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Adolescenti oggi tra pandemia e social network: complessità delle relazioni e suicidio giovanile

L'isolamento di questo periodo ha favorito la dipendenza dai social, dove gli adolescenti hanno trascorso molte ore per supplire alla carenza relazionale

Di Carmen Ventura

Pubblicato il 31 Gen. 2023

Aggiornato il 03 Feb. 2023 12:00

La mancanza di punti di riferimento alimenta negli adolescenti una solitudine che scava radici profonde, amplificando vissuti di sofferenza e innescando una difficoltà relazionale che li spinge a ricercare legami nei social media, percepiti come più facilmente accessibili e nei quali ci si sente meno esposti.

 

 L’adolescenza è una fase del ciclo vitale particolarmente delicata, caratterizzata da innumerevoli trasformazioni fisiche e psicologiche con le quali bisogna fare i conti per giungere alla definizione di sé, un Sé in continua evoluzione che necessita di basi solide su cui poggiare e che spesso sfocia in un lavorìo interiore, difficile da sostenere se vissuto in solitudine.

La ricerca della propria identità è la prerogativa di ogni adolescente. Il ‘chi sono?’ è prioritario e si accompagna ad una continua ricerca di conferme che possano annullare quel senso di vuoto annichilente, che sconvolge a tal punto da far emergere tutte le fragilità.

Un viaggio alla scoperta di sé che necessita di una presenza attenta, accogliente, rassicurante ma discreta, che accompagni il giovane alla ricerca di un’identità in divenire, senza fargli però sperimentare la frustrazione di non essere in grado di farcela da solo, alimentando così stati di dipendenza non fisiologica, ma che sia in grado di trasmettere la fiducia e restituisca il senso della propria unicità.

Lo sviluppo dell’identità è un processo graduale, che favorisce l’integrazione di parti di sé apparentemente contrastanti, polarità che vanno riconosciute e integrate, ma soprattutto è un processo relazionale che promuove la definizione di sé attraverso le esperienze verbali e corporee che hanno caratterizzato la relazione con le figure significative, assimilate nel tempo e che andranno a definire la percezione di sé.

La dimensione corporea in questa fase del ciclo vitale è predominante: l’adolescente è impegnato a delineare i propri confini corporei e a ridefinire l’immagine di sé attraverso il passaggio dall’avere un corpo, come qualcosa che si possiede al di fuori dal proprio Sé, che in questa fase è connotato da una cura eccessiva, dall’essere un corpo, sentito e vissuto, dentro la propria pelle. Questo processo ovviamente non è così immediato e scontato, ma richiede una maturazione che conduce alla consapevolezza che il corpo agente e senziente non è qualcosa di differente e al di fuori della stessa persona che lo osserva.

Ma la corporeità richiama anche molte problematiche legate ai cambiamenti fisiologici che si accompagnano a sensazioni nuove, a volte sgradevoli perché vissute come imprevedibili e, soprattutto, ‘subite’, verso le quali non si ha alcun potere. E proprio il senso del potere è una delle tematiche ricorrenti dell’adolescenza che innesca spesso un’alta conflittualità con la quale gli adulti devono fare i conti.

I nuovi adolescenti tra pandemia e relazioni virtuali

Le turbolenze adolescenziali spesso preoccupano gli adulti che devono districarsi tra problematiche inedite non sempre di facile gestione e soprattutto di immediata comprensione.

L’accesa conflittualità innescata dalla ricerca dell’autonomia che spesso caratterizza i rapporti con le figure genitoriali sottende il grande bisogno di ridefinire la relazione, di ritrovarsi in un mondo inedito in cui gli adolescenti possano sentirsi protagonisti, senza però essere lasciati allo sbaraglio, privi di punti fermi e di certezze, che plachino il bisogno di un’età spesso definita burrascosa, transitoria e della quale si evidenziano solo i tratti negativi, svalutando invece le potenzialità di un periodo d’oro.

La difficoltà ad accettare il senso del limite tipicamente adolescenziale impatta con le regole del sistema familiare, in primis, e del contesto sociale, successivamente, rendendo ancora più complesso il già difficile ruolo educativo. L’energia dirompente che l’adolescente avverte, infatti, gli fa sperimentare una forza nuova trasmettendogli un senso di potere che comunque necessita di essere canalizzato.

