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Il rimprovero e la sua funzione educativa nella prospettiva psicodinamica

La potenzialità educativa del rimprovero varia in base a qualità del rimprovero, motivazione da cui è ispirato, autenticità di colui che lo muove

Di Marta Rebecca Farsi

Pubblicato il 02 Mar. 2023

Aggiornato il 08 Mar. 2023 00:07

Viene proposta una trattazione del rimprovero e della sua funzione educativa basata sui principi fondamentali dell’approccio psicodinamico.

 

 La funzione educativa del rimprovero viene messa in ombra dalla valutazione generalmente negativa ad esso collegata. È infatti pressoché automatico che al concetto di rimprovero vengano associati vissuti di disagio, disconferma e squalifica, lesivi dell’autostima e della percezione globale del Sé. Il rimprovero genera un senso di vergogna che colpisce il nucleo identitario più profondo, talvolta destabilizzandone l’equilibrio: il suo contenuto di critica mette in discussione, spinge al dubbio, a crisi di certezze a fatica acquisite.

Ma non è il solo effetto possibile. In realtà il rimprovero può rivelarsi un’occasione di crescita e progresso, ove dotato di caratteristiche in grado di amplificare le potenzialità evolutive.

I principali effetti del rimprovero e della sua assenza

Nella fase evolutiva il rimprovero fornisce funzioni di:

  • tutela da condotte pericolose che il soggetto, sotto la spinta di una mancata consapevolezza del Sé e del proprio agito, potrebbe attuare;
  • contenimento ad un senso di onnipotenza ed egocentrismo dettato dal dominio dall’Es, che rende inaccettabili frustrazioni e posticipazioni dell’appagamento;
  • regolazione di stati emotivi contrastanti che il soggetto in età evolutiva, non possedendo le risorse egoiche per gestire, rischia di agire adesivamente, con conseguenze spesso deleterie per il Sé individuale e sociale.

Il bambino rimproverato è un bambino socialmente adattato, perché in grado di comprendere l’importanza del rispetto delle proprie necessità e di quelle dell’altro, e per questo munito degli strumenti necessari all’inserimento nella collettività. Lo stesso Freud (1929) esalta l’effetto della frustrazione definendola una componente fondamentale per la costruzione della società civile. La vita collettiva presuppone sacrifici e rinunce che si concretano, essenzialmente, attraverso limitazioni pulsionali dell’Es. L’essere umano non potrebbe appagare ogni istinto pulsionale, automaticamente e senza limiti, senza che ciò andasse ad impattare con le regole della convivenza, danneggiando la libertà e l’esistenza altrui. È pertanto giusto che tali limitazioni, necessarie alla costruzione della dimensione egoica, vengano impartite sin dalla prima infanzia, per consentire un incontro col principio di realtà quanto più possibile adeguato e consapevole.  È tuttavia necessario raggiungere un equilibrio nella somministrazione delle regole: laddove un eccesso di permissività causerebbe danni alla formazione evolutiva, anche un eccessivo carico di imposizioni e restrizioni comportamentali causerebbe il medesimo effetto, mostrandosi fonte di angoscia superegoica in grado di compromettere egualmente la funzionalità inter ed intra-individuale del futuro adulto.

Un bambino rimproverato è in grado di costruire una dimensione di autostima realistica, sottratta a vissuti di narcisismo in cui l’ipertrofia del Sé provoca l’impossibilità di un’autovalutazione oggettiva, dando vita ad iperinvestimenti e bias valutativi. Un soggetto non frustrato nelle proprie volontà crederà di poter ottenere tutto ciò che vuole in qualsiasi momento, non considerando le esigenze altrui. Potrebbe ignorare i diritti del prossimo, strumentalizzandoli per l’appagamento dei propri bisogni. Questa assenza di contenimento può derivare da uno stile educativo eccessivamente permissivo, basato sull’adesività acritica alle volontà del bambino, o egualmente da uno stile genitoriale disinteressato, in cui il mancato contenimento delle pulsioni non deriva da una volontà di appagamento incondizionato del figlio, ma dalla trascuratezza verso il medesimo, che pertanto è costretto a trovare le capacità necessarie al contenimento del Sé, pur non avendo ancora maturato le risorse necessarie ad un’autoregolazione funzionale. Questo lo condurrà a servirsi di simboli disfunzionali, surrogati di una capacità regolativa autenticamente introiettata, da cui la possibile origine di disturbi psicopatologici o disfunzioni comportamentali (per esempio, disturbi dell’alimentazione, dell’umore o di abuso da sostanze).

