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Iniziativa Vivere Meglio di ENPAP, tra potenzialità e limiti – Intervista al Prof. Paolo Moderato

Abbiamo chiesto il parere ad alcuni dei più noti clinici italiani sull'iniziativa ENPAP "Vivere Meglio" - La parola al Prof. Paolo Moderato

Di Redazione

Pubblicato il 11 Gen. 2023

La redazione di State of Mind ha realizzato una serie di interviste ad alcuni dei più noti esponenti del panorama psicoterapeutico italiano per comprendere il loro punto di vista sulle potenzialità, ma anche sui limiti, dell’iniziativa Vivere Meglio. In questo numero pubblichiamo l’intervista al Prof. Paolo Moderato.

 

L’iniziativa Vivere Meglio

 Vivere Meglio è una recente iniziativa proposta dall’Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Psicologi (ENPAP). È un bando che offre 1000 borse lavoro di 5000 euro che finanziano la partecipazione ad un progetto per interventi psicologici per disturbi mentali di ansia e depressione. Interventi basati su protocolli di intervento strutturati e di efficacia confermata da evidenze scientifiche.

Si tratta dunque di una iniziativa finalizzata a favorire l’accesso gratuito dei Cittadini alle terapie psicologiche per ansia e depressione utilizzando, in maniera nuova per l’Italia, un protocollo diagnostico e terapeutico fondato sugli esiti della Consensus Conference avviata dall’Università di Padova e patrocinata dall’Istituto Superiore di Sanità. Grazie a questo progetto i cittadini potranno accedere ad un percorso strutturato di diagnosi e trattamento a seguito di uno screening iniziale. Infine, il complesso degli interventi sarà oggetto di una raccolta dati che le Università utilizzeranno per verificare gli esiti individuali e gli impatti collettivi generati dall’applicazione delle prassi indicate dalla Consensus Conference.

Anche per gli operatori sanitari sembrano esserci vantaggi. Psicologhe e psicologi beneficiari della borsa lavoro riceveranno un contributo di 5.000 euro, parteciperanno ad una formazione sull’applicazione del protocollo e a incontri di supervisione.

La redazione di State of Mind ha realizzato una serie di interviste ad alcuni dei più noti esponenti del panorama psicoterapeutico italiano per comprendere il loro punto di vista sulle potenzialità, ma anche sui limiti, dell’iniziativa Vivere Meglio.

Vivere Meglio: l’intervista al Prof. Paolo Moderato

State of Mind (SoM): Paolo Moderato, 72 anni di cui 46 spesi nell’università, è stato presidente di corso di laurea, direttore di dipartimento, direttore di scuola di dottorato, past president dell’associazione Europea di Terapia Comportamentale Cognitiva (EABCT), ora presidente di CBT Italia e professore emerito. Una storia che ci può aiutare ad affrontare il problema della formazione in psicoterapia. Lei è uno dei firmatari proponenti del manifesto per la psicoterapia. Perché questo manifesto?

Paolo Moderato (PM): Per rispondere devo fare un breve riassunto della storia recente della formazione in psicologia, che ho vissuto direttamente. Come alcuni ricorderanno, i primi due corsi di laurea in psicologia sono stati istituiti nel 1971 nelle facoltà di Magistero di Padova e di Roma. Per 15 anni, fino al 1986, queste sono state le due uniche sedi in cui si studiava per divenire psicologi, e questo ha creato degli effetti distorsivi: ad esempio si è arrivati a 1800 matricole all’anno, 12.000 iscritti per ogni sede, con le difficoltà che questi numeri comportano nel proteggere la qualità della formazione.

Nel 1978 è stata approvata la legge di riforma del servizio sanitario nazionale che ha consentito finalmente negli anni ottanta e novanta che questo alto numero di psicologi potesse essere inserito nel mondo del lavoro.

Nel 1986 il piano di studi del corso di laurea in psicologia è stato riformato, passando da 4 a 5 anni, articolati, come le facoltà di medicina e ingegneria, in un biennio formativo di base e in quattro trienni di indirizzo. Contemporaneamente il monopolio formativo Padova-Roma va a cadere con l’apertura di nuove sedi di laurea, la prima a Palermo, e a seguire, negli anni Novanta, Bologna, Milano, Trieste, Torino e via di seguito.

