expand_lessAPRI WIDGET

Digital teens: disturbi internalizzanti ed esternalizzanti nell’era digitale

Le nuove tecnologie e il Metaverso potrebbero rivelarsi un interessante strumento nel trattamento di disturbi internalizzanti e esternalizzanti nei ragazzi

Di Beatrice Baroni

Pubblicato il 07 Apr. 2023

I ragazzi tra i 13 e i 18 anni spendono quotidianamente circa 7 ore e mezza sui social (Damodar et al., 2022) e, per quanto le nuove generazioni siano più accorte e prudenti di quanto non si pensi, l’universo dell’online persiste nell’essere un luogo di insidie e potenziali pericoli.

Disturbi internalizzanti e disturbi esternalizzanti

 Quando si parla di psicopatologia in età evolutiva, cosa si intende per disturbi internalizzanti ed esternalizzanti? In che modo influisce l’esperienza del mondo digitale?

Solitamente un esordio psicopatologico –a prescindere dall’età anagrafica del soggetto – ha precise caratteristiche relative sia alla sfera comportamentale che al mondo interno della persona.

Quando si affronta un caso in età evolutiva, è utile fare una macro distinzione nella classificazione diagnostica: quella tra disturbi internalizzanti e disturbi esternalizzanti.

Nei disturbi esternalizzanti il soggetto manifesta in modo tangibile e osservabile comportamenti rivolti verso l’esterno, che possono essere fisici come l’aggressività e l’iperattività, oppure verbali.

Diversamente, i disturbi internalizzanti riguardano invece il mondo interno del soggetto e quindi pensieri, eventuali alterazioni del tono dell’umore, stati d’animo e disregolazione emotiva. Tutti questi fattori, inoltre, possono spostarsi dal piano psicologico e concorrere allo sviluppo di manifestazioni somatiche come ad esempio psoriasi, disturbi gastrointestinali (ad esempio il Morbo di Crohn) o anche cefalee (Fochetti, 2017).

Una panoramica dei disturbi

Non è insolito che i disturbi dell’età evolutiva insorgano durante il periodo scolastico: il bambino o l’adolescente, esposto a esperienze sociali di interazione con l’altro in un ambiente stimolante con richieste via via sempre più impegnative, può rispondere con pattern disfunzionali sia sul piano relazionale che comportamentale.

Da un punto di vista comportamentale, i quadri diagnostici più diffusi nella popolazione infantile sono il Deficit da Attenzione e Iperattività (ADHD), i disturbi della condotta e infine il disturbo oppositivo provocatorio (DOP), in cui si assiste a comportamenti provocatori e vendicativi accompagnati da scoppi di rabbia. In alcuni casi tutti e tre questi quadri diagnostici possono anche coesistere (Del Giudice et al., 2020). Durante l’ultimo ventennio si è assistito a un significativo aumento di casi di bambini che soddisfano i criteri per una diagnosi ADHD, manifestando inoltre atteggiamenti aggressivi e/o impulsivi (Schoemaker et al., 2021; Barra et al., 2020).

Sul versante internalizzante invece sono sempre più comuni i disturbi d’ansia, così come anche i pattern che rimandano a diagnosi depressive (Kuzujanakis, 2020).

Come si articola la patologia negli “adolescenti digitali”

Dalle ricerche emerge che i ragazzi tra i 13 e i 18 anni spendono quotidianamente circa 7 ore e mezza sui social (Damodar et al., 2022), con un uso intenso di YouTube e Twitch da parte dei ragazzi e Instagram e Tik Tok da parte delle ragazze (Pew Research Center, 2022).

 Apparirebbe ridondante ribadire quanto ormai tutti noi siamo immersi in questa realtà parallela che è il mondo virtuale, fatto anch’esso di momenti e di relazioni. E per quanto le nuove generazioni siano più accorte e prudenti di quanto non si pensi, l’universo dell’online persiste nell’essere un luogo di insidie e potenziali pericoli. La “Facebbok depression” ad esempio indica come l’uso intenso e costante di social media, quali ad esempio Facebook, possa rappresentare un fattore in grado di agire da trigger per un quadro depressivo (Lakasing & Mirza, 2020). Non è dunque raro trovare nella letteratura esordi sintomatologici ansiosi o depressivi abbinati a un quadro da dipendenza da Internet (internet addiction) (Zhao et al.,2023; Casale et al., 2021).

