesso orientamento sessuale, sia per quanto riguarda le lesbiche che per quanto concerne i gay (Saraceno, 2003). Le amicizie diventano sempre più selezionate e si instaurano solo quando vi sono le condizioni per poterlo fare, un po’ come avviene nelle amicizie tra eterosessuali. Ciò che, invece, fa da equilibrio nell’instaurarsi di un’amicizia tra omosessuale ed eterosessuale è la capacità di non enfatizzare la categorizzazione sociale quando non è rilevante, cosa che apporterebbe in maniera inevitabile la messa in atto di comportamenti di derivazione omofobica (Bertone, 2009).

Una problematica che può presentarsi tra amici è relativa alle possibili attrazioni sessuali che si possono scatenare tra eterosessuali ed omosessuali dichiarati, che spesso vengono messi a tacere per timore di rovinare la stessa amicizia (Chiari, Borghi, 2009). Ne consegue una limitazione dei comportamenti e dei rapporti poco aperti e sinceri, specialmente per quanto riguarda le donne lesbiche e le donne eterosessuali. Tra omosessuali ed eterosessuali possono invece manifestarsi più frequentemente evitamenti sociali per la paura che la persona omosessuale possa “provarci”. Pertanto, stando a quanto detto finora, nell’amicizia tra due donne o due uomini di diverso orientamento sessuale vi è sempre la possibilità che una delle due o uno dei due s’innamori dell’altra o dell’altro (Pietrantoni, Prati, 2011).

Non sempre però il coming out determina derivazioni relazionali amicali negative tra omosessuali ed eterosessuali; vi sono infatti dei casi, denominati come fag hag nei Paesi anglosassoni, in cui le donne eterosessuali apprezzano la compagnia delle donne lesbiche o degli uomini gay; in quest’ultimo caso l’interesse comune per gli uomini potrebbe favorire il fronteggiamento di un contesto sociale potenzialmente sessista ed omofobo (Barbagli, Colombo, 2007).

Le difficoltà di fare coming out

Dichiararsi omosessuali al di fuori della famiglia di origine e della sfera delle amicizie cui si appartiene è ancora più complesso poiché è molto facile ricadere in reazioni negative, sia di tipo fisico o verbali, e di rifiuto. In tale mondo si può includere anche la scuola e il lavoro, dove spesso e volentieri l’omosessuale è obbligato a “modulare” la propria dichiarazione e i propri atteggiamenti al fine di prevenire eventuali reazioni negative (Lingiardi, 2007). Tali evidenze non si manifestano soltanto in periodo adolescenziale, ma anche in periodo infantile, dove possono essere presenti frequenti comportamenti di bullismo scolastico dettato da comportamenti omofobi e da stereotipi sociali e culturali (Pientrantoni, Prati, 2011).

Per potersi dichiarare omosessuali in ambienti ostili senza usare la condotta verbale, molti utilizzano delle tecniche indirette, come non nascondere i propri comportamenti, invitare a casa gli amici non nascondendo certi tipi di libri o di vestiti, oppure farsi pubblicare la propria foto su riviste o siti internet di gruppi dichiaratamente gay (Saraceno, 2003).

Esistono quindi molti modi con cui il coming out può essere effettuato, anche a vari livelli, in base alle possibilità che la società offre. Non è raro, per contro, che le reazioni al coming out all’interno dell’ambiente sociale non siano positive e, talvolta, aumentino proprio in seguito al coming out; questi fattori possono intensificare l’emarginazione dell’omosessuale e vari problemi di natura sociale. Occorre anche dire, però, che le reazioni individuali non sempre sono così negative come quelle di origine sociale, poiché spesso si vedono persone che condannano l’omosessualità in un ambiente sociale ma in una dimensione privata hanno amici omosessuali con i quali mantengono degli ottimi rapporti (Bertone, 2009).

Lo stigma sociale dell’omofobia

Troiden (1979) ha offerto una prospettiva molto interessante del processo di coming out esteriore che sottolinea, in quattro stadi, le caratteristiche della risposta strategica allo stigma sociale in cui un omosessuale è, direttamente o indirettamente, inserito.

In un primo stadio di “sensazione”, che è collocato nella pubertà, l’omosessuale vive sentimenti di marginalità e di alienazione dagli altri.

Nel secondo stadio, denominato “confusione di identità”, corrispondente al periodo dell’adolescenza vero e proprio, vi sono degli iniziali sentimenti che possono avere a che fare con l’omosessualità. Gli omosessuali possono reagire o con il diniego, o adottando fantasie, o sradicando le emozioni che sentono, o attraverso l’evitamento consapevole dei pensieri, comportamenti e fantasie omosessuali. Un’altra particolare forma di strategia difensiva è la ridefinizione situazionale, quando ovvero uno specifico sentimento viene relativizzato a una determinata situazione e non viene generalizzato.