Il bambino non rimproverato corre il rischio di perdersi in un vissuto di impotenza, fonte di un impoverimento motivazionale capace di tradursi in una profonda passività reattiva. È infatti noto come una frustrazione, purchè non eccessiva o impossibile da superare, costituisca il pungolo ad un maggiore impegno, consentendo la mobilitazione di risorse cognitive ed emotive necessarie al raggiungimento del risultato.

L’appagamento immediato di ogni sorta di richiesta causa la saturazione della dimensione desiderante, impedendo quell’attività generata dalla speranza di ottenere ciò che ancora non si possiede, e dalla volontà di impegnarsi il più possibile per raggiungerlo. In assenza di una limitazione frustrante, le emozioni sono bloccate e non ci sarebbe spazio per il sogno ad occhi aperti, ovvero un investimento sulla concretezza, che toglie rilevanza allo spazio del potenziale, favorendo un depauperamento del pensiero e del desiderio. Questo deficit di immaginazione non si tradurrà soltanto nell’impossibilità di generare competenze astratte e simbolizzanti, ma si mostrerà fonte di un iperinvestimento sull’aspetto materiale, rendendolo l’unico saliente nella dimensione esistenziale del bambino e del futuro adulto.

Le caratteristiche del rimprovero funzionale

La potenzialità educativa del rimprovero varia in base alla natura delle sue tre componenti fondamentali. Aspetti in grado di direzionare più o meno funzionalmente gli effetti specifici:

  • Qualità del rimprovero;
  • Natura della motivazione da cui è ispirato;
  • Autenticità di colui che lo muove.

La qualità del rimprovero

La regola impartita dai genitori direziona e tiene insieme, iniziando il bambino nel difficile compito volto alla discriminazione e alla regolazione emotiva, importante competenza che lo terrà al riparo da eccessi comportamentali, inibizioni e condotte autosabotanti. Una regola assume le caratteristiche di un appiglio, un sostegno cui aggrapparsi per non naufragare all’interno di un marasma di stimoli e di emozioni che rischiano di esondare, mettendo in pericolo i fragili confini dell’IO.

Per ottenere questo risultato è necessario che il rimprovero sia focalizzato sui seguenti fattori.

