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Disturbi Specifici dell’Apprendimento – DSA

Con l’acronimo DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) si intende una categoria diagnostica, relativa ai Disturbi Evolutivi Specifici di Apprendimento che appartengono ai disturbi del neurosviluppo, che riguarda i disturbi delle abilità scolastiche, ossia Dislessia, Disortografia, Disgrafia e Discalculia.

Aggiornato il 30 ago. 2023

DSA – Cosa sono i Disturbi Specifici dell’Apprendimento

Con l’acronimo DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) si intende la categoria diagnostica relativa ai Disturbi Evolutivi Specifici di Apprendimento che appartengono ai disturbi del neurosviluppo (DSM 5, 2014), che riguarda i disturbi delle abilità scolastiche, ossia Dislessia, Disortografia, Disgrafia e Discalculia (CC-2007).

Sulla base del deficit funzionale vengono comunemente distinte le seguenti condizioni cliniche:

  • Dislessia, cioè disturbo nella lettura (intesa come abilità di decodifica del testo)
  • Disortografia, cioè disturbo nella scrittura (intesa come abilità di codifica fonografica e competenza ortografica)
  • Disgrafia, cioè disturbo nella grafia (intesa come abilità grafo-motoria)
  • Discalculia, cioè disturbo nelle abilità di numero e di calcolo (intese come capacità di comprendere e operare con i numeri)

Nella Consensus Conference del 2007 sono menzionati i criteri utili per la definizione dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento, ossia il carattere “evolutivo” di questi disturbi, la diversa espressività del disturbo nelle diverse fasi evolutive dell’abilità in questione, la quasi costante associazione ad altri disturbi (comorbidità), il carattere neurobiologico delle anomalie processuali che caratterizzano i Disturbi Specifici dell’Apprendimento.

I Disturbi Specifici dell’Apprendimento hanno un’origine biologica che è alla base delle anomalie a livello cognitivo che sono associate a sintomi comportamentali del disturbo e che comprende un’interazione di fattori genetici, epigenetici e ambientali che colpiscono le capacità cerebrali di percepire o processare informazioni verbali o non verbali in modo efficiente e preciso (DSM-5, 2014).

La Consensus Conference dell’Istituto Superiore di Sanità (Cc-ISS, 2011) definisce i Disturbi Specifici dell’Apprendimento “Disturbi che coinvolgono uno specifico dominio di abilità, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. Essi infatti interessano le competenze strumentali degli apprendimenti scolastici.”

È importante quindi sottolineare che i bambini con Disturbi Specifici dell’Apprendimento hanno un’intelligenza nella norma e/o superiore alla norma, essi riescono facilmente ad avere una visione d’insieme, a percepire un’immagine nel suo complesso.
 Sono in grado di cogliere gli elementi fondamentali di un discorso o di una situazione, ragionando in modo dinamico e creando connessioni inusuali che altri difficilmente riescono a sviluppare.

Apprendono facilmente dall’esperienza e ricordano maggiormente i fatti non in modo astratto ma come esperienze di vita, racconti ed esempi. Pensano soprattutto per immagini, visualizzando le parole e i concetti in modo tridimensionale, per questo memorizzano molto più facilmente per immagini. Sono capaci di vedere le cose da diverse prospettive e processano le informazioni in modo globale invece che in sequenza.

Le principali caratteristiche che contraddistinguono i Disturbi Specifici dell’Apprendimento riguardano:

  • Le inattese e importanti difficoltà nella letto-scrittura e/o nei numeri e nel calcolo
  • Le difficoltà nella consapevolezza fonologica (difficoltà nel riconoscere quanti, quali e in che ordine sono i suoni di una parola)
  • La lentezza nell’automatizzazione di diverse abilità

Alcuni bambini con Disturbi Specifici dell’Apprendimento possono anche avere difficoltà di coordinazione, di motricità fine, nelle abilità di organizzazione e di sequenza e difficoltà nell’acquisizione delle sequenze temporali (ore, giorni, stagioni, ecc.).

