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Perché pensiamo così tanto? Imparare a pensare meno e a vivere meglio

Preoccuparsi delle cose può sembrare una strategia utile, ma se invece fosse proprio il fatto di pensare meno ad aiutarci a vivere meglio?

Di Maria Gazzotti

Pubblicato il 01 Set. 2023

Cosa accade nella nostra mente?

Ti capita mai di pensare ripetutamente a qualcosa senza riuscire a smettere, distraendoti dalla realtà circostante? Quante cose ci perdiamo in questo modo? Proviamo a chiederci per un istante se sapremmo descrivere il tragitto che va da casa al lavoro. Di che colore sono i palazzi lungo le vie? Cosa c’è adesso in esposizione nelle vetrine dei negozi?

Spesso ci muoviamo nel mondo con il pilota automatico, mentre l’attenzione è rivolta verso l’interno, su una quantità di pensieri e preoccupazioni che non sono necessari e non ci aiutano a vivere meglio.

Se ti capita spesso di ritrovarti incastrato in una serie di pensieri negativi e ripetitivi potrebbe trattarsi di rimuginio, ovvero pensieri ciclici, ripetitivi, analitici e perseveranti su contenuti negativi. Il rimuginio ha conseguenze sia sul benessere, prolungando lo stato di stress, sia sulle prestazioni, consumando molte risorse mentali ed energie. Rimuginare è un tentativo di prendersi cura di sé, che ha però un effetto paradossale: il mantenimento dei pensieri negativi e della sintomatologia associata, tipicamente legata all’ansia, ma anche alla tristezza o alla rabbia, che possono essere segno di una vera e propria sofferenza psicologica (Frigerio, 2020)

Preoccuparsi delle cose può dare l’impressione di riuscire a prepararsi agli eventi, prevenire gli errori, risolvere i problemi, ricordarsi le cose e fare in modo che vengano fatte. Ma è davvero così utile? Cosa succederebbe in concreto se riducessimo i pensieri e fossimo più centrati su ciò che ci circonda e che stiamo facendo nel momento presente?

La Terapia Metacognitiva

Secondo la Terapia Metacognitiva, il malessere psicologico è legato all’attivazione del CAS, uno stile di pensiero perseverante che si esprime con rimuginio/ruminazione, focalizzazione dell’attenzione sulla minaccia, comportamenti di coping inefficaci e disfunzionali (Wells, 2009).

Vediamo un esempio per capire meglio:

V., 35 aa, vive con il compagno e lavora in una compagnia di assicurazioni. Si preoccupa spesso di aver commesso degli errori sul lavoro o di poterne commettere e di cosa i colleghi potrebbero pensare di lei (ruminazione/rimuginio) provando forte ansia e difficoltà a dormire; poichè si reca in terapia volendo risolvere questa specifica questione, il lavoro iniziale è indirizzato all’esplorare il contenuto dei pensieri e mettere in discussione le sue credenze negative (es. “se sbaglio sono una fallita”). Una volta iniziato a mettere in discussione queste credenze, però, V. ha cominciato a riferire preoccupazioni relative alla sua relazione e timore che il fidanzato potesse lasciarla, che la portavano a monitorare i possibili segnali di una rottura (monitoraggio della minaccia), ed insieme anche preoccupazioni sulle relazioni amicali, con il timore di poter perdere le amicizie e trovarsi sola; dopo breve tempo sono riemerse le preoccupazioni sul lavoro. V. sembra preoccuparsi sempre di qualcosa.

Intervenire sui contenuti delle preoccupazioni non risulta efficace a lungo termine, poiché il problema di V. è dovuto all’adozione di uno stile di pensiero disfunzionale, legato proprio all’attivazione del CAS, che non viene modificato dalla messa in discussione del contenuto dei pensieri, anzi. Lavorare sul contenuto dei pensieri, per esempio testandone la veridicità o mettendo in discussione le credenze sottostanti, non è sempre efficace.

Cosa fare quindi?

Può essere più funzionale spostarsi su un piano metacognitivo, diventando consapevoli dei propri stili e processi di pensiero maladattivi; per modificare il modo in cui ci si relaziona ai pensieri bisogna puntare ad abbandonare il processo inefficace e dannoso di rimuginio/ruminazione e prendere le distanze dai propri pensieri, considerandoli semplicemente degli eventi interni alla propria mente, che non richiedono necessariamente di essere analizzati (Wells, 2009).

Pensare meno: la detached mindfulness

Per riuscire ad adottare un punto di vista distaccato rispetto ai propri pensieri, bisogna iniziare a sperimentare nella propria vita quotidiana uno stile di pensiero diverso, che si può riassumere nella detached mindfulness (consapevolezza distaccata), cioè uno stato di consapevolezza sui propri stati interni e su ciò che avviene nella propria mente, senza sentirsi in obbligo di analizzarli e valutarli, limitando il tempo e le energie da dedicarvi (Well, 2005).

Si può capire meglio questo concetto attraverso una metafora: la mente può essere immaginata come una stazione ferroviaria in cui i treni che passano rappresentano pensieri e sensazioni e noi siamo i passeggeri. Possiamo scegliere se salire a bordo di un treno e, una volta saliti, quando scendere, ma non ha senso salire su un treno solo perché passa davanti a noi e lasciarci trasportare dove non abbiamo bisogno di andare. Allo stesso modo, possiamo notare i pensieri che ci passano per la mente ma possiamo scegliere se ingaggiarci in essi oppure no e valutare l’utilità di utilizzare così le nostre energie (Wells, 2009).

Se abbiamo una presentazione di lavoro tra due settimane, ci serve pensare ogni giorno a tutto ciò che potrebbe andare storto? Possiamo davvero prevedere se il proiettore smetterà di funzionare o se il collega ci farà un’osservazione negativa? Questi pensieri ci aiutano a vivere meglio? 

La soluzione chiaramente non è smettere di pensare, ma chiederci se e quando è utile usare le nostre energie per preoccuparci e quando invece non lo è. Questo ci aiuta a ricordare che possiamo vivere solo nel qui ed ora e che pensare troppo al futuro o al passato non fa altro che allontanarci dal presente e ostacolarci nel vivere una vita il più possibile serena e soddisfacente. Quindi, impariamo a pensare meno e a vivere meglio.

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Maria Gazzotti
Maria Gazzotti

Redattrice di State of Mind

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