  • Aspetti negativi della condotta: è necessario spiegare al bambino il disvalore del suo comportamento, mettendone in evidenza la non opportunità sociale. Ad esempio, se qualcuno ha picchiato un compagno di classe durante una discussione, si dovrà innanzitutto precisare come la violenza sia uno strumento da evitare in qualsiasi contesto relazionale, in quanto indice di un atteggiamento scorretto e irrispettoso nei confronti dell’altro. Il rimprovero dovrà mostrare un’adeguata tenuta emotiva, in grado di trasmettere un messaggio in cui la comprensione preceda la critica e ne stemperi il contenuto senza tuttavia neutralizzarlo: “ti comprendo, sei arrabbiato, ma questo non si fa”. Comprendere non vuol dire giustificare, la legittimazione deve essere comunque seguita dalla correzione. Dunque sarà opportuno dire “ti capisco ma non ti autorizzo a comportarti così ancora una volta”. In un contesto critico e autorevole il bambino si sentirà rimproverato, ma non globalmente attaccato, e avrà modo di rielaborare la proprie azioni in una prospettiva di fruttuosa autocritica (Agosta, 2022).
  • Le possibilità di alternativa: dopo aver messo in evidenza l’errore commesso sarà necessario mostrare una condotta alternativa a quella messa in atto. Questo servirà a direzionare il comportamento, impedendo il reiterarsi dello sbaglio e potenziando la motivazione a non commetterlo più. Non solo: una funzione direzionante eviterà un vuoto disorientante di fronte al quale il bambino, in un’occasione futura analoga, potrebbe reagire con condotte ancora peggiori. Non basta sgridare: bisogna offrire un’alternativa allo sbaglio. Torniamo al bambino che picchia il compagno: dopo aver spiegato la negatività del gesto compiuto, sarà opportuno mostrare in quale modo ci si dovrà comportare in futuro, al fine di costruire uno stile reattivo più assertivo e rispettoso, nel quale identificarsi con volontà e motivazione. Ad esempio si potrà consigliare di rielaborare il conflitto attraverso un confronto consapevole, basato sulla comunicazione verbale e sul role taking (rispetto delle posizioni dell’altro senza rinunciare alle proprie).
  • La possibilità di riparare: dopo il rimprovero, il bambino capirà di aver commesso un’azione scorretta, che l’ha messo in cattiva luce di fronte all’adulto. Egli si sentirà in difetto, ma soprattutto sarà preda di un’immobilizzazione reattiva che lo porterà ad un vissuto di disorientamento e frustrazione. Non saprà come rimediare. Per questo è importante fornirgli, assieme al rimprovero, i mezzi utili ad un possibile rimedio. Una sorta di pentimento operoso con cui riparare le azioni oggetto della critica. In riferimento al bambino che picchia il compagno si potrà indicare il modo in cui rimediare allo sbaglio: avvicinarsi a lui, tendergli la mano, chiedergli scusa. Sono semplici gesti in grado di eliminare un vissuto di frustrazione che il bambino potrebbe fronteggiare con condotte ancor più aggressive o con atteggiamenti auto isolanti, rimuginanti e inoperosi. Il Sé agente risulterà gratificato dalla possibilità di modificare, attraverso il proprio operato, una situazione inizialmente critica: questo consentirà il consolidamento di competenze quali autostima e locus of control, necessarie a maturare una convinzione di gestibilità e autoefficacia su tutti gli eventi della propria vita, anche quelli in apparenza più negativi e immutabili. Il bambino deve comprendere che il raggiungimento di un risultato positivo è possibile malgrado uno sbaglio e che il recupero di certe criticità dipende fondamentalmente dall’impegno del Sé. Al contrario, di fronte alla non rimediabilità dell’errore, egli diverrà vittima di un senso di colpa che renderà l’errore simile ad una condanna.

La regola costituisce il correttore comportamentale cui si collega una funzione di inserimento sociale. Non v’è società, dunque, senza regole. Ma non v’è regola senza perdono e riparazione. La psicodinamica afferma che l’atto distruttivo (inteso come l’errore commesso) deve sempre essere accompagnato da un atto di espiazione (una consona punizione che ne metta in evidenza la negatività) e in seguito da un atto di riparazione, che mostri la possibilità di rimediare allo sbaglio nel presente e nel futuro (Freud, 1965). Colpa, punizione ed espiazione costituiscono una triade imprescindibile che presuppone tuttavia un inviolabile equilibrio: nessuno dei tre aspetti può prevaricare o sovrapporsi all’altro senza creare effetti psichici dissestanti. Se ad esempio esistono solo la colpa e la punizione, o se quest’ultima si sovrappone all’espiazione rendendo l’errore irrecuperabile, non sarà possibile l’accesso al sistema di valori cui il rimprovero è finalizzato. Lo stesso Winnicott (1965) afferma come l’atto riparativo sia necessario allo sviluppo di empatia ed adattamento: il senso di colpa, che agevola l’identificazione con l’altro e favorisce il consolidarsi della dimensione prosociale, può prendere vita soltanto in presenza della possibilità di ricostruire ciò che è stato violato. In caso contrario la capacità di autocritica verrà sostituita da una frustrazione persecutoria gestibile solo attraverso agiti distruttivi, egualmente ispirati da un’aggressività auto o etero rivolta.