La distanza generazionale non è l’unico spartiacque che rende difficile avvicinarsi ad un mondo in continuo tumulto: la costante evoluzione tecnologica rende più complessa la possibilità di accostarsi a una dimensione poliedrica e comprendere appieno le esigenze di chi ancora non ne ha piena consapevolezza, senza cadere nell’errore di stigmatizzare bisogni che possono apparire superficiali o di facile risoluzione.

Il divario che spesso possiamo constatare richiama l’esigenza di trovare nuovi agganci per riuscire a interloquire, senza il rischio dell’incomprensione che vada ad alimentare distanze che con il tempo possono diventare insormontabili.

La mancanza di punti di riferimento alimenta nei giovani una solitudine che scava radici profonde, amplificando vissuti di sofferenza e innescando una difficoltà relazionale che li spinge a ricercare legami nei social media, percepiti come più facilmente accessibili e nei quali ci si sente meno esposti. Disorientati, ricercano un ‘luogo’ in cui ognuno si sente libero di esprimersi per come è, o magari, per come vorrebbe essere, dove si possono riversare le proprie frustrazioni o cercare di appagare i propri bisogni, dove poter sfuggire al logorìo interiore, ricercare amicizie che possano disconfermare la propria insicurezza e introversione giocando il ruolo del protagonista, dove poter vivere spazi di immaginaria realtà.

La vulnerabilità squisitamente adolescenziale sembra essere ancora più marcata in questa fase storica connotata dall’incertezza per il futuro e dall’instabilità dei legami. La pandemia non ha fatto altro che slatentizzare uno sfondo sociale che era già abbastanza precario, evidenziandone le criticità, disagi e malessere che dallo sfondo premevano per emergere.

In particolare, la nostra società è caratterizzata da molta instabilità e precarietà sia a livello socio-economico che relazionale, infatti vede frantumarsi i legami, diventati sempre più fragili ed inconsistenti, in cui tutto si dissolve in una sorta di liquidità, come ha ben evidenziato Bauman (2011). Siamo sempre più connessi, ma sempre meno in relazione. Le relazioni vis-à-vis sono state rimpiazzate dai legami virtuali, privi di quel contatto fisico e di quella presenza calda e rassicurante, che placa e consola, rendendo sempre più inafferrabile quell’immediatezza corporea insostituibile. Anche l’adulto è immerso in un mondo troppo complesso da gestire dovendosi spesso districare tra compiti evolutivi di non semplice risoluzione e reinventarsi ogni giorno per svolgere al meglio il proprio ruolo educativo.

La società contemporanea vede il moltiplicarsi delle appartenenze e questo rende ancora più difficile il processo di identificazione. Spogliati della propria individualità, si tende a emulare modelli di perfezione e di felicità fittizi, rincorrendo a modelli di riferimento che influenzano le scelte quotidiane oltre che lo stile personale, pronti a sgretolarsi al minimo scuotimento.

La complessità delle nostre relazioni si riflette inevitabilmente nella struttura familiare, chiamata continuamente a rinnovarsi e ad adattarsi a sistemi culturali in continua evoluzione, sempre più eterogenei e interculturali. Negli ultimi decenni si è rivalutata l’importanza del dialogo e della relazione in seno al sistema familiare approdando a un modello educativo di tipo paritario, delusi da un autoritarismo troppo soffocante, oltre che emotivamente freddo, incline a una distanza insostenibile tra genitori e figli, lontana pertanto dal bisogno emergente di vicinanza e di calore.

Nella società post-moderna, infatti, si appiattiscono le distanze, si annientano le differenze, nella speranza di trovare la via che apra il dialogo tra due mondi spesso percepiti distanti, contrapposti. La linea generazionale può apparire confusa per i figli e questo non agevola la comunicazione e soprattutto non placa il bisogno di chiarezza. Un sistema educativo di tipo paritario è già destinato al fallimento perché non rispondente al reale bisogno evolutivo di sana dipendenza di chi necessita di un ground (letteralmente ‘terra’, ‘terreno duro’, in senso figurato base solida costituita dall’insieme di sistema valoriale ed emozionale e di tutti quegli apprendimeni trasmessi nell’ambito di una relazione significativa) stabile dal quale differenziarsi.