Dall’analisi della letteratura i disturbi che più frequentemente si riscontrano in comorbilità con i Disturbi Specifici dell’Apprendimento sono: il disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività (ADHD) e i Disturbi Specifici del Linguaggio (DSL).
 La Consensus Conference (2007) ha evidenziato che nella pratica clinica si riscontra un’alta presenza di comorbilità sia fra i Disturbi Specifici dell’Apprendimento stessi, sia fra Disturbi Specifici dell’Apprendimento ed altri disturbi (disprassie, disturbi del comportamento e dell’umore, disturbi d’ansia, ecc.).
 L’elevata comorbilità determina la marcata eterogeneità dei profili funzionali e di espressività con cui i Disturbi Specifici dell’Apprendimento si manifestano e comporta significative ricadute sul versante dell’indagine diagnostica (CC-2007).

L’importanza della diagnosi nei Disturbi Specifici dell’Apprendimento

La diagnosi di disturbo dell’apprendimento viene di solito eseguita solo al termine del secondo anno di scuola primaria, anno in cui tale disordine diventa più evidente grazie all’esposizione della letto-scrittura. Solitamente sono le maestre, durante le attività scolastiche, ad avvertire le prime difficoltà e disagi nel bambino. E’ loro dovere quindi informare il genitore al più presto per fargli prendere contatto con lo specialista in grado di formulare una diagnosi: – solitamente il Neuropsichiatra Infantile o un’équipe multidisciplinare composta da Neuropsichiatra Infantile, Psicologo, Logopedista ed eventualmente altri professionisti sanitari abilitati alla certificazione – sulla base della quale il logopedista, psicomotricista ed eventualmente lo psicologo, opereranno da quel momento in poi. Ricordiamo che figure non sanitarie, quali pedagogisti, tutor degli apprendimenti, counselor, ecc., non possono fare diagnosi cliniche, pertanto nemmeno la certificazione: la diagnosi clinica in Italia è permessa solo a psicologi e medici.

Le ricerche hanno messo in luce che i Disturbi Specifici dell’Apprendimento si presentano associati a disturbi emotivi e comportamentali che, se sottovalutati, possono costituire un fattore di rischio per il futuro benessere psicologico dell’individuo (Mugnaini et al. 2008).

Innanzitutto, un primo problema si può presentare quando ancora non c’è la diagnosi: in questo caso infatti sia il bambino che la famiglia e la scuola, si ritrovano nella confusione di un basso rendimento scolastico senza capirne il motivo. In questa prima fase gli insegnanti si interrogano sull’impegno del bambino, sulle sue condizioni familiari, lamentano scarso impegno e disinteresse, talvolta problemi di comportamento in classe. Essi trovano anche difficoltà a spiegarsi perché il bambino che tra i pari sembra non avere particolari difficoltà, mostra poi rifiuto o problematiche quando gli si chiede di leggere e di scrivere (Stella, 2001).

I genitori sono confusi e spesso oscillano fra comportamenti severi e punitivi con inviti all’impegno e lunghi periodi in cui attendono sperando che il tempo possa portare ad un miglioramento della situazione. All’inizio in genere tendono a dare ragione all’insegnante e si associano all’idea che la difficoltà del loro bambino dipenda dallo scarso impegno o da un’insufficiente dose di esercizio.

In questa fase il bambino si sente incompreso sia in famiglia che a scuola e lui stesso comincia a dubitare delle proprie capacità. Questo può essere molto destabilizzante e provocare un abbassamento dell’autostima, disagio psicoaffettivo, un sentimento di inferiorità nonché senso di colpa, soprattutto se si sente giudicato pigro e svogliato (Gagliano 2008). Le interpretazioni e le azioni degli adulti portano, in questi casi, ad un’aggravarsi della situazione.

Quando la diagnosi è stata effettuata, e se il disturbo non viene trattato adeguatamente, le manifestazioni psicologiche della sofferenza possono assumere varie forme, anche opposte tra loro: da un lato il bambino può presentare un comportamento ritirato, chiuso in se stesso, di evitamento del confronto; questo complesso di reazioni si possono definire di tipo depressivo o inibitorio. Nella modalità di reazione opposta invece si possono presentare sentimenti di rabbia che portano a comportamenti disturbanti, opposizione alle insegnanti e aggressività col personale scolastico e con i pari, cosa che può innescare un circolo vizioso all’interno della classe. Talvolta lo stesso bambino può presentare i due diversi tipi di comportamento in momenti diversi (Ryan, 2006). Il rischio è quello di restare intrappolati in circoli viziosi, in cui fallimenti, lo scarso investimento sulle attività scolastiche e la demotivazione vanno a potenziarsi vicendevolmente.