La motivazione del rimprovero

Il rimprovero dovrà essere limitato alla condotta agita in quel singolo contesto. Estendere la portata ad una dimensione che va a toccare i confini del Sé con intento mortificante impedirebbe il raggiungimento di qualsiasi finalità costruttiva, privando l’errore di un valore riflessivo, autocritico e di apprendimento. Dire ad un bambino “hai sbagliato” lo aiuta a comprendere il proprio errore e a confrontarsi criticamente con lo stesso; dire “sei sbagliato, non farai mai nulla di buono nella vita” non mobilita nessuna reazione motivante, ma va ad impattare con la dimensione più intima del Sé, spingendo il bambino ad identificarsi con il disprezzo percepito nelle parole rivoltegli dall’adulto (Agosta, 2010; 1999). Epurato di ogni valenza educativa, un simile rimprovero rappresenta in realtà il prodotto di uno stile educativo sadico-narcisistico in cui la critica è volta esclusivamente all’umiliazione e alla mortificazione distruttiva, nel tentativo di abreagire contenuti persecutori endogeni attraverso massicci meccanismi proiettivi.

 Il rimprovero dovrà essere inserito in un contesto adattivo e significante: il bambino deve percepire che l’intervento dell’adulto è motivato dal desiderio di prendersi cura di lui. Questo servirà ad ammortizzare l’effetto critico, favorendone una rielaborazione consapevole. Ma si tratta di un effetto possibile solo se il bambino si sentirà autenticamente apprezzato all’interno della propria dimensione esistenziale (Agosta, 2010). Se al contrario il rimprovero prende vita in un contesto nel quale riconoscimento e validazione sono sostituiti da incuria, narcisismo o disorganizzazione affettiva, sarà più difficile conferire allo stesso una valenza correttiva. Un genitore sadico e aggressivo, anche di fronte ad un errore, non maturerà il sano desiderio di correggere e direzionare il figlio verso condotte più opportune, ma vorrà semplicemente aggredirlo e mortificarne il nucleo soggettivo, per rimpossessarsi dell’autorità perduta e compensare la ferita del Sé genitoriale messa in discussione (Crocetti, 2012). In ogni caso, l’effetto di correzione connesso al rimprovero sarà destinato a naufragare, con inevitabili effetti trans-generazionali.

L’autenticità di colui che rimprovera

È infine necessario che al rimprovero faccia seguito l’adeguamento comportamentale di colui che lo attua. Dunque l’adulto deve rivelarsi coerente con ciò che professa a parole, mostrandosi in grado di realizzare, in prima persona, la condotta richiesta al bambino.

Prima di tutto per una ragione cognitiva: il bambino apprende più da ciò che vede e sperimenta direttamente, che da qualsiasi altra forma di esperienza. “La maggior parte di quanto sappiamo sul modo di comportarci con gli altri ha natura implicita e si origina dall’esempio appreso” (Stern, 2004, p. 95). Le immagini sono dense di significato evocativo, simbolizzante, in grado di aggirare le competenze logiche e verbali per immagazzinarsi direttamente nella memoria implicita ed essere riprodotte. Senza contare che la capacità imitativa costituisce una delle maggiori fonti di apprendimento per i soggetti in età evolutiva. L’adulto rappresenta un modello con cui il bambino si identifica continuamente: dunque, nel caso in cui la sua condotta non si mostri coerente con le dichiarazioni professate, il messaggio connesso al rimprovero diverrà simbolo di un’incoerenza che disorienta, confonde, ostacola la formazione del Sé (Winnicott, 1971).

Immaginiamo il caso di un adulto che, pur rimproverando al proprio figlio l’utilizzo di comportamenti violenti verso i compagni, si serva lui stesso del medesimo strumento di relazione (magari usando violenza verso la madre o verso di lui). O l’esempio di un genitore che, pur criticando nel figlio l’abitudine di trascorrere troppo tempo davanti al computer, non riesca a staccarsi dalla postazione del PC. In che modo il suo rimprovero potrebbe risultare attendibile?