La perdita di senso nell’adolescenza: autolesionismo e suicidio giovanile

In questi anni di pandemia sono cresciuti malessere e disagio giovanile: la sofferenza si è radicata a tal punto da inficiare la capacità di intrattenere relazioni sociali che non siano prettamente virtuali. Con la difficoltà relazionale è subentrata l’angoscia e il lockdown non ha fatto altro che amplificare stati di malessere, come ansia e depressione che si sono diffusi in maniera esponenziale tra i giovanissimi, sfociando in alcuni casi in condotte autolesive e tentativi di suicidio. Le statistiche rivelano, infatti, un alto tasso di suicidi consapevole o accidentale (Fondazione Umberto Veronesi, 2022). I social, senza volerli condannare, hanno giocato un ruolo fondamentale contribuendo alla diffusione di fenomeni di violenza e di condotte antisociali sfociando nel cyberbullismo (Ministero della Salute, 2021).

 L’isolamento che ha caratterizzato quest’ultimo periodo ha favorito una maggiore dipendenza da internet dove i ragazzi hanno trascorso molte ore per supplire alla carenza relazionale extrafamiliare (Lavorini, 2021), evidenziando di contro l’insaziabile e imprescindibile bisogno di relazioni reali e di sentirsi parte di una rete sociale. I social sono diventati così i nuovi luoghi dell’incontro sostituendo il gruppo dei pari che ha da sempre avuto un ruolo fondamentale nella prima socializzazione, importante per una crescita sana, fungendo da supporto e contenitore delle emozioni, favorendo inoltre la canalizzazione dell’energia.

Mentre ci si sente al sicuro tra le proprie mura domestiche, crescono paradossalmente le insidie in un mondo dove tutti sono costantemente raggiungibili, dove le distanze si annullano, i confini non esistono e le parole possono scorrere senza freni ed inibizioni. Qui le ‘vittime’ non trovano angoli nei quali rifugiarsi, ma vengono messi a nudo nella ‘piazza’ di tutto il mondo, spogliati della loro dignità. Il profondo senso di vergogna e la frustrazione che ne derivano spesso per loro non sono dicibili, troppo doloroso sentirsi sconfitti nella partita della vita.

La perdita di senso favorisce la perdita di desideri e di prospettive; calando la progettualità futura subentra l’indifferenza nei confronti della vita, ma anche della morte. Tutto si appiattisce, sbiadisce… cresce il bisogno di sentirsi e per ricercare sensazioni ci si rivolge al proprio corpo con atti di autolesionismo. Ma la mortificazione del corpo può avvenire in vari modi di cui il tagliarsi ed il procurarsi ferite rappresentano forse i modi più eclatanti di denunciare un rapporto ambiguo con un corpo non vissuto, fonte di disagio e di malessere e che difatti denota una sofferenza ancora più profonda, una ferita relazionale che chiama alla presenza.

Ed ecco che la morte diventa il modo in cui mettere a tacere il proprio corpo, un corpo vissuto come separato dal sé, del quale disfarsi per placare tutte le tensioni che procurano angoscia e spegnere quel dolore che devasta per raggiungere poi quella pace tanto desiderata.

Nello smarrimento di sé muta l’ordine degli elementi che compongono la vita: tutto si ribalta, si mescola, si confonde. Qui è insita la matrice della ‘crisi’ che sconvolge l’adolescente, ma che comunque deve essere attraversata per poter approdare alla propria individuazione.

Il vuoto relazionale non può essere colmato con presenze fittizie, virtuali, ma solo con figure significative presenti, in grado di prendersi cura delle ferite e di insegnare a dialogare con le proprie fragilità per poterle integrare nella propria personalità.

