L’emergenza come realtà quotidiana nelle Forze Armate e nelle Forze dell’Ordine
Nelle Forze Armate e nelle Forze dell’Ordine, l’emergenza non rappresenta un’eccezione, ma una condizione abituale del lavoro. L’esposizione continua a situazioni potenzialmente traumatiche, alla sofferenza umana, al rischio fisico ed emotivo, richiede un cambiamento radicale nel modo in cui viene inteso il supporto psicologico. Non si tratta più di intervenire solo in risposta a una crisi, ma di considerare la psicologia come una presenza costante e integrata, capace di contribuire in modo strutturale alla costruzione di quella che potremmo definire resilienza operativa: la capacità di mantenere efficienza, lucidità e benessere mentale anche nelle condizioni più difficili.
Oltre il debriefing: criticità di un modello tradizionale
Il modello del Critical Incident Stress Debriefing (CISD), nato per offrire supporto psicologico immediato dopo eventi critici, è stato a lungo adottato in ambito militare e di polizia. Tuttavia, la ricerca scientifica più recente ha evidenziato importanti limiti di efficacia (Rose, Bisson & Wessely, 2002; Hobfoll et al., 2007). Non sempre, infatti, una verbalizzazione collettiva immediata aiuta a prevenire lo sviluppo di sintomi post-traumatici. In contesti fortemente gerarchici e coesi, dove vige spesso una cultura del silenzio funzionale legata alla necessità di apparire forti e controllati, l’invito esplicito a raccontare il vissuto può risultare forzato, se non addirittura controproducente. Può generare resistenze, disagio emotivo e una percezione di intrusione psicologica.
Un nuovo modello di intervento della psicologia dell’emergenza
Alla luce di queste evidenze, è necessario proporre un nuovo approccio. Un modello più articolato, che accompagni l’operatore prima, durante e dopo l’esposizione a situazioni stressanti. Il primo passo è rappresentato dalla valutazione psicologica preventiva, finalizzata a individuare eventuali fattori di vulnerabilità e risorse psicobiografiche. A questa si affianca un addestramento alla resilienza basato su tecniche collaudate. Lo Stress Inoculation Training (SIT), ad esempio, espone gradualmente a situazioni stressanti simulate, con l’obiettivo di aumentare la tolleranza allo stress reale (Foa et al., 2008). Le esercitazioni immersive offrono la possibilità di allenare le reazioni emotive e comportamentali in scenari operativi verosimili. Le tecniche di autoregolazione neurofisiologica, come il rilassamento muscolare progressivo, la respirazione consapevole e la Mindfulness, aiutano l’operatore a mantenere equilibrio e lucidità nelle fasi critiche. Nei teatri operativi, la presenza dello psicologo come embedded consultant all’interno del team consente di intervenire tempestivamente sulle dinamiche, sostenendo il gruppo nella gestione emotiva. Il debriefing, in questa prospettiva, deve essere uno spazio flessibile e non obbligatorio, modellato sulle esigenze reali dell’unità.
Il trauma che si accumula: una minaccia invisibile
A differenza del trauma acuto, legato a un singolo evento, molti operatori sono esposti a una forma meno evidente, ma altrettanto pervasiva di sofferenza psichica: il trauma cumulativo. Questo tipo di trauma si sviluppa lentamente, attraverso una esposizione reiterata a eventi critici o a condizioni lavorative altamente stressanti, spesso senza una frattura esplicita o immediatamente riconoscibile. La letteratura scientifica ha evidenziato come questa esposizione possa minare progressivamente la struttura del sé, l’equilibrio emotivo e la coerenza identitaria (Cloitre et al., 2013; van der Kolk, 2014). Le conseguenze cliniche più frequenti includono la comparsa di disturbi post-traumatici cronici e complessi, disturbi somatoformi con sintomi fisici senza base organica, quadri ansioso–depressivi mascherati da ipercontrollo o iperfunzionalità, e forme di coping disfunzionale, tra cui abuso di sostanze o comportamenti autolesivi normalizzati. Secondo Geronazzo-Alman et al. (2017), l’esposizione lavorativa cumulativa è uno dei principali predittori del disturbo post traumatico da stress nei contesti operativi ad alta intensità emotiva. Per questo è fondamentale che la diagnosi sia affidata a professionisti con specifica formazione in psicotraumatologia operativa e padronanza di strumenti di assessment validati e affidabili.
Psicologia dell’emergenza: prevenzione come cultura organizzativa
Ripensare la psicologia dell’emergenza significa superare il concetto di intervento ex post e riconoscerne il valore strategico in chiave organizzativa. Lo psicologo deve essere coinvolto nei percorsi di formazione permanente, nella strutturazione delle unità operative, nella promozione del benessere psicosociale e nella prevenzione del rischio. Diventa cruciale, in questo contesto, legittimare il ricorso all’aiuto psicologico come pratica normale e non stigmatizzante. Ciò implica un lavoro culturale sui vertici e sui comandi intermedi, orientato a promuovere modelli di leadership relazionale e accountability emotiva, ovvero la capacità dei leader di riconoscere, accogliere e gestire le emozioni proprie e altrui nei contesti operativi. Esperienze recenti in ambito militare e civile hanno dimostrato che l’integrazione stabile della funzione psicologica contribuisce a migliorare il clima organizzativo, aumenta la lucidità decisionale nelle fasi critiche e favorisce la costruzione di una leadership etica e affettiva (Benedek, Fullerton & Ursano, 2007; McFarlane & Bryant, 2007).
Un cambio di paradigma necessario
La psicologia dell’emergenza applicata ai contesti militari e di sicurezza deve emanciparsi da un ruolo secondario per assumere la dignità di paradigma clinico strutturale. Ciò significa formare professionisti capaci di muoversi con competenza e flessibilità in ambienti gerarchici, operativi e ad alta intensità emotiva. Investire in un modello clinico avanzato di psicologia dell’emergenza non è un costo accessorio, ma un atto di responsabilità istituzionale. Solo garantendo benessere e sostegno psicologico a chi quotidianamente presidia le soglie del rischio potremo tutelare non solo l’efficienza operativa, ma anche la tenuta etica e strategica delle istituzioni di sicurezza.