Questo atteggiamento, in psicodinamica definibile come compartimentalizzato (McWilliams, 1994), non inficerà soltanto la trasmissione di un messaggio educativo, ma contribuirà a generare nel bambino un vissuto di sfiducia, spingendolo a vedere nel genitore –e più generalmente nell’adulto– un esempio di incoerenza e inaffidabilità (Lutz, 2019). Qualcuno che può tradire e fuorviare, perché non in grado di dar seguito a ciò che dichiara verbalmente. Senza contare l’effetto confusivo di un comportamento in cui azione e parola non si muovono in una direzione allineata. Il bambino stesso non saprà a cosa prestare ascolto: se al comportamento propinato verbalmente o a quello concretamente attuato. Posto che il genitore rappresenta per il bambino un modello da imitare, molto probabilmente finirà con l’assecondarne l’atteggiamento incoerente, costruito sulla base di discrasie cognitive che consentono la pacifica convivenza tra messaggi contrapposti e inconciliabili (McWilliams, 1994). Di fronte ad un modello fittizio, il bambino introietterà così un oggetto altrettanto inautentico, e ne imiterà la frammentarietà cognitiva, dando vita a comportamenti egualmente inattendibili.

È dunque l’adulto, con il suo comportamento, a conferire validità e credibilità al rimprovero. E ci riesce quando è capace di accogliere il proprio Sé con coerenza e lealtà.

Ma quando un adulto è davvero coerente con se stesso?

La risposta è più semplice di quanto si creda: quando non si nasconde al di là di sovrastrutture posticce e mistificate, quando non pretende dal bambino comportamenti che, pur millantando una perfezione irrealistica, lui stesso non riesce a mettere in pratica. Quando normalizza e ammette l’errore, riconoscendo egli stesso la propria caducità, e cerca di inserirla in un contesto scevro di catastrofismi o colpevolizzazioni. Dicendo al figlio, ad esempio, che tutti possono sbagliare e che in questo non c’è nulla di male.

Educare al consolidamento di uno spirito critico implica lasciare ai ragazzi la possibilità di mettere in discussione il valore dei genitori e di comprendere che anche gli adulti non sono esenti dall’errore. È per questo necessario che il genitore accolga la critica del figlio senza lasciarsene distruggere: magari può riuscirci ironizzando con sano umorismo i propri sbagli, cercando di trasmettere un messaggio educativo in cui il fallimento non costituisce una realtà perpetrante, ma un accadimento incidentale da cui trarre una preziosa opportunità di apprendimento.

L’adulto coerente conosce e accoglie se stesso per come è davvero –senza ritocchi, mortificazioni né fantasie– e riconosce le proprie debolezze con autenticità assertiva. Ricordando che, in tante occasioni, è proprio da uno sbaglio ben rimediato che si tracciano le basi di un valido percorso educativo.

In conclusione, il rimprovero porta in sé un insostituibile valore formativo. Ma non c’è rimprovero senza errore. È per questo necessario offrire al bambino la possibilità di sbagliare. Non farlo sarebbe un errore irrimediabile.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Agosta R. (1999) “Le istituzioni educative: un ambiente per crescere o solo per adattarsi ed apprendere?”, in “Infanzia”, III, La nuova Italia, Bologna;
  • Agosta, R. (2010),  “L’epoca delle “passioni tristi” tra ricerca di risultati e ricerca di senso”, in G. Crocetti, C. Vianello, G. Pallaoro (a cura di) “Il benessere bambino”, Borla, Roma;
  • Agosta, R. (2022) Modelli genitoriali patogeni, seminario scuola di specializzazione C.PS.PS.I.A., Bologna, novembre 2022, inedito;
  • Crocetti,  G. (2012) I bambini vogliono la coppia, Per una genitorialità responsabile, Elledici, Roma;
  • Denham, S. (2001) Lo sviluppo emotivo del bambino Astrolabio Roma;
  • Freiberg, S, (1999) Il sostegno allo sviluppo, raffaello Cortina, Milano;
  • Freud, S. (1929) Il disagio della civiltà, Bollati Boringhieri, Torino;
  • Freud, A. (1965), Normalità e patologia nel bambino, Feltrinelli, Milano, 2019;
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  • McWilliams. N. (1994) La diagnosi psicoanalitica, Astrolabio, Roma;
  • Stern, D. (2004) Il momento presente, Raffaello Cortina, Milano;
  • Winnicott, D.W. ( 1965) Sviluppo affettivo e ambiente, Armando, Roma;
  • Winnicott, D.W. ( 1971) Gioco e realtà, Armando, Roma.
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