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La relazione terapeutica. Storia, teoria e problemi (2022) di Antonio Semerari – Recensione

Il libro espone l'evoluzione del concetto di relazione terapeutica nelle varie incarnazioni temporali e le domande cliniche a cui questa nozione ha risposto

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 27 Feb. 2023

Come testo storico e teorico, il libro espone con completezza l’intera evoluzione del concetto di relazione terapeutica nelle sue varie incarnazioni temporali e tutte le domande cliniche a cui questa nozione ha risposto.

 

Il libro “La relazione terapeutica. Storia, teoria e problemi” di Antonio Semerari e pubblicato da Laterza nel 2022 è al tempo stesso una esauriente disanima di questo concetto chiave del processo terapeutico e una discussione critica effettuata dal peculiare punto di vista dell’autore, che è uno dei maggiori esponenti di quel cognitivismo clinico italiano che ha sviluppato con forza gli aspetti costruttivisti, evolutivi e evoluzionisti presenti nella psicoterapia cognitivo-comportamentale.

Come testo storico e teorico, il libro espone con completezza l’intera evoluzione del concetto nelle sue varie incarnazioni temporali e tutte le domande cliniche a cui questa nozione ha risposto. La relazione, ci insegna Semerari, è uno strumento utile per esplorare cosa accade nella relazione tra paziente e psicoterapeuta in termini concreti e non teorici; stimola a trovare quali siano i concetti operativi che possano descrivere adeguatamente gli eventi interpersonali che si sviluppano nella stanza della psicoterapia; costringe a valutare in che misura e attraverso quali processi la relazione contribuisce alla cura e alla guarigione; incoraggia a indagare cosa deve fare il terapeuta per far sì che la relazione contribuisca alla cura e non diventi un ostacolo al trattamento o un fattore dannoso per il paziente; e così via. Dal punto di vista storico, il libro espone le diverse risposte che sono state date a queste domande dai mesmeristi a Janet nei casi più antichi, da Freud, Ferenczi e Sullivan fino a Mitchell nella psicoanalisi, da Beck al costruttivismo fino al processualismo nell’ambito cognitivo-comportamentale, senza dimenticare il contributo della psicoterapia umanistica tra i quali si possono individuare gli indagatori più specializzati sulla relazione terapeutica, in particolare Carl Rogers.

Il punto di vista specifico di Semerari lo troviamo nella sua personale riflessione su quel tipo particolare di relazione terapeutica considerata “difficile” con le persone che rientrano nel grande calderone dei disturbi di personalità border e antisociali. Si tratta di un tema specifico del cognitivismo italiano di ispirazione costruttivista, evolutiva ed evoluzionista e che risale al lavoro di Guidano e Liotti e che Semerari ha proseguito. La riflessione di Semerari è importante perché esemplifica con chiarezza perché i maggiori esponenti di questa linea di sviluppo clinico e scientifico, ovvero Gianni Liotti e Bruno Bara e anche, sia pure in misura minore, lo stesso Semerari, pur definendosi ancora cognitivisti, hanno finito -con modalità diverse- per far assumere alla relazione terapeutica il ruolo di concetto esplicativo centrale nel modello teorico e di strumento clinico risolutivo nella pratica terapeutica. Ad esempio, nel modello di Antonio Semerari i comportamenti di fronteggiamento semi-adattivi diventano manifestazioni sintomatologiche per un deficit di lettura della mente dell’altro che avviene in relazioni interpersonali disfunzionali. In maniera ancora più accentuata che in Semerari, in Liotti è la relazione traumatica che genera, in maniera ancora più diretta, la disregolazione emotiva che è alla base della psicopatologia. E così via. Di qui il valore curante di una relazione terapeutica ben gestita che riattiva la funzionalità.

Questo aspetto critico aggiunge ulteriore valore alla parte per così dire generalista del libro, libro che così riesce ad essere sia istruttivo per chi voglia semplicemente imparare cosa sia e come si è evoluta la nozione di relazione terapeutica sia ad offrire una definitiva esposizione del peculiare punto di vista sviluppato su questo tema dalla corrente di pensiero clinico a cui appartiene l’autore.