Considerando che è proprio durante i primi anni di scuola che i bambini si trovano ad affrontare il conflitto tra una positiva immagine di sé e i sentimenti di inferiorità (Erickson, 1987), il modo in cui riusciranno a sviluppare sentimenti positivi che li porteranno a sentirsi efficaci avrà ripercussioni sulla loro vita.

Nel DSM-5 (APA, 2013) si sottolineano inoltre le possibili “conseguenze funzionali negative lungo l’arco di vita che includono […] alti livelli di distress psicologico e inferiore salute mentale generale […] l’abbandono scolastico e i co-occorrenti sintomi depressivi aumentano il rischio di esiti negativi in termini di salute mentale generale. Al contrario alti livelli di supporto emotivo e sociale predicono migliori risultati a livello di salute mentale”. 
Diventa estremamente importante quindi che la scuola e la famiglia vadano ad agire tenendo conto sia del disturbo e del miglioramento del profitto scolastico, ma anche degli aspetti emotivi del bambino. In questo modo si possono ottimizzare i risultati e prevenire che il bambino sviluppi una bassa autostima, disturbi ansioso depressivi e una sottostima delle sue capacità.

Disturbi Specifici dell’Apprendimento: la Dislessia

Con il termine Dislessia si intende il Disturbo Specifico della Lettura, che riguarda la decodifica, ed include, oltre alle difficoltà nell’accuratezza della lettura delle parole, anche la velocità o fluenza della lettura e le difficoltà nella comprensione del testo.

In Italia la dislessia colpisce circa il 3% dei bambini in età scolare.

Il termine dislessia deriva dal greco ed è formato da “Dys”  che significa “mancante” o “inadeguato” e “lexis” che significa “parola” o “linguaggio”, quindi sarà tradotto come linguaggio mancante o inadeguato. Infatti, la dislessia è proprio l’incapacità di riprodurre il linguaggio con la rapidità e le abilità normali che un soggetto dovrebbe possedere in relazione all’età e conformi al rendimento mostrato in altre attività.

Si tratta di una patologia relativamente giovane perché solo nello scorso secolo compare per la prima volta in ambito medico ad opera di Hinshelwood che scrisse un intero trattato su un caso di un ragazzo affetto da questo deficit. Precedentemente, tutti consideravano questa incapacità come imputabile alla sfera del linguaggio intesa in termini di incapacità di produzione linguistica o legata a ritardo mentale.

Secondo il DSM 5 (2015) per formulare la diagnosi di dislessia è necessario:

  • Avere un livello di lettura, misurato da test standardizzati, sulla performance, sulla velocità o sulla comprensione della lettura, al di sotto di quanto previsto in base all’età cronologica del soggetto, alla valutazione psicometrica dell’intelligenza e a un’istruzione adeguata rispetto all’età
  • Che il deficit riscontrato interferisca in modo significativo con l’apprendimento scolastico o con le attività quotidiane che richiedono capacità di lettura
  • Se presente un deficit sensoriale, le difficoltà di lettura devono andare al di là di quelle solitamente associate al deficit in questione
  • Differenziare le normali variazioni nelle abilità di lettura dalla dislessia

Quindi, la diagnosi di dislessia avviene quando il soggetto mostra capacità di lettura e scrittura sostanzialmente inferiori per età anagrafica, quoziente intellettivo e adeguata scolarità.

Spesso alla dislessia sono associate ulteriori difficoltà, quali la disortografia, la disgrafia e, a volte, lievi difficoltà nel linguaggio orale, fatica nel recuperare termini appropriati o nel memorizzare parole nuove, e nel calcolo, soprattutto mentale, e nella memorizzazione delle tabelline.

