Disturbi d’ansia e salute femminile: il rischio di trascurare malattie fisiche
Un recente articolo del Washington Post (Friedlander Serrano, 2024) ha fatto luce su un fenomeno ancora poco indagato dalla ricerca in campo medico e psicologico: la maggiore prevalenza dei disturbi d’ansia nella popolazione femminile potrebbe ostacolare la diagnosi di alcune patologie fisiche, come apnea notturna, problemi cardiaci e alla tiroide.
Sintomi d’ansia o sintomi di altre condizioni mediche?
È noto che le donne hanno quasi il doppio della probabilità degli uomini di ricevere una diagnosi di disturbo d’ansia (Remes et al., 2016; Yeretzian et al., 2023; World Health Organization, 2023): 21.9% contro 11.3%, secondo Shawon e colleghi (2024).
Alcuni sintomi somatici tipici dell’ansia, come tensione muscolare, emicrania, capogiri, diarrea, intorpidimento o formicolio, possono verificarsi comunemente anche in altre condizioni mediche. Stabilire se tali sintomi siano legati all’ansia, a patologie organiche o a entrambe può rivelarsi in alcuni casi complesso (Friedlander Serrano, 2024).
Ansia nelle donne e ritardo nella diagnosi medica
Quali condizioni sono alla base della maggiore prevalenza dei disturbi d’ansia nella popolazione femminile?
Le fluttuazioni nei livelli di ormoni quali estrogeno e progesterone sembrano essere connesse a processi di apprendimento, memoria, all’insorgenza di disturbi neuropsichiatrici come schizofrenia, disturbo dello spettro autistico, disturbo bipolare e anche disturbi d’ansia (Iqbal et al., 2024). Altri fattori di rischio per le donne sono legati all’esposizione precoce a traumi come l’abuso sessuale, nonché l’esposizione a elementi socioculturali, in grado aumentare il livello di stress percepito dalle donne nel far fronte alle pressioni dei diversi contesti di vita, familiare, professionale, scolastico/accademico ecc. (Thomas et al., 2022).
L’articolo del Washington Post evidenzia anche la presenza di un bias di auto-segnalazione, una sorta di pregiudizio secondo cui gli uomini tenderebbero a riferire meno delle donne l’ansia percepita (Stoyanova & Hope, 2012).
Vi è, inoltre, un ulteriore bias che riguarda la diagnosi. Alcuni studi riguardanti l’esperienza diagnostica di donne affette da coronaropatia hanno rivelato che la maggior parte di loro ha ricevuto una diagnosi accurata solo a seguito di un infarto del miocardio (McSweeney et al., 2005; Chiaromonte & Friend, 2006). Coronaropatia e altre patologie cardiovascolari (Carnlöf et al., 2017) rischiano di essere diagnosticate meno frequentemente nella popolazione femminile, a causa di pregiudizi di genere che attribuiscono i sintomi a disagio psicologico e disturbi d’ansia piuttosto che a cardiopatie congenite e specifiche condizioni mediche. Dati epidemiologici suggeriscono che le donne, in particolare le più giovani, sono sottodiagnosticate a causa di sintomi non riconosciuti o di un’interpretazione errata dei sintomi, che ne attribuisce la causa a fattori psicologici piuttosto che organici (Maserejian et al., 2009).
Non solo. Le donne hanno anche meno probabilità di ricevere una diagnosi di apnea notturna rispetto agli uomini. Questi ultimi presentano un maggiore rischio di sviluppare apnea notturna rispetto alle donne, ma quando le donne ne soffrono, tendono a non ottenere una diagnosi (Geer & Hilbert, 2021).
Anche alcune patologie dolorose, come l’endometriosi, vengono spesso individuate erroneamente come ansia, così come problemi alla tiroide e alle ghiandole surrenali, i cui sintomi possono manifestarsi in modo simile ai disturbi d’ansia. Se i sintomi dell’ansia rischiano di appannare e rallentare il processo diagnostico di alcune patologie organiche, elevando erroneamente i tassi di prevalenza dei disturbi d’ansia nella popolazione femminile, le donne possono comunque adottare semplici strategie per comprendere se il loro problema sia l’ansia o altro: ricorrere a una consulenza medica nel caso i sintomi persistano oltre le 4 settimane, tenere traccia dei sintomi su un diario (per identificare se la loro insorgenza è legata a fattori scatenanti o meno), condividere col medico la propria storia familiare (in caso di cardiopatie ereditarie), non avere paura di fare domande allo specialista e considerare una consulenza psicologica, nel caso in cui il medico escluda un’origine organica dei sintomi (Friedlander Serrano, 2024).