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È vero che svegliarsi presto migliora le nostre capacità cognitive?

Un recente studio ha indagato la relazione tra la durata del sonno, la qualità del cronotipo e il loro impatto sulle performance cognitive

Di Silvia Bettoni, Silvia Carrara, Michela Di Gesù, Martina Gori, Giulia Onida, Matteo Zambianchi

Pubblicato il 24 Set. 2024

Cosa sappiamo sul sonno?

Il sonno è un processo fisiologico fondamentale per l’uomo, che risulta avere un ruolo cruciale nel preservare e migliorare le funzioni cognitive, contribuendo al ristoro del corpo (Hausswirth et al., 2014), al consolidamento delle memorie (Diekelmann et al., 2008) e dell’apprendimento (Lam et al., 2011) e alla regolazione delle emozioni (Pickett, Barbaro & Mello, 2016); ha una funzione ristoratrice e di protezione grazie alla rimozione di metaboliti tossici dal sistema nervoso centrale (Xie et al., 2013).

Nonostante la sua importanza, è tuttora materia di studio e interesse e lascia aperte ipotesi e considerazioni sulla sua vera funzione e sulla sua influenza nei processi cognitivi.

Alcuni studi hanno evidenziato la relazione tra la durata del sonno e le abilità cognitive, mostrando come sia una durata del sonno troppo breve (≤ 4 ore) sia una troppo lunga (≥ 10 ore) hanno effetti negativi sul potenziale cognitivo dell’individuo (Ma et al., 2020). 

Non solo la durata, ma anche la qualità del sonno è un importante fattore di influenza nella performance cognitiva.

Tuttavia, sussiste una carenza di informazioni riguardanti il ruolo dei cronotipi, cioè i diversi pattern che riflettono l’inclinazione di un individuo a dormire o a essere più attivo in diverse fasce orarie della giornata (ad esempio, la mattina o la sera) secondo il proprio ritmo circadiano. È inoltre risaputo che disregolazioni dei ritmi circadiani (ad esempio, il jet lag) hanno un impatto negativo sulle performance cognitive, ma si conosce ancora poco su come questi stessi ritmi siano associati alle funzioni cognitive.

Un recente studio (West et al., 2024) si è posto l’obiettivo di investigare la relazione tra la durata del sonno, la qualità del cronotipo e il loro impatto sulle performance cognitive, per cercare di delinearne in maniera più accurata le funzioni e far luce sugli aspetti del sonno che ancora non risultano chiari.

Quanto il sonno e il cronotipo influenzano le performance umane?

Il campione è stato selezionato dalla Biobanca del Regno Unito ed è stato selezionato meticolosamente, sulla base delle risposte a domande chiave per lo studio. Ad esempio, i partecipanti che hanno risposto “non lo so” a quesiti relativi al cronotipo sono stati esclusi.

Le valutazioni cognitive sono state svolte da un sistema computerizzato e, al fine di approfondire diversi parametri come capacità logica, ragionamento, memoria visiva e velocità di elaborazione delle informazioni, hanno indagato quattro aree: intelligenza fluida, abbinamento di coppie, tempo di reazione e memoria prospettica. I test cognitivi hanno esaminato la performance cognitiva e la sua stabilità nel tempo. 

Per quanto riguarda il sonno lo studio si è concentrato su tre variabili, cronotipo, qualità e durata del sonno, indagate attraverso un questionario.

Al fine di esaminare la durata è stato chiesto ai partecipanti quante ore di sonno contassero nell’arco di 24 ore, includendo il riposo diurno. Le risposte sono state poi categorizzate secondo i seguenti parametri: breve (<7 ore), normale (7–9 ore) e lungo (>9 ore). Rispetto invece al cronotipo, ai partecipanti è stato richiesto di scegliere una tra le seguenti opzioni: “sicuramente una persona mattiniera”, “una persona più mattiniera che notturna”, “una persona più notturna che mattiniera”, “sicuramente una persona notturna”, “non so”, “preferisco non rispondere”. Sulla base delle risposte sono poi stati individuati tre gruppi: il gruppo “mattina” è costituito da coloro che hanno indicato la prima opzione, il gruppo “intermedio” include la seconda e la terza opzione mentre il gruppo “serale” interessa la quarta opzione; i rimanenti sono stati esclusi dallo studio.