I primi segnali appaiono durante la seconda o terza elementare:

  • Difficoltà a riconoscere le lettere dell’alfabeto;
  • Incapacità di unire suoni a lettere;
  • Incapacità di riprodurre parole
  • Difficoltà di apprendimento di nuove parole
  • Vocabolario ridotto rispetto ad altri bambini della stessa età

ma segnali precoci compaiono durante la scuola materna attraverso la difficoltà a riprodurre i suoni nelle rime e nelle filastrocche. Tale difficoltà è dovuta a una cattiva organizzazione di suoni linguistici, tipici per la riproduzione del linguaggio che permettono di passare da un testo scritto al riconoscimento e identificazione delle lettere di cui sono composte le parole e da cui si estrapola il significato che si vuole comunicare.

Per poter leggere correttamente bisogna acquisire diverse funzioni:

  • Collegare lettere a suoni: i bambini devono imparare che ad ogni lettera dell’alfabeto è associato un certo suono, fonetica. Una volta che il bambino può effettuare questi collegamenti, sarà in grado di riprodurre le parole
  • Decodificare il testo: permette di dare un senso alle parole
  • Riconoscimento visivo delle parole: capacità di leggere una parola familiare a colpo d’occhio senza sillabare
  • Comprensione del testo: consente di ricordare quello che si è appena letto, invece i dislessici interrompono il flusso di informazioni rendendo difficile capire quanto letto per integrarlo alle conoscenze già apprese

Indubbiamente, nel dislessico tutte queste abilità sono carenti o scarse al punto da avere enormi difficoltà nella riproduzione verbale di parole. Fenomenologicamente la dislessia si manifesta con un deficit di processamento percettivo dell’informazione visiva: inversioni di lettere, errori di specularità, percezione delle parole sovrapposte o in movimento, e ridotta abilità di focalizzazione su singoli elementi.

Dislessia, come affrontarla?

Per quanto riguarda il trattamento della dislessia un primo strumento essenziale per chi ne è affetto è indubbiamente la capacità di comprendere il funzionamento dei propri processi mentali (come la memoria, l’attenzione, ecc..), esercitando un controllo su di essi: ad es. “so che mi è difficile memorizzare le tabelline come fanno gli altri… utilizzerò la tavola pitagorica!” oppure “considerando che quando studio mi distraggo facilmente, oggi il mio cellulare resterà spento!” (Cornoldi, 1995). Sono ormai numerose le ricerche che mostrano l’importanza fondamentale degli aspetti metacognitivi e di un approccio autoregolato allo studio (De Beni, Moè, Rizzato, 2003). 
Grazia alla possibilità di aumentare la consapevolezza che ogni bambino/ragazzo possiede circa il funzionamento della propria mente e all’uso strategico dei processi metacognitivi di controllo esercitati sui propri processi cognitivi, lo studente impara a pianificare e organizzare delle attività da svolgere, perché consapevole del livello di impegno richiesto da ciascuna materia. Nello specifico, la comprensione del compito e della sua difficoltà, la scelta della strada da seguire per affrontarlo (strategie da adottare), la pianificazione delle fasi del compito da svolgere, la previsione dell’esito finale, il monitoraggio del processo, la valutazione dei risultati e dei progressi ottenuti. 
Questo obiettivo si concretizza nella capacità del ragazzo di sapere individuare le proprie criticità e i propri punti di forza ed effettuare un’autovalutazione sul proprio operato. In questo percorso di accompagnamento allo studio lo psicologo assume il ruolo di facilitatore, fornendo allo studente degli aiuti temporanei che portino, pur con strategie diverse e personalizzate, al raggiungimento di un fine comune: l’autonomia.