Nel frattempo in Parlamento veniva approvata la legge 56/89 sull’ordinamento della professione di psicologo, che istituiva l’ordine e l’albo degli psicologi. L’articolo 3 definiva la specificità della formazione quadriennale in psicoterapia, presso scuole di specializzazione universitaria o “istituti a tal fine riconosciuti”. Il riconoscimento avviene con la legge 127/97 (art 17 comma 96) e con il conseguente regolamento applicativo contenuto nel Decreto 509 del 1998.

Dopo il conseguimento del diploma gli allievi sono legittimati all’esercizio della psicoterapia.

Nel 1999 ha luogo la  riforma universitaria che modifica gli ordinamenti precedenti operando la distinzione tra laurea di primo e di secondo livello: questi due livelli di laurea venivano chiamati prima specialistica e poi magistrale. In base al decreto 270 del 2004 questa riforma viene applicata anche alla psicologia. Lo scopo di questa legge è evidente: quello di inserire più precocemente i giovani nel mercato del lavoro: purtroppo questo obiettivo non si è raggiunto e manca ancora un profilo professionale ben chiaro per i laureati di primo livello in psicologia.

Ultimo passaggio: 5 anni fa, nel dicembre del 2017, la psicologia è riconosciuta come professione sanitaria, inserita a pieno titolo nella tutela della salute dei cittadini, riconosciuta dalla nostra Costituzione. Il diploma di specializzazione non è solo il lasciapassare per l’esercizio della psicoterapia nel proprio studio privato, ma diviene anche il titolo che consente l’accesso ai concorsi di dirigente psicologo nel servizio sanitario nazionale, come già accadeva per i medici.

Il lettore che ha avuto la pazienza di seguirmi fino a questo punto ora ha il diritto di sapere perché questa dettagliata introduzione.

SoM: Infatti, me lo stavo chiedendo anch’io.

PM: Ci sono due aspetti che mi preme sottolineare: in primo luogo la suddivisione in laurea triennale e laurea magistrale si è rivelata per la psicologia molto improduttiva, come è testimoniato dalla percentuale irrisoria di psicologi che si fermano al terzo anno e che sono iscritti alla sezione B dell’albo, qualche centinaio sugli oltre 100.000 psicologi. In realtà si è avuto un progressivo indebolimento della formazione psicologica, se prendiamo come punto di partenza e di riferimento il piano studi quinquennale del 1986, in cui i primi due anni erano destinati a una solida formazione di base e i tre anni successivi alla formazione specifica, mentre nella laurea triennale professionalizzante attuale bisogna fornire sia un po’ di formazione di base sia un po’ di formazione pratica, e questo ha creato problemi, di fatto contraendo entrambe le aree.

Data la formazione meno approfondita nasce l’esigenza sentita da moltissimi colleghi di ulteriore formazione, dopo la laurea, da ottenere con corsi di master e corsi di specializzazione. Il problema della formazione post lauream non riguarda solo la specializzazione in psicoterapia, ma anche i vari corsi di master in campo educativo e riabilitativo: ad esempio i corsi per DSA (disturbi specifici dell’apprendimento), necessari per chi si occupa di trattamento psicologico dei ragazzi con problemi di dislessia o BES (bisogni educativi speciali), o i corsi di master in ABA (applied behaviour analysis, analisi applicata del comportamento) per coloro che si vogliono occupare di disturbi del neurosviluppo, e così via.