Nel terzo stadio dell’assunzione dell’identità, che avviene generalmente nella tarda adolescenza, l’identità omosessuale viene pienamente riferita a sé e agli altri. Lo stigma dell’omofobia, anche di tipo internalizzato, viene evitato attraverso o l’allineamento alla comunità (vi è una più attiva partecipazione alla vita comunitaria) o con la ridicolizzazione dell’esperienza eterosessuale, oppure ancora con la capitolazione, quando nonostante la persistenza di desideri omosessuali, stigmatizzano definitivamente la propria omosessualità.

Nell’ultimo stadio, invece, “la partecipazione”, viene messa in risalto, nel migliore dei casi, una prospettiva diversa dell’omosessualità, intesa non più come stigma sociale, ma come modo di vivere nuovo. Le principali caratteristiche sono l’autoaccettazione e confortevolezza con il ruolo e l’identità omosessuale che poi porteranno, o ne saranno conseguenza, al coming out definitivo.

In conclusione

Riconoscersi omosessuali non è pertanto un processo semplice, ma spesso lungo e doloroso, vissuto come una profonda rottura rispetto ad una prospettiva di vita in cui si dava per scontata e tutto era organizzato in funzione dell’eterosessualità. È un processo non soltanto relativo alla formazione dell’identità sessuale, ma anche un processo di formazione dell’identità della persona nel suo complesso (Saraceno, 2003; Garelli, 2000).

In definitiva, stando a quanto detto fin qui, il coming out esprime una concomitanza di eventi importanti nella vita di ogni omosessuale: innanzi tutto il “venir fuori” pubblicamente, svelandosi ad ogni tipologia di “altro”, ma anche venire fuori nei confronti di se stessi e riuscire a rifiutare termini offensivi, riuscire a disfarsi dei vari bias sociali e dei relativi pregiudizi, sostituendoli con interpretazioni di affermazione, rispetto ed integrazione a tutti i livelli (Bertone, 2009).

Esistono naturalmente, come emerge dalle ricerche sociologiche recenti (vedi Bertone, 2009 o Barbagli e Colombo, 2007) una complessiva grande varietà di percorsi di vita, da quelli più lineari e stabili a traiettorie molto più fluide e circostanziali. Se si seguono i modelli sopra esposti, si ha l’idea di una definizione della propria omosessualità in termini abbastanza lineari, ma fondamentalmente il percorso di definizione, sia interiore che esteriore, della propria omosessualità è abbastanza contorto nella maggior parte dei casi. Vi è molto spesso, ad esempio, una iniziale commistione di esperienze eterosessuali ed omosessuali che allungano i tempi di definizione della propria identità, come sopra è stato accennato, e di conseguenza tutto il processo di coming out (Bertone, 2009).

Nonostante molti omosessuali decidano di fare coming out, molti altri preferiscono mantenere il segreto, a volte soltanto in alcune cerchie di relazione. Accade infatti che molte persone preferiscono mantenere un’immagine diversa sul luogo di lavoro, più consona ai dettami sociali. Per raggiungere questo obiettivo del “segreto” sono due, secondo Barbagli e Colombo (2007), le strade che possono essere percorse. La prima riguarda il seguire un copione da eterosessuale, comportandosi come se non fossero omosessuali con i colleghi. La seconda strada, invece, è più semplice e riguarda quei casi in cui la persona non si dichiara omosessuale, ma nemmeno cerca di farsi passare per eterosessuale, mantenendo una stretta separazione tra sfera privata e sfera lavorativa.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Barbagli, M., Colombo, A. (2007). Omosessuali moderni. Gay e lesbiche in Italia, Il Mulino, Bologna.
  • Bertone, C. (2009). Le omosessualità, Carocci, Roma.
  • Bertone C., Franchi, M. (2008). Family Matters. Le esperienze dei familiari di giovani lesbiche e gay in Italia, Rapporto di Ricerca.
  • Cass, C.V. (1984). Homosexual identity formation: testing a theoretical model. The Journal of Sex Research, Vol. 20, N. 2, pp. 143-167.
  • Chiari C., Borghi, L. (2009). Psicologia dell’omosessualità. Identità, relazioni familiari e sociali. Carocci, Roma.
  • Corbisiero, F. (2010), Certe cose si fanno. Identità, genere e sessualità nella popolazione LGBT. Gesco, Napoli.
  • Garelli, F. (2000). I giovani, il sesso, l’amore. Il Mulino, Bologna.
  • Lingiardi, V. (2007). Citizen gay. Famiglie, diritti negati e salute mentale. Il Saggiatore, Milano.
  • Pietrantoni, L., Prati, G. (2011). Gay e lesbiche. Quando si è attratti da persone dello stesso sesso. Il Mulino, Bologna.
  • Saraceno, C. (2003), Diversi da chi? Gay, lesbiche, transessuali in un’area metropolitana, Guerini e Associati, Milano.
  • Trappolin, L. (2009). Omosapiens 3. Per una sociologia dell’omosessualità. Carocci, Roma.
  • Troiden, R.R. (1979). Becoming homosexual: a model of gay identity acquisition. Psychiatry (PubMed), Vol. 42, N.4, pp. 362-373.
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