Un importante studio sul trattamento della dislessia è stato finanziato dal Ministero della Salute Italiano ed è stato portato avanti secondo le norme della World Medical Association’s Declaration of Helsinki e autorizzato dal Comitato Etico Indipendente dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (D. Natali, 2016).
 Le ricerche nello specifico sono state condotte dai ricercatori del Bambino Gesù sotto la supervisione della dottoressa Deny Menghini, con bambini e adolescenti dislessici e indagando se più sessioni di stimolazione transcranica a corrente continua (tDCS) aumentino la capacità di lettura dei bambini e adolescenti dislessici e se l’effetto positivo sia di lunga durata.
 La tecnica utilizzata per il trattamento della dislessia è denominata stimolazione transcranica a corrente diretta (tDCS), non è invasiva e inoltre è già utilizzata nei trattamenti di disturbi quali la depressione e l’epilessia focale.
 Nelle persone dislessiche vengono stimolati i circuiti celebrali alterati grazie al passaggio di corrente a basso voltaggio (intensità di un milliampere), che ne modifica l’attività neurale permettendo l’aumento di velocità e l’accuratezza della lettura.
 In dettaglio: la stimolazione viene fornita da un dispositivo portatile che, alimentato da pile, è in grado di erogare una corrente continua e bassa.
 In sei settimane il gruppo sottoposto a procedura attiva ha migliorato la propria capacità del 60% passando da 0,5 a 0,8 sillabe lette al secondo; nel gruppo sottoposto al trattamento placebo i miglioramenti non sono degni di nota (0.04 sillabe al secondo). Anche a distanza di tempo, i risultati sono rimasti invariati.

Tra le App mediche sta guadagnando sempre maggior rilievo WinABC, un programma di lettura temporizzata utilizzato nella riabilitazione della dislessia. WinABC si basa su un trattamento di tipo sub-lessicale, che è applicato a unità via via più ampie, a partire dalla lettera, passando per la sillaba e la parola intera. Il trattamento mira a supportare i bambini con difficoltà nella decifrazione, lenta o scorretta che sia, attraverso l’automatizzazione del riconoscimento sub-lessicale. Dopo un trattamento di tre mesi con questo sistema di lettura i soggetti dislessici evidenziano un recupero di lettura superiore a quanto atteso dall’evoluzione spontanea (Tressoldi et al. 2001).

Disturbi Specifici dell’Apprendimento: la Disortografia

Tra i Disturbi Specifici dell’Apprendimento, troviamo anche la Disortografia. Con il termine Disortografia si intende il Disturbo Specifico della Scrittura, che riguarda lo scarso controllo ortografico. La Disortografia è inclusa nel «Disturbo Specifico dell’Apprendimento con compromissione dell’espressione scritta» che prevede, oltre alle difficoltà ortografiche chiamate «difficoltà nell’accuratezza dello spelling», anche accuratezza della grammatica e della punteggiatura e chiarezza/ organizzazione dell’espressione scritta. La diagnosi si effettua alla fine del secondo anno della scuola primaria.

Le caratteristiche più comuni della disortografia sono:

  • Confusione di fonemi e di grafemi
  • Errori di ortografia
  • Problemi di scrittura simili ai dislessici
  • Problemi legati alla codifica di alcune parole scritte
  • Errori nel copiare le parole
  • Inversione di sillabe
  • Tagli arbitrari di parole
  • Omissione di lettere necessarie in una parola
  • Coniugazioni di verbi errate
  • Errori di analisi del testo
  • Lentezza, esitazione e povertà nella scrittura

Si tratta di un problema che insorge, il più delle volte come conseguenza della dislessia, ma in alcuni casi può manifestarsi anche in maniera isolata.

I segni distinguibili della disortografia possono essere:

  • le omissioni di lettere o parti di parola, per esempio fole per folle
  • sostituzioni o inversioni di grafemi
  • errori relativi alle regole ortografiche
  • errori di separazione o fusione di parole

La grammatica è importante nella produzione di un testo fluente. Gli studenti con disortografia spesso presentano evidenti problemi nella gestione delle regole grammaticali al punto da rendere difficile la comprensione di quanto scritto.
 Molti disortografici, inoltre, dimostrano estrema lentezza nella scrittura ed evidenti problemi nel copiato e in tutti i compiti scritti. Tutto questo, ha come esito il rimanere indietro nell’apprendimento rispetto ai compagni di classe.

Solitamente, questi problemi insorgono durante la seconda elementare e si protraggono nel tempo. Il più delle volte passano inosservati e confusi con i normali problemi riscontrati durante l’apprendimento, ma se perdurano nel tempo e si intensificano sono indicatori di un estremo disagio a carico della scrittura.

La diagnosi di disortografia viene fatta per quei bambini che presentano una scrittura lenta o eccessivamente scorretta, che però non è imputabile a una scarsa velocità del gesto motorio, sempre tenendo presente che l’errore non va considerato in merito a fattori esterni, ambientali o psicologici, che, se presenti, possono essere un fattore accentuante.