Un ulteriore merito di Semerari è quello di aver definito due modalità principali di concepire e usare la relazione in psicoterapia, modalità che, come ammette lo stesso Semerari, purtroppo non riescono a interagire e anzi sostanzialmente si ignorano. Da una parte c’è un modello medico-scientifico che, per vari motivi, ha finito per sovrapporsi alla pratica clinica della psicoterapia cognitivo comportamentale cosiddetta standard, quella che fa capo a Aaron Beck e David Clark. Questo modello considera la relazione una good practice che fa da cornice al processo terapeutico ma non ne fa parte, una serie di abilità professionali che il terapeuta deve saper padroneggiare per coinvolgere e motivare il paziente ma che non costituiscono il trattamento vero e proprio. Dall’altra parte vi è un modello relazionale-contestuale che invece considera la relazione come un processo chiave della terapia, anzi come il processo risolutivo e decisivo del trattamento.

La posizione di Semerari tra le due parti è quella di una sostanziale equidistanza, tuttavia temperata da vari sbilanciamenti ma verso entrambe le parti: dapprima una approvazione espressa con la ragione, ma anche con un certo calore, per il modello medico-scientifico, approvazione però bilanciata da una finale propensione del cuore per il modello contestuale-relazionale; propensione trattenuta eppure percepibile non solo nel dettaglio che la terminologia del modello medico-scientifico contrapposto a quello relazionale-contestuale non è neutra ma appartiene al campo relazionale-contestuale ed è stata resa popolare da Bruce Wampold, ma soprattutto per altri ben più sostanziosi motivi.

Il primo consiste nel fenomeno, ancora parziale e controverso ma a mio avviso sempre più significativo e crescente nella sua gradualità, dell’adesione di parte del cognitivismo clinico, in particolare quello cosiddetto costruttivista ed evoluzionista, alla posizione contestuale-relazionale, tra i quali soprattutto i modelli di Liotti e Bara. Con questi modelli Semerari condivide alcune affinità (con Bara) e ne ha ricevuto alcune influenze (da Liotti). Nonostante questo, il modello di Semerari non ha propriamente slittato nel campo contestuale-relazionale e tuttavia inevitabilmente subisce -a mio parere- l’influenza di questo crescente spostamento di alcuni modelli cognitivisti nel campo relazionale-contestuale.

Il secondo e principale motivo che inavvertitamente sospinge Semerari nel campo relazionale-contestuale è la parziale carenza -non particolarmente sua, beninteso, ma generale ed estesa in vari ambienti perfino tra i più fedeli a Beck in paesi anglofoni- di esperienza concreta con quella pratica cognitivo-comportamentale standard che così tanto si sovrappone col modello medico-scientifico e che consiste in una particolare disciplina, non solo interiore ma anche e giustamente esteriore, nella conduzione della tecnica terapeutica standard. Per prevenire eventuali comprensibili obiezioni sottolineo che questa carenza è un fatto storico che non dipende affatto da una negligenza ma da una deriva avvenuta un po’ dappertutto, perfino -lo ribadisco- in quell’area anglofona dove è nata la psicoterapia cognitivo-comportamentale standard. Questa carenza è talvolta tradita da alcune nozioni diffuse nell’ambiente clinico, cognitivo e non solo, come ad esempio la convinzione che molti pazienti non collaborano (ad esempio non fanno i compiti a casa, gli homework) e a essa si è iniziato a rimediare curando sempre più la correttezza delle procedure cliniche in maniera concreta, ovvero moltiplicando le pratiche di controllo reciproco come le supervisioni, le valutazioni di aderenza, le riunioni cliniche di revisione del lavoro e varie pratiche di consapevolezza e di incremento della disciplina, interiore ed esteriore. A questo proposito il lavoro di Bennet-Levy è cruciale. Insomma, ci si è resi conto che l’adesione alle linee guida o protocolli non dipende solo dalla lettura di un manuale ma da ben più rigorose pratiche di controllo professionale reciproco.