La seconda considerazione è che la distinzione fra interventi psicologici e psicoterapia, e la necessità di una specifica formazione post lauream, non è un’invenzione degli ultimi tempi, nasce insieme alla legge istitutiva dell’albo professionale, anche se trova piena applicazione solo alcuni anni più tardi. Allo stesso modo viene definito fin dall’inizio il doppio canale formativo per la psicoterapia, quello universitario e quello degli istituti privati. Anche questo punto ha delle spiegazioni possibili, ad esempio la scarsa tradizione di ricerca in psicoterapia in molte Università italiane, dovuto a scarsi mezzi, a ritardo nel riconoscimento della importanza della ricerca e a volte anche al dominio di modelli di terapia lontani dal mondo della ricerca. Di fatto la risposta alla domanda di formazione negli anni è stata coperta in gran parte dal privato accreditato dal MIUR. Ricordo altresì che la formazione privata accanto a quella pubblica non è peculiare della psicoterapia, dato che è presente in tutto l’arco formativo, potremmo dire dall’asilo nido fino all’università. Basta pensare alla scuola dell’infanzia delle suore o al modello Reggio Children, alle scuole Montessoriane o Steineriane, al liceo dei Salesiani o dei Gesuiti, alle università (pubbliche) non statali come Cattolica, Bocconi, San Raffaele, Kore e last but not least la Sigmund Freud University di Milano. Tutti questi enti formativi rilasciano titoli legalmente riconosciuti dallo stato italiano, esattamente come le scuole di specializzazione riconosciute, i cui programmi di insegnamento, tecnicamente gli ordinamenti didattici, sono autorizzati e verificati dal ministero dell’università, come accade per i corsi universitari. La necessità di avere più istituti formativi, che fanno riferimento a modelli clinici diversi, nasce dal fatto che la psicologia è ancora una scienza non unificata al cui interno coesistono prospettive cliniche e scientifiche diverse.

 Ci tengo a sottolineare questo punto perché uno degli argomenti usati pretestuosamente da qualche critico del manifesto per la psicoterapia è che questo manifesto persegue e difende interessi privatistici. Gli istituti riconosciuti rilasciano un titolo di studio che, lo ribadisco, non consente solo l’esercizio libero professionale della psicoterapia, ma è un titolo di accesso ai concorsi per dirigente psicologo nel servizio sanitario nazionale. Questo significa che nel servizio sanitario nazionale per prendere in carico il caso clinico di un paziente, è necessario che lo psicologo abbia conseguito una specializzazione quadriennale post laurea in psicoterapia. A onor del vero bisogna anche riconoscere che non tutti gli istituti di formazione psicoterapeutica, anche approfittando, e talvolta abusando, degli aspetti di debolezza di questa “diversità”, sono stati all’altezza del compito. Però ci sono due aspetti che mi fanno ben sperare per il futuro: in primo luogo, il lavoro della commissione tecnico scientifica presieduta dal collega Cesare Maffei, che sta procedendo a un riordino sistematico del settore. In secondo luogo, la crescente consapevolezza degli studenti, che con le loro scelte agiscono come meccanismo selettivo di qualità, premiando con la loro presenza le scuole di alta qualità clinica e scientifica e contribuendo all’estinzione progressiva di quelle scadenti.

SoM: Partendo da queste considerazioni arriviamo al punto nodale, che riguarda il bando dell’Ente Nazionale di Previdenza di  Assistenza per gli Psicologi (ENPAP): “Vivere Meglio – Promuovere l’accesso alle terapie psicologiche per ansia e depressione”? Qual è la sua analisi?

PM: Proviamo a fare una SWOT Analysis, un’analisi dei punti di forza (Strength), delle debolezze (Weaknesses), delle opportunità (Opportunities) e dei pericoli (Threats). Partiamo dai punti di forza. Il modello adotta una metodologia di trattamento per passi (stepped care); gli interventi sono commisurati alla necessità di trattamento. È basata sul principio di good enough, che non significa abbastanza buono ma buono quanto basta: gli interventi a bassa o ad alta intensità vengono applicati in funzione della necessità non in modo schematico. È basato su un modello empiricamente supportato di terapia (EST), erogazione di trattamenti basati su prove di efficacia. Fa riferimento ad un modello messo a punto e sperimentato da anni in Inghilterra.

SoM: Passiamo ai punti di debolezza.