La Consensus Conference prescrive di valutare componenti diverse in base alle fasi evolutive: all’inizio dell’alfabetizzazione è necessario valutare i processi di conversione fonema-grafema, mentre durante la scuola primaria le parole intere fino alla presenza di errori di conversione grafema-fonema. Questi in particolare, se riscontrati alla fine della scuola primaria, rappresentano un elemento diagnostico di gravità del disturbo.

 La disortografia, porta a un evidente dispendio di energie nei compiti scritti, affaticando lo studente che appare al cospetto degli altri svogliato o disattento.

È frequente l’associazione con altre problematiche relative alla sfera dell’apprendimento come la dislessia o la discalculia.

I bambini con disortografia possono mostrare disagio psicologico più o meno marcato di fronte ai compagni di classe. Le conseguenze, chiaramente, sono marcate sia da un punto di vista psicologico, rispetto al gruppo dei pari, sia sociali, in casi estremi si mettono in atto forme di evitamento. Possono esitare nel fare domande in classe e ad ammettere che non hanno capito qualcosa.

Attualmente gli interventi che si sono dimostrati efficaci nel migliorare l’apprendimento dell’ortografia, condotti durante la scuola d’infanzia o il primo anno di scuola primaria, da insegnanti opportunamente preparati, presentano le seguenti caratteristiche (Tressoldi, 2013):

  • Attività per favorire le abilita meta-fonologiche, come la segmentazione fonetica, che interviene nel passaggio dalla parola orale a quella scritta, e l’associazione tra grafemi e fonemi
  • Esplicitazione delle abilità da insegnare
  • Sessioni di circa 15-30 minuti l’una, con una frequenza non inferiore a due volte alla settimana, individuali o in piccoli gruppi, per un totale di 1-2 mesi

Accanto a trattamenti di tipo riabilitativo, è consigliato l’uso degli strumenti compensativi in presenza di un carico di lavoro che limita fortemente l’autonomia, come nelle verifiche che richiedono molta lettura e scrittura, e solo se tale utilizzo non venga percepito come stigma dall’utente. Esistono differenti strumenti, da quelli ad alta tecnologia (correttore ortografico, riconoscimento vocale) a quelli a bassa tecnologia (dizionario) (Lo Presti e Franceschi, 2013).

Riguardo invece alle misure dispensative esse sono suggerite quando le misure compensative non sono di per sé sufficienti a garantire una sufficiente autonomia, in tal caso si preferisce sostituire le verifiche scritte con quelle orali e la valutazione del contenuto alla correttezza ortografica nelle produzioni scritte (Tressoldi, 2013).

Disturbi Specifici dell’Apprendimento: la Disgrafia

Nell’ambito dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento, con il termine Disgrafia si intende il Disturbo Specifico della Scrittura, che riguarda la realizzazione grafica (grafia).

La disgrafia si manifesta all’incirca a partire dalla terza elementare, quando il bambino inizia ad aver automatizzato i gesti di scrittura, che viene personalizzata.

I bambini affetti da disgrafia hanno spesso un’impugnatura scorretta della penna e faticano a organizzare lo spazio sul foglio, lasciando spazi irregolari tra i simboli grafici, le parole, scrivendo in salita o in discesa e non riuscendo a regolare la pressione della mano sul foglio e, frequentemente, invertendo la direzione del gesto. Altre difficoltà sono presenti:

  • nella copia e produzione autonoma di figure geometriche e riproduzione di oggetti o copia di immagini, che risulta carente di particolari
  • nella copia di parole e di frasi
  • inversioni nella scrittura dei grafemi
  • errori attribuibili a una scarsa coordinazione oculo-manuale
  • il ritmo di scrittura è alterato (eccessivamente lento o veloce) e il gesto non è armonico e frequentemente interrotto con una perdita della naturale curvilineità

Disgrafia è un termine composto da due parole greche: “Dys” che significa “difficoltà con” o “povero” e “graphia” ovvero “scrittura”, quindi si intende una difficoltà con la scrittura.