Una ricerca condotta nel 2010 ha indagato come i giocatori di videogiochi spesso esperiscano episodi di dissociazione: loro stessi riportano che essere immersi in un livello alternativo di coscienza – come può esserlo il mondo fantastico di un videogioco – gli fa perdere il contatto con la realtà, tanto il loro Sé è fuso con l’identità virtuale (avatar) (Snodgrass et al., 2010). A questo si aggiunge il fatto che il periodo pandemico ha senz’altro aggravato la situazione. Diversi recenti studi confermano come soprattutto il periodo di lockdown abbia contribuito a creare un rapporto direttamente proporzionale tra i disagi psicologici a matrice ansiosa e/o depressiva e la dipendenza da internet (Zhao et al., 2023; Damodar et al., 2022).

E il metaverso?

L’idea di Metaverso come ambiente virtuale alternativo nasce dall’unione tra un sistema di realtà immersiva e una modalità di interazione che prevede anche l’uso del proprio corpo. Gli utenti infatti saranno identificabili in questo virtual environment per mezzo di surrogati identitari (avatar) dalle sembianze umane.

Per quanto l’opinione collettiva si divida in due macro direzioni – pro e contro il Metaverso – resta ancora un’incognita su come esso (se mai dovesse affermarsi sulla scena della quotidianità) possa influenzare l’aspetto relazionale e comportamentale, da un punto di vista psicologico (Cerasa et al., 2022).

Secondo uno studio del 2022, sembra che l’unione di Realtà Virtuale (VR), Realtà Aumentata (AR) e Realtà Mista (RM; ossia un sistema ibrido che integra set digitali con set virtuali) che dà vita al Metaverso, si sia rivelata un interessante strumento impiegato nel trattamento dei disturbi mentali (Usmani et al., 2022). Per quanto concerne i disturbi esternalizzanti ed internalizzanti, l’impiego della realtà virtuale ha ottenuto successo sia nel trattamento dell’ADHD, così come anche nell’intervento sui disturbi d’ansia. Nel primo caso, i ragazzi sembravano più ricettivi e coinvolti negli ambienti virtuali, cosa che ha migliorato l’aderenza al trattamento; nel secondo caso, sfruttando input mirati a lavorare sulle proprie capacità sociali, i pazienti sono riusciti ad acquisire maggior stima di sé e a sviluppare abilità comunicative (Goharinejad et al., 2022; Kim et al., 2020).

Il lato negativo di questa potenziale frontiera avanguardista della diagnostica risiede nel fatto che adolescenti e giovani siano inevitabilmente incentivati a passare molte ore immersi in questo universo parallelo.

A questo punto, quale sia la giusta via di mezzo – ammesso che esista – è ancora prematuro dirlo; ulteriori ricerche in questo ambito saranno dunque fondamentali per fare luce su questi aspetti.

Si parla di:
Categorie
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Adolescenti tra pandemia e social network la complessita delle relazioni
Adolescenti oggi tra pandemia e social network: complessità delle relazioni e suicidio giovanile

L'isolamento di questo periodo ha favorito la dipendenza dai social, dove gli adolescenti hanno trascorso molte ore per supplire alla carenza relazionale

ARTICOLI CORRELATI
Slacktivism: di cosa si tratta? Quando l’attivismo online può diventare dannoso

Sostenere cause sociali tramite l’attivismo online può fornire un aiuto prezioso, ma attenzione allo slacktivism, una forma superficiale e disinteressata di supporto

Lo psicologo negli e-sports

Gli e-sports, progettati con l'obiettivo di competitività, hanno suscitato l'interesse della psicologia per i fattori psicologici coinvolti

WordPress Ads
cancel