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La necessità di linee guida specifiche dedicate ai survivors

Attualmente mancano linee guida per il trattamento delle manifestazioni cliniche dei survivors, questo lascia un vuoto nei protocolli di supporto psicologico

Di Redazione

Pubblicato il 18 Nov. 2024

Aggiornato il 21 Nov. 2024 11:15

Il suicidio

Il suicidio è una complessa questione di salute pubblica, il cui impatto si estende oltre la perdita individuale, coinvolgendo famiglie e comunità in un dolore che porta con sé conseguenze sociali e psicologiche profonde. Ogni anno, almeno un milione di persone nel mondo muore per suicidio, con un decesso ogni 40 secondi. Negli ultimi 45 anni, i tassi globali di suicidio sono aumentati del 60%, rendendo il suicidio una delle principali cause di morte tra i 15 e i 44 anni e la seconda causa di morte tra i 15 e i 29 anni (Organizzazione Mondiale della Sanità, 2019).

In Italia, nel 2023, il numero dei suicidi e dei tentativi di suicidio è rimasto elevato sia al Nord che al Sud, in un contesto dove la pandemia da COVID-19 ha giocato un ruolo amplificatore, accentuando il disagio psicologico, l’isolamento e la depressione in tutte le fasce d’età (Fondazione Umberto Veronesi).

Survivors

Il termine “survivors” deriva dal verbo “to survive” e si riferisce all’esperienza di continuare a vivere/esistere in condizioni avverse a causa della morte per suicidio di qualcuno (Andriessen, 2006).  In media, si stima che per ogni suicidio almeno sei persone siano da considerare “survivors” o sopravvissuti, rendendoli la più ampia categoria di vittime indirettamente colpite da questo tragico evento (Shneidman, 1973).  Un survivor, dunque, è un individuo che ha perso una persona cara o comunque significativa, il cui suicidio ha profondamente alterato la sua vita (Andriessen, 2009). Questa definizione include non solo i familiari stretti, ma anche amici, colleghi e persone più distanti che vengono comunque coinvolti emotivamente dalla perdita. I survivors affrontano spesso, per un lungo periodo, un elevato livello di distress psicologico, fisico e/o sociale (Jordan & McIntosh, 2011). Lo stress causato dalla perdita per suicidio è considerato catastrofico, paragonabile all’esperienza psicologica vissuta in un campo di concentramento. Il suicidio di un caro può essere sperimentato in modalità diverse, come inaspettato o, talvolta, prevedibile, e questo influenza profondamente l’elaborazione del lutto e le reazioni del survivor.

Gli stati emotivi dei survivors

La perdita a causa del suicidio è spesso seguita da uno sforzo emotivo e cognitivo estremamente importante nel tentativo di rimettere insieme i vari dettagli e di ottenere risposta alla domande: perchè? Quali segnali non ho compreso? 

L’incredulità, lo sbigottimento, la rabbia verso la persona cara, la profonda solitudine, il senso di colpa, la vergogna, lo shock, il ritiro e l’apatia sono solo alcune delle intense risposte emotive che possono essere sperimentate dai survivors.

Il senso di colpa: ‘’Se solo…’’

Il senso di colpa è una reazione comune tra coloro che hanno perso una persona cara a causa del suicidio. Questo sentimento può essere rivolto verso gli altri (eterodiretto), includendo clinici, altri familiari, amici, compagni di scuola o lavoro, e insegnanti, oppure verso se stessi (autodiretto). Tra i pensieri più ricorrenti vi è il rammarico per non aver riconosciuto segnali di allarme o la percezione di non aver agito in tempo per prevenire il suicidio. Alcuni provano un paradossale sollievo, immaginando che il defunto abbia posto fine alla sua sofferenza, mentre altri si tormentano pensando di aver contribuito, in qualche modo, alla decisione del suicidio

Rabbia e incredulità

La rabbia e l’incredulità nei confronti del defunto, che ha scelto di togliersi la vita, si manifestano in molteplici forme: i sopravvissuti possono sentirsi abbandonati e traditi, come se il defunto non avesse considerato il loro dolore e li avesse lasciati soli. Possono provare frustrazione per non aver potuto aiutare e per la sensazione di essere stati messi nella posizione di colpevoli, quasi come se il gesto fosse stato un affronto deliberato. Inoltre, la rabbia si estende ai familiari e agli amici, soprattutto verso coloro che si sono allontanati, e si rivolge anche ai professionisti della salute mentale che non hanno fornito il supporto necessario. 

