Addio a Philip Zimbardo
La scorsa settimana, il 14 ottobre 2024, con grande dispiacere ci ha lasciati Philip Zimbardo all’età di 91 anni. Psicologo e ricercatore statunitense di fama mondiale, un gigante della psicologia sociale contemporanea, Zimbardo ha accompagnato migliaia di studenti e professionisti attraverso esperimenti, studi e ricerche che hanno indubbiamente fatto la storia della psicologia e lasciato un’incancellabile eredità scientifica, sociale e umana.
Cenni biografici su Philip Zimbardo
Nato e cresciuto nel Bronx nel 1933 da genitori immigrati siciliani di umili origini, Zimbardo sperimentò sulla sua stessa pelle il pregiudizio e la discriminazione a causa del suo background etnico, esperienze dolorose e difficili, ma che si trasformarono ben presto nel motore principale del suo futuro interesse verso la psicologia sociale e il comportamento umano. Dopo aver ottenuto una tripla specializzazione in psicologia, sociologia e antropologia, conseguì il dottorato di ricerca in psicologia presso l’Università di Yale, dove insegnò anche per due anni. Successivamente lavorò come professore di psicologia presso la New York University e la Columbia University fino a quando, nel 1968, divenne professore emerito e membro della facoltà di Psicologia della prestigiosa Università di Stanford, in California.
L’esperimento carcerario di Stanford e l’Effetto Lucifero: la banalità del male
Fu proprio durante gli anni di cattedra alla Stanford University che Zimbardo realizzò alcuni degli esperimenti di psicologia sociale che rappresentano tuttora una pietra miliare nella comprensione della mente, della personalità e dei comportamenti umani. Tra questi, spicca indubbiamente per notorietà ed importanza il cosiddetto Esperimento carcerario di Stanford (Stanford Prison Experiment, SPE), realizzato nel 1971 e attraverso il quale l’autore si propose di ribaltare la tradizionale e netta dicotomia Bene-Male mettendone in luce la labilità e dimostrando che ognuno di noi, in particolari circostanze, potrebbe inaspettatamente trasformarsi nel “cattivo” della situazione, arrivando a mettere in atto comportamenti e azioni radicalmente discordanti rispetto ai propri valori abituali.
Attraverso questo esperimento Zimbardo mirava a osservare il comportamento di 24 studenti maschi fiscalmente sani e psicologicamente stabili inseriti all’interno di un carcere riprodotto nel seminterrato dell’Università di Stanford. Gli studenti, assegnati casualmente al gruppo di guardie o detenuti per due settimane, erano invitati a fingere di interpretare il loro ruolo nel modo più realistico possibile, a patto di evitare qualsiasi forma di punizione o abuso fisico. L’epilogo, tuttavia, fu del tutto inaspettato, al punto che Zimbardo e collaboratori – vittime del loro stesso studio – furono costretti a interrompere l’esperimento prima del previsto. Quella che doveva essere solo una finzione, infatti, si trasformò ben presto in un’impensata realtà, poiché i partecipanti si calarono così realisticamente nei due ruoli che subirono un processo di deindividuazione che trasformò le guardie in spietati aguzzini e i prigionieri in vittime psicologicamente passive.
Nonostante l’esperimento sia stato a lungo oggetto di critiche e controversie per il suo carattere poco etico e morale, ha indubbiamente contribuito a dimostrare l’esistenza del cosiddetto Effetto Lucifero, illustrando come certi fenomeni di violenza e crudeltà siano condizionati da dinamiche di gruppo che agiscono sia a livello individuale che sociale, e lanciando un fervido appello ad abbandonare il concetto semplicistico che considera il confine Bene-Male del tutto impermeabile e assolve ognuno di noi dalla responsabilità di dover prendere anche solo in considerazione la nostra vulnerabilità alle forze situazionali e la possibilità di avere un ruolo nel creare o difendere le condizioni che legittimano la violenza e gli abusi.
È tuttavia doveroso e importante sottolineare che ricondurre le cause del comportamento umano all’influenza del potere situazionale piuttosto che alle qualità disposizionali di ognuno di noi e capire perché facciamo qualcosa non limita né riduce la responsabilità individuale circa le conseguenze di determinate azioni. Si potrebbe dire che questo rivoluzionario esperimento costituisca un prezioso lascito di consapevolezza e rappresenti ancora oggi un importante monito in merito a quel che potrebbe accadere a ciascuno di noi qualora sottovalutassimo la rilevanza delle pressioni e dei ruoli sociali rispetto alla possibilità di influenzare le nostre azioni e modificare le nostre disposizioni interne.