A questa deriva delle tecniche e delle buone pratiche, ben documentata da uno storico articolo di Glenn Waller, il cognitivismo clinico evoluzionista e relazionale ha reagito con strumenti diversi, in un certa misura teorica analoghi a quelli del cognitivismo standard ma per altri versi differenti negli esiti: gli strumenti appunto della relazione terapeutica che inizialmente, e come spesso accade nell’ambiente costruttivista ed evoluzionista clinico, è stata declinata in termini puramente teorici con alcuni eccessi, come la passione impetuosa per Darwin che ha sostituito quella precedente per Popper e che, come quella per Popper, rischia di rivelarsi almeno a volte intellettualmente affascinante ma clinicamente meno feconda. Più recentemente, soprattutto con l’adesione del cognitivismo clinico evoluzionista e relazionale alle procedure del metodo di gestione delle rotture e riparazioni di Safran e Muran, questa adesione alla centralità della relazione terapeutica ha iniziato ad assumere un carattere più rigoroso, più concreto, più disciplinato non solo interiormente (che è bene ma non basta) ma anche esteriormente: per effettuare correttamente un intervento di gestione delle rotture e riparazioni occorre formarsi e farsi valutare, insomma disciplinarsi anche esteriormente.

 Proseguendo per questa strada il cognitivismo clinico evoluzionista e relazionale potrebbe arrivare a incontrarsi con il modello medico-scientifico anglofono, che sta affrontando un analogo sforzo di rigore disciplinare interiore ed esteriore. A questo incrocio spero ci incontreremo tutti, compreso Semerari che, anzi, probabilmente è già li che ci aspetta da tempo, dato che, malgrado la sua volontà di schierarsi finisce spesso, sbilanciandosi ma continuando a bilanciare ogni suo sbilanciamento, per rimanere equidistante tra modello contestuale-relazionale e modello medico-scientifico. Non si tratta affatto di cerchiobottismo come lo stesso Semerari teme. In fondo questo è ancora una volta il merito che rende questo libro così prezioso.

A questa mia lettura Semerari risponde che essa manca di aver colto un aspetto a cui lo stesso Semerari tiene molto. Nelle sue stesse parole:

Entrambi (ndr.: i due modelli, ovvero il relazionale/contestuale e il modello medico) assumono che una psicoterapia sia sostanzialmente definita dalle sue tecniche. Sarebbe come se in medicina ci si dividesse tra sostenitori degli antibiotici e sostenitori degli antinfiammatori. Quello su cui dovremmo dividerci e discutere sono i modelli dei vari disturbi. Se si è capito un disturbo le tecniche razionali ed efficaci con cui curarlo possono essere molteplici (così avviene in medicina, dove per molte malattie esistono diverse classi di farmaci, ad esempio l’ipertensione). Gli attuali sostenitori del modello medico sostengono che esistono tecniche buone in senso universale e perdono la grande lezione del primo cognitivismo di fare non generici manuali di terapia cognitivi ma manuali su depressione, ansia ecc. In questo senso si torna alla tradizione comportamentista che attribuiva alle tecniche comportamentali lo stesso valore universale che Mesmer attribuiva al magnetismo. Da parte sua il modello relazionale ha uno strabismo simile assumendo che la relazione sia un fattore “aspecifico”. Aspecifico per niente! Il tipo di psicopatologia influenza tremendamente l’assetto della relazione e questo richiede un approccio tecnicamente orientato alla relazione stessa. Sostanzialmente e per riassumere sono le idee intorno a ciò che è specifico o aspecifico che trovo sbagliate nei diversi approcci. Le tecniche sono o dovrebbero essere zappe, picconi, farmaci, martelli, cioè strumenti neutri che uso sulla base di come concettualizzo il disturbo, non il punto identitario di una psicoterapia. La relazione non ha niente di aspecifico ma dipende largamente dalla natura di questi disturbi (Semerari, comunicazione personale del 25 gen 2023, 10:07).