Inizialmente, nel 1940, questa patologia fu definita agraphia, termine ideato dal medico austriaco Josef Gerstmann. Successivamente, Joseph Horacek, nel suo libro Brainstorms, descrisse l’agrafia non come caratterizzata da una totale incapacità nello scrivere, ma dalla presenza di carenze nell’ambito della scrittura. In questo caso la persona affetta da tale patologia non mostra né un trauma cerebrale, che possa giustificare la problematica manifestata, né una perdita totale dell’uso della scrittura, per cui si trattava di qualcosa di diverso dall’agrafia. Quindi era necessario effettuare una differenziazione: con agrafia si indica la perdita della scrittura derivante da un infarto o trauma cerebrale, mentre nella disgrafia la scrittura è mantenuta ma presenta delle anomalie e colpisce giovani, adulti e bambini.

Spesse volte il bambino presenta problemi a carico della memoria di lavoro, che utilizza un processo di codifica per immagazzinare nuove parole scritte. Questo meccanismo nel disgrafico non funziona e per questo si verifica una difficoltà nel ricordare come scrivere una lettera o una parola, con conseguenti complicazioni nella scrittura.

I bambini con disgrafia non hanno un disturbo dello sviluppo motorio, ma possono avere difficoltà a pianificare i movimenti sequenziali delle dita che portano ad avere una buona grafia.

I sintomi della disgrafia rientrano in sei categorie: visuo-spaziale, motoria, elaborazione del linguaggio, ortografia / scrittura, grammatica e l’organizzazione del linguaggio, in presenza di capacità di scrittura in ritardo rispetto ai coetanei.

I bambini disgrafici inoltre spesso lamentano dolore durante la scrittura, che inizia nell’avambraccio e poi si diffonde in tutto il corpo. Questo dolore può peggiorare o addirittura apparire in concomitanza di un periodo di particolare stress.

I sintomi della disgrafia variano anche a seconda dell’età del bambino e i primi segni compaiono generalmente quando si inizia a scrivere. In particolare, i bambini in età prescolare possono essere riluttanti a scrivere e disegnare, mentre quelli in età scolare spesso mostrano una grafia illeggibile e hanno bisogno di pronunciare le parole ad alta voce durante la scrittura. Gli adolescenti, invece, scrivono frasi semplici, con molti errori grammaticali.

I bambini con disgrafia possono restare indietro nel lavoro scolastico impiegano molto tempo a scrivere e a prendere appunti e per questo possono scoraggiarsi e evitare compiti in cui è richiesto l’uso della scrittura. Inoltre, le capacità motorie di alcuni bambini disgrafici sono molto deboli e per questo faticano nelle attività quotidiane, come ad esempio abbottonare le camicie o allacciare le scarpe. 

È possibile individuare diversi tipologie di Disgrafia:

  • dislessica, la scrittura spontanea è illeggibile, mentre quella copiata è abbastanza buona, e l’ortografia è pessima. La velocità del movimento delle dita è nella norma
  • motoria, è dovuta a un deficit delle capacità motorie, scarsa destrezza, scarso tono muscolare, e/o goffaggine motoria non meglio specificata. In generale, la scrittura è povera e illeggibile, anche quando si copia un documento. La velocità del movimento delle dita è nella norma
  • spaziale, è determinata da una difficoltà nella percezione dello spazio, la scrittura e il copiato sono incomprensibili, l’ortografia normale

Alcuni bambini possono avere una combinazione di due o tutte e tre queste tipologie di disgrafia.

Il trattamento per la disgrafia varia e può includere esercizi motori, per rafforzare il tono muscolare, migliorare la destrezza e la coordinazione occhio-mano, e di controllo della scrittura, oltre ai trattamenti riguardanti esercizi di memoria o neuropsicologici. L’uso del computer è consigliabile rispetto alla carta. Spesse volte a una riabilitazione cognitiva e motoria neuropsicologica sono affiancati incontri con uno psicoterapeuta adiuvanti al miglioramento del benessere del bambino.

Distinguere disortorgrafia, disgrafia e disprassia

Nel diagnosticare una disortografia è importante differenziarla da altri Disturbi Specifici dell’Apprendimento quali la disgrafia e la disprassia.

La disortorgrafia è un deficit che riguarda lo scarso controllo ortografico.