La ricerca continua di conferme sottende il bisogno di essere riconosciuti e non può esaurirsi con un “like” che non placa l’intimo bisogno di essere visti e accolti per come realmente si è. Solo chi è stato visto pienamente in una relazione sana potrà sostenere la frustrazione derivante da un rifiuto o da un giudizio: l’essere riconosciuti dall’altro favorisce la possibilità di riconoscersi in un’appartenenza sana che conferma la propria presenza nel mondo. Solo così l’altro non potrà frantumare l’Io perché poggia su basi solide costruite nell’ambito di una relazione significativa.

Figli di una società narcisistica, vittime di un meccanismo incline al fare piuttosto che all’essere, i giovani di oggi, schiacciati dall’insostenibile peso delle loro fragilità che spesso non riescono ad accogliere, tendono a riempire il tempo con cose da fare per non sentire il vuoto dentro, che altrimenti risulterebbe intollerabile. La noia è vissuta come qualcosa da rifuggire e non come spazio fertile dal quale possono emergere opportunità e risorse.

Il contatto con i propri vissuti è troppo intenso se non è sostenuto dalle figure di riferimento che aiutano a dare senso e significato a ciò che stanno sperimentando. Questo favorirà nei figli il processo di consapevolizzazione e di rielaborazione dei vissuti emotivi talvolta sperimentati come incomprensibili ed intollerabili, solo così l’adolescente potrà approdare ad un sano ascolto di sé.

La frenesia e le aspettative degli adulti innescano la paura di deludere, di non essere all’altezza, rischiando di diventare un boomerang controproducente che restituisce paura e smarrimento, sfociando in alcuni casi nella disperazione, rendendoli così vulnerabili, incapaci di sopportare anche le più semplici sconfitte della vita.

La solitudine che ne consegue tende a ramificarsi, a insidiarsi in ogni angolo della vita, innescando pensieri negativi, a volte ossessivi, tendenti all’autocommiserazione e all’autosvalutazione, pronti ad autoalimentarsi se questo processo non viene interrotto agli albori.

La fatica di crescere in questo tempo complesso è forse racchiusa tutta qui, in questo sottile e delicato equilibrio tra l’esserci e l’esserci-con, presenze che non siano solo corpi, ma corpi in relazione, che sentono, vibrano nel contatto con l’altro. Non più, dunque, corpi anestetizzati, desensibilizzati, che hanno bisogno di emozioni forti per sentire che ci sono, ma corpi vivi e abitati.

Ricontattare la propria parte adolescente, con i suoi bisogni e le sue mancanze aiuterà l’adulto nella ricerca di spiragli di comunicazione favorendo il dialogo intergenerazionale e la possibilità di accostarsi a questi giovani spesso percepiti inafferrabili, irraggiungibili, e scoprirli invece desiderosi di sapere e soprattutto di Essere, pronti a spiccare il volo se solo se ne offre loro la possibilità. “Le parti adolescenti sopravvivono in ogni adulto non come residui irrisolti di crescite mal digerite, ma come risorse utili ad ogni presente” (Fabbrini e Melucci, 2011).

La nuova sfida è proprio questa, ricucire le solitudini attraverso una rete di appartenenze dalle quali poter trarre nutrimento, che offrono un grounding (termine introdotto da Alexander Lowen nell’ambito della terapia bioenergetica che letteralmente significa ‘radicamento’, intendendo con esso uno stato psicofisico di integrato benessere derivante appunto dal sentirsi ben radicato nella realtà, in contatto con il proprio corpo e consapevole delle proprie emozioni) stabile per favorire una sana differenziazione, maturata nella spontaneità di chi ha assimilato un’esperienza relazionale nutriente, un’autonomia vera, dunque, frutto di un sano processo di individuazione e non sfida verso il mondo adulto dal quale ci si sente oppressi e imbrigliati.

Per risanare le fragilità della modernità liquida occorre ripartire dall’essenziale, che si contrappone alla logica del consumismo e dell’insaziabilità dell’apparenza, che colmi i vuoti esistenziali con appartenenze feconde aprendo nuovi sentieri di crescita capaci di generare figli sani e indipendenti, liberi di fiorire nella propria unicità.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Bauman Z. (2011), Modernità Liquida. Latenza, Bari.
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  • Crepet P. (2011). Le dimensioni del vuoto. I giovani e il suicidio. Universale Economica Feltrinelli, Milano.
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