Insomma, riassumendo mi pare che Semerari sottolinei la necessità di concepire l’applicazione sia delle tecniche che della relazione in termini specifici per i singoli disturbi e non nelle modalità aspecifiche che ora, a suo parere, prevalgono, per cui esisterebbero delle tecniche sempre valide e un tipo di relazione universalmente efficace, come ad esempio (ma questo è solo un mio esempio) la relazione cooperativa descritta da Liotti.

A questa osservazione rispondo che questa obiezione ha la sua efficacia, che per ora mi era sfuggita questa proposta originale di Semerari che effettivamente lo porrebbe in parte al di fuori della dicotomia tra modello relazionale/contestuale e modello medico e che di conseguenza approfondirò -avendolo a quanto pare trascurato finora- il modo in cui Semerari nel suo modello propone modalità specifiche di applicazione delle tecniche e della relazione per i singoli disturbi. La mia risposta è, per ora, che al di fuori del modello di Semerari questa specificità vada cercata nella formulazione del caso e più precisamente su quell’aspetto della formulazione che fornisce al trattamento il suo razionale. Un razionale del trattamento basato su una formulazione specifica sul paziente (quindi ancora più specifica di un modello di un disturbo) rende la proposta terapeutica, tecnica e relazionale, davvero specifica e non rigidamente universalistica. Ad esempio, si potrebbe raccomandare che in alcuni casi le tecniche debbano essere applicate in termini redazionalmente direttivi. Mi vengono in mente certi casi di disturbo ossessivo compulsivo in cui non è il caso di essere sempre cooperativi, come forse -semplificando, me ne rendo conto- pensa Liotti; d’altro canto, qualificare la relazione col paziente affetto da disturbo ossessivo compulsivo come inevitabilmente direttiva nelle sue prime fasi non significa negare che comunque ci sia una relazione. Perché quando si parla di relazione si finisce sempre per concepirla come accogliente o cooperativa, dimenticando i casi in cui si deve essere confrontativi (come nel disputing cognitivo in stile Albert Ellis o in certi interventi psicodinamici sul transfert) o direttivi e didattici? In tal modo si finisce per contrapporre semplicisticamente una relazione sempre cooperativa a un intervento sempre didattico o confrontativo. Oppure, si potrebbe raccomandare che la relazione accogliente vada riempita di tecniche specifiche come la riattivazione comportamentale in un depresso ma non in un disturbo di personalità evitante ma larvatamente oppositivo. Partendo da queste considerazioni si potrebbe tornare all’argomentazione iniziale di Semerari e rilanciargli l’obiezione facendogli notare che, una volta compresa la specificità del caso clinico, va compresa, studiata e appresa anche la specificità delle tecniche e degli stili relazionali. Così come un antinfiammatorio e un antibiotico non sono sovrapponibili e non sono quindi aspecifici, ma hanno al contrario uno specifico meccanismo d’azione che li rende adatti a certi disturbi e non ad altri, così tecniche e stili relazionali vanno accordati a formulazioni specifiche dei casi e dei disturbi non neutralmente ma partendo dalla loro specificità d’azione. Non possono essere ridotti a strumenti neutri. Il rischio che Semerari corre è che -a mio parere- partendo dalla giusta raccomandazione che i farmaci, le tecniche e gli stili relazionali vanno adattati al caso e al disturbo ci si dimentichi che anch’essi, farmaci, tecniche e stili relazionali, hanno la loro specificità d’azione che va studiata e capita e non sottovalutata.

Tuttavia, non dispero che alla fine del percorso ci si possa incontrare. Il nostro gruppo sta lavorando da tempo a un modello di formulazione del caso e quindi si può dire che in questo sentiero lavoriamo in parallelo con Semerari. Vedremo se alla fine del percorso ci incontreremo tutti al Roxy bar oppure non ci incontreremo mai, ognuno a ricorrere i suoi guai.

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Semerari, A. (2022). La relazione terapeutica. Storia, teoria e problemi. Laterza.
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