L’eroismo quotidiano e la banalità del bene
Anzitutto, il mondo è pieno di bene e di male – lo è stato, lo è e lo sarà sempre. In secondo luogo, la barriera tra il bene e il male è permeabile e sfumata. E in terzo luogo, gli angeli possono diventare diavoli e, cosa forse più difficile da concepire, i diavoli possono diventare angeli.
Autorevole e geniale scienziato sociale nonché abile comunicatore e divulgatore, Zimbardo ha appassionato generazioni di studenti e di psicologi con memorabili lezioni ricche di passione, autenticità e desiderio di esplorare la complessità e gli enigmi della mente umana. Non solo fu universalmente riconosciuto per i suoi importanti studi sull’influenza sociale sul comportamento umano malvagio, ma dedicò anche gran parte delle sue ricerche all’insegnamento e alla sensibilizzazione dell’eroismo quotidiano, dimostrando che coraggio, empatia e azione responsabile sono alla portata di tutti noi.
Facendo leva sul meccanismo della banalità del male alla base dell’Effetto Lucifero, Zimbardo delineò anche l’esistenza di una banalità del bene, dove gli “eroi di tutti i giorni” sono coloro che sono capaci di mostrarsi artefici di cambiamenti positivi, “disobbedendo” a un’autorità considerata ingiusta e resistendo alle pressioni di un contesto che compromette la propria integrità morale promuovendo l’inerzia (bystander effect, il cosiddetto effetto spettatore) o regole e comportamenti scorretti. Il nucleo dell’eroismo quotidiano promosso da Zimbardo, infatti, non risiede in individui dotati di capacità o attributi straordinari, bensì nell’impegno di persone ordinarie che compiono piccole azioni straordinarie e responsabili assumendosene i rischi.
Mosso da un forte impegno sociale e dall’obiettivo di formare una nuova generazione di eroi, lo psicologo diede vita all’Heroic Imagination Project (HIP), un ambizioso progetto educativo focalizzato sulla comprensione delle forme di eroismo quotidiano e su come utilizzarle nella vita di tutti i giorni.
Zimbardo e la psicologia del tempo
Zimbardo, infine, è ricordato anche per la Terapia della Prospettiva Temporale, attraverso la quale si propose di chiarire come la concezione temporale di ciascuno di noi influenzi il nostro comportamento e di come imparare a bilanciarla.
Secondo lo studioso, infatti, c’è un tempo diverso da quello cronologico, ed è il cosiddetto tempo psicologico, ossia il nostro personale atteggiamento nei confronti del tempo che ci guida nelle decisioni che prendiamo e ci permette di organizzare i nostri vissuti emotivi seguendo il ritmo della nostra storia personale. La percezione del tempo, dunque, non è un dato oggettivo, ma un’esperienza individuale, unica e concreta del modo in cui attribuiamo un significato al suo scorrere.
Nel suo libro “Il paradosso del tempo”, Zimbardo illustra come attraverso la consapevolezza del proprio stile temporale (passato positivo, passato negativo, presente edonistico, presente fatalistico, futuro orientato agli obiettivi, futuro trascendente) si possa imparare a modificare la propria percezione del tempo per ottenere un equilibrio ottimale capace di liberarci dai limiti che ci tengono troppo ancorati al passato, troppo focalizzati sul presente, o eccessivamente ossessionati dal futuro.
Il grande contributo di Philip Zimbardo
Insomma, Philip Zimbardo ha rappresentato un vero pilastro della psicologia sociale, una figura leggendaria che ci ha regalato un’eredità immensa, non solo per i suoi studi pionieristici, ma anche per il suo costante sforzo di rendere la psicologia accessibile e rilevante per il mondo contribuendo a renderlo un posto migliore. La sua scomparsa lascia un vuoto incolmabile, ma il suo lascito e i semi che ha piantato continueranno indubbiamente a crescere, nella consapevolezza che la normalità dell’essere eroi è l’unico antidoto alla banalità del male.