PM: Il modello vivere meglio è preso dal progetto inglese IAPT (Improving Access to Psychology Therapies, accesso migliorato alle terapie psicologiche) che si basa su un modello formativo e clinico diverso da quello italiano. L’intervento psicoterapeutico in Inghilterra può essere erogato da professionisti diversi dallo psicologo (infermieri, assistenti sociali ecc.), formati ad hoc, che operano su prescrizione e sotto la supervisione di uno psicologo con una formazione clinica post lauream (specializzazione o dottorato). Lo stesso accade negli Stati Uniti, ricordiamo che Marsha Linehan era un’assistente sociale. Si tratta quindi di uno psicoterapista, che fornisce un aiuto di tipo sostanzialmente tecnico, l’equivalente psichico di uno fisioterapista. In Italia non è così come abbiamo visto, anche per la lunga storia storicista e umanistica tipica del nostro paese. Ciò richiede dei modelli di trasformazione che complicano il quadro e che il progetto “vivere meglio” a volte sembra non tenere in adeguata considerazione. Io penso però che il punto più critico sia la definizione di alta/bassa intensità e il rapporto con la tipologia di intervento. Se la bassa intensità definisce la necessità di un intervento non psicoterapeutico ma di sostegno clinico, allora nulla questio. Se invece la bassa intensità definisce la necessità di un intervento psicoterapeutico allora questo può essere erogato solo da uno specialista, a garanzia della salute del paziente. Il punto è l’ontologia della psicoterapia, ciò che la definisce come tale, non il dosaggio. Negli ultimi anni sono stati messi a punto, prevalentemente in ambito CBT, modelli di psicoterapia breve e brevissima che proprio in quanto tali richiedono una preparazione altamente specialistica del professionista che li mette in atto. Per fare un’analogia con la medicina, l’ontologia dell’antibiotico non varia se viene prescritto e somministrato come copertura per un semplice intervento odontoiatrico o come terapia per combattere una grave infezione batterica.

SoM: Ma ci sono anche delle opportunità in questo progetto?

PM: Penso che un progetto di interventi brevi, con prove di evidenza, erogati da persone con adeguata formazione che siano in grado di fare un’appropriata concettualizzazione del caso e di gestire correttamente l’alleanza/relazione terapeutica rappresenti certamente un’opportunità da sviluppare e sostenere buona idea che deve però essere migliorata e fare i conti in modo più articolato con la realtà italiana.

SoM: E i pericoli? Quali sono?

PM: I disturbi psicologici sono materia sensibile, vanno trattati con la competenza e la cura che si raggiunge solo con una preparazione approfondita. La preparazione prevista dal piano di trattamento non sembra rispondere adeguatamente a questi criteri, e questo può produrre mal practice e comportare un rischio per la salute del paziente. Nella formazione psicoterapeutica molte ore sono dedicate alla supervisione, da parte di un terapeuta esperto, ma nel piano questa parte è molto carente. Chi è coinvolto negli istituti di formazione sa che fonte di sicurezza la supervisione rappresenti per il giovane professionista che si deve comunque assumere dei rischi.

SoM: Secondo lei è fondato il timore che si venga a creare una zona grigia tra psicoterapia e interventi non psicoterapeutici nella quale vengono effettuate da parte di psicologi non psicoterapeuti delle psicoterapie, sia pure definite a bassa intensità?

PM: Temo di sì. Tutti noi ricordiamo quando, da giovani, amici o conoscenti scoprivano la nostra formazione, l’incubo della domanda: “allora mi puoi spiegare la differenza tra psicologo, neurologo, psichiatra, psicoanalista, psicoterapeuta e così via?”

SoM: Qualche considerazione finale?

PM: Vorrei invitare tutti a moderare i toni, e a non cercare di scatenare una guerra interna al mondo psicologico che non gioverebbe a nessuno, certamente non ai nostri pazienti, che devono essere il nostro punto di riferimento, in scienza e coscienza. Più della metà degli psicologi iscritti all’Albo sono anche psicoterapeuti, e la richiesta di psicoterapia breve ed efficace è in costante crescita, in modo particolare dopo la pandemia, spesso da parte delle persone che sono state più colpite, come gli adolescenti e le persone più fragili. La risposta a questa crescente domanda di aiuto non può essere una diminuzione della qualità e del controllo della offerta clinica, anzi. Ricordare le differenze tra interventi psicologici e psicoterapia, differenze definite ab initio nella legge istitutiva, non significa togliere la clinica agli psicologi, anche se andrebbe magari definito che cosa si intende per formazione clinica, visto che ci sono oltre 50 etichette che definiscono la laurea magistrale in Psicologia (LM 51). Ma questo aspetto ce lo riserviamo per una prossima intervista.

 

Leggi le altre interviste relative al bando Vivere Meglio:

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