La disgrafia è un deficit esclusivamente grafico, di riproduzione di segni alfabetici e numerici. Essa può talvolta essere legata ad un disturbo della coordinazione motoria o secondaria ad una lateralizzazione incompleta.

La disprassia consiste invece in un deficit nella coordinazione dei gesti automatici e volontari, che può influenzare anche il modo di apprendere di un bambino a scuola.

Secondo il DSM IV la disprassia solitamente rientra nella classificazione dei Disturbi della Coordinazione Motoria, che colpiscono il 6% della popolazione infantile tra i 5 e gli 11 anni, comportando goffaggine, problemi nell’organizzare il lavoro e nel seguire delle istruzioni.

La disprassia è caratterizzata dalla non corretta esecuzione di una sequenza motoria che risulta alterata nei requisiti spaziali e temporali, risultando in un’attività motoria che può essere del tutto inefficace e scorretta, nonostante siano integre le funzioni volitive, la forza muscolare e la coordinazione.

Le ricerche finora condotte suggeriscono che la disprassia sia imputabile a un’ immaturità dello sviluppo neuronale del sistema nervoso centrale.

Disturbi Specifici dell’Apprendimento: la Discalculia

All’interno dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento, con il termine Discalculia si intende il Disturbo Specifico del Calcolo, che riguarda l’area matematica.

Discalculia è codificata come «Disturbo specifico dell’apprendimento con compromissione del calcolo» e include, oltre alle difficoltà nel concetto di numero, memorizzazione di fatti aritmetici, calcolo accurato o fluente, anche le difficoltà nel ragionamento matematico corretto.

I bambini lavorano duramente per apprendere e memorizzare i processi di base della matematica, sapendo esattamente applicare le procedure senza capire, però, per quale motivo lo stanno facendo. In altre parole, manca la logica che sottende i processi matematici appresi al punto da non consentirne la replicazione.

I sintomi tipici della discalculia sono:

  • Difficoltà ad effettuare un conto alla rovescia
  • Scarsa capacità di effettuare stime
  • Difficoltà nel ricordare i numeri
  • Difficoltà nel capire il senso dei numeri
  • Lentezza nei calcoli
  • Difficoltà nelle procedure matematiche soprattutto quelle più complesse
  • Evitamento di attività legate alla matematica che sono percepite come particolarmente difficili
  • Scarse abilità aritmetiche mentali

Il bambino piccolo ha difficoltà nel contare e nell’attribuire numeri a oggetti, non riesce a riconoscere i simboli numerici, quindi non collega, a esempio, il 6 alla parola sei. Inoltre, fatica a legare un numero a una situazione di vita reale, mostra difficoltà nel ricordare i numeri, soprattutto nel giusto ordine, stenta a ordinare gli elementi per dimensione, forma o colore ed evita giochi in cui è richiesto l’uso dei numeri, il conteggio e altri concetti matematici.

Durante la scuola primaria ha difficoltà a riconoscere i numeri e simboli, fatica nella riproduzione del calcolo di base, usa spesso le dita per contare invece di strategie mentali più sofisticate, non riesce a pianificare la soluzione di un problema di matematica, ha difficoltà a distinguere la sinistra dalla destra e ha uno scarso senso dell’orientamento. Ancora, ha difficoltà a ricordare i numeri di telefono e i punteggi ottenuti in un gioco e se può evita totalmente il gioco in cui è richiesto l’uso dei numeri.

Al liceo si sforza ad applicare, con fatica, i concetti matematici alla vita quotidiana, non riesce a misurare gli ingredienti di una ricetta, cerca strategie per non perdersi e usa tattiche per aggirare i problemi come l’uso di tabelle e grafici.

L’insorgenza del disturbo nella popolazione generale si aggira intorno al 5%, malgrado possa essere difficile effettuare una adeguata diagnosi perché spesse volte è confusa con le normali difficoltà in ambito di apprendimento.

Se è presente dislessia, col proseguire degli anni e della scolarità, si possono manifestare gravi difficoltà nella scolarizzazione, oltre a causare, in casi estremi, difficoltà nell’occupazione. Il 56 % dei bambini con un disturbo della lettura ha anche scarsa capacità nella matematica