L’indicatore di qualità del sonno scelto è stato il grado di insonnia riferito dai partecipanti ed è stato indagato attraverso la domanda “Hai difficoltà ad addormentarti di notte o ti svegli nel mezzo della notte?”. A partire da questa domanda sono state individuate due categorie: coloro che hanno risposto “mai/raramente” e chi invece ha risposto “a volte/solitamente”. 

Risultati e controversie dello studio

Gli sperimentatori hanno concluso che coloro che stanno svegli fino a tardi mostrano punteggi maggiori ai test cognitivi, mentre chi si sveglia presto tende ad avere prestazioni cognitive significativamente inferiori. Chi ha un cronotipo intermedio, cioè coloro che si posizionano a metà strada tra il gruppo serale e il gruppo mattutino, mostrava prestazioni intermedie rispetto agli altri due cronotipi.

Raha West, autrice principale dello studio, sottolinea come una quantità di sonno intermedia, non troppo lunga né troppo corta, sia la situazione ideale.

Altre variabili analizzate dallo studio riguardano la salute e lo stile di vita, che si sono mostrati entrambi validi predittori di performance cognitiva.

Alcuni studiosi hanno evidenziato come questi risultati siano da prendere con cautela. Jacqui Hanley, studiosa che si occupa di Alzheimer, sostiene che con i dati a disposizione non sia possibile inferire se sia effettivamente il cronotipo ad influenzare le prestazioni cognitive o eventuali alterazioni neurodegenerative a danneggiare la qualità del sonno.

Jessica Chelekis, professoressa alla Brunel University di Londra, mette in luce importanti limitazioni di questo studio, in quanto non sono state tenute in conto variabili – come il livello di educazione e l’orario del giorno in cui sono stati somministrati i test cognitivi – che potrebbero aver inficiato i risultati ottenuti.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Diekelmann, S., Landolt, H. P., Lahl, O., Born, J., & Wagner, U. (2008). Sleep loss produces false memories. PloS one, 3(10), e3512.
  • Hausswirth, C., Louis, J., Aubry, A., Bonnet, G., Duffield, R., & LE Meur, Y. (2014). Evidence of disturbed sleep and increased illness in overreached endurance athletes. Medicine and science in sports and exercise, 46(5), 1036–1045. 
  • Lam, J. C., Mahone, E. M., Mason, T., & Scharf, S. M. (2011). The effects of napping on cognitive function in preschoolers. Journal of developmental and behavioral pediatrics: JDBP, 32(2), 90–97. 
  • Ma, Y., Liang, L., Zheng, F., Shi, L., Zhong, B., & Xie, W. (2020). Association Between Sleep Duration and Cognitive Decline. JAMA network open, 3(9), e2013573. 
  • Pickett, S. M., Barbaro, N., & Mello, D. (2016). The relationship between subjective sleep disturbance, sleep quality, and emotion regulation difficulties in a sample of college students reporting trauma exposure. Psychological Trauma: Theory, Research, Practice, and Policy, 8(1), 25–33. 
  • West, R., Wong, R. T. C., Park, J., Lee, S. W., Mudiyanselage, D. E., Liu, Z., & Ma, D. (2024). Sleep duration, chronotype, health and lifestyle factors affect cognition: a UK Biobank cross-sectional study. BMJ Public Health, 2(1), e001000.
  • Xie, L., Kang, H., Xu, Q., Chen, M. J., Liao, Y., Thiyagarajan, M., O’Donnell, J., Christensen, D. J., Nicholson, C., Iliff, J. J., Takano, T., Deane, R., & Nedergaard, M. (2013). Sleep drives metabolite clearance from the adult brain. Science (New York, N.Y.), 342(6156), 373–377.
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