Vergogna e stigma

La vergogna e lo stigma associati al suicidio sono sentimenti profondamente radicati che influenzano la vita dei survivors. La maggior parte delle persone evita di parlare di suicidio, arrivando a pensare che sia meglio non affrontare l’argomento in presenza di chi ha perso un caro. Questo silenzio contribuisce ad amplificare il senso di vergogna e isolamento e di conseguenza la riduzione dei contatti sociali. 

Manifestazioni cliniche dei survivors

I survivors possono manifestare una serie di sintomi clinici complessi e profondi, che possono includere incubi, flashback e immagini intrusive. Queste immagini possono riguardare la scena del suicidio, il corpo della persona cara o anche rappresentazioni di pericolo più generiche. Le reazioni associate a queste esperienze includono depressione, dispiacere, angoscia, ansia, pentimento, frustrazione e umore deflesso. Inoltre, molti sopravvissuti sviluppano sintomi del Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD),  attacchi di panico, incubi e disturbi del sonno.

Questi sintomi non sono solo di natura psicologica, l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene può aumentare il rischio di sviluppare vari disturbi organici e psichiatrici, tra cui patologie cardiovascolari, diabete di tipo 2, tumori, osteoporosi, artrite reumatoide e disturbi del sonno. Inoltre, c’è un rischio significativo di abuso di alcol e comportamenti suicidari, rendendo fondamentale un intervento tempestivo e mirato per il supporto di questa popolazione vulnerabile (Cerel et al., 2013; Andriessen, 2009).

Quale trattamento per i survivors?

Attualmente, non esistono linee guida specifiche per il trattamento delle manifestazioni cliniche dei survivors. Tuttavia, data la complessità della loro esperienza emotiva, che si colloca a cavallo tra il disturbo da stress post-traumatico (PTSD) e il disturbo da lutto prolungato, vengono spesso adottate le linee guida utilizzate per il trattamento di questi disturbi. Le linee guida internazionali, come quelle del NICE e dell’APA, raccomandano come prima linea terapeutica una combinazione di terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e farmacoterapia, mirate a gestire sia i sintomi di stress traumatico sia quelli legati al lutto intenso.

In aggiunta, può essere utile considerare anche la terapia dialettico-comportamentale (DBT), soprattutto nei casi in cui il survivor manifesti difficoltà significative nella regolazione emotiva. La DBT può fornire strategie per affrontare i sentimenti complessi e per prevenire eventuali comportamenti autolesivi, che in alcuni casi possono emergere. Questi approcci terapeutici mirano non solo a ridurre i sintomi acuti ma anche a favorire un percorso di elaborazione del trauma e di reintegrazione nella vita quotidiana, aiutando i survivors a costruire una resilienza emotiva nel lungo periodo.

Servizi clinici adeguati ai survivors: prospettive future

Le attuali linee guida, orientate verso il trattamento del PTSD o del lutto prolungato, non riescono a rispondere pienamente ai bisogni specifici di questi individui. Al contrario, linee guida mirate consentirebbero ai professionisti della salute mentale di adottare interventi più efficaci, basati su strategie integrate che tengano conto delle specifiche manifestazioni cliniche vissute dei survivors. Lo sviluppo di linee guida specifiche potrebbe inoltre favorire la raccolta di dati e la ricerca continua sui bisogni dei survivors, permettendo di migliorare e adattare costantemente i trattamenti in base alle evidenze. Questo approccio evidence-based assicurerebbe che i survivors ricevano un supporto sempre più efficace e aggiornato. 

In altre parole, linee guida specifiche per i survivors permetterebbero di affrontare in modo completo e mirato le sfide uniche di chi ha subito una perdita per suicidio, offrendo un supporto integrato e favorendo un percorso di recupero più solido ed efficace.

Survivors: la sofferenza invisibile di chi resta – 22 novembre 2024 >> CLICCA QUI

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • WHO. World health statistics 2019: monitoring health for the SDGs, sustainable development goals. Geneva: World Health Organization; 2019.
  • Suicidi in aumento in Italia per tutte le fasce di età. Fondazione Umberto Veronesi 
  • Andriessen K. (2006). On “intention” in the definition of suicide. Suicide & life-threatening behavior, 36(5), 533–538. 
  • Andriessen, K. (2009). Can postvention be prevention? Crisis, 30, 43–47.
  • Shneidman, E. S. (1973). On the nature of suicide. San Francisco: Jossey-Bass.
  • Jordan, J. R., & McIntosh, J. L. (Eds.). (2011). Grief after suicide: Understanding the consequences and caring for the survivors. Routledge/Taylor & Francis Group
  • Cerel, J., Maple, M., Aldrich, R., & van de Venne, J. (2013). Exposure to suicide and identification as survivor: Results from a random-digit dial survey. Crisis: The Journal of Crisis Intervention and Suicide Prevention, 34(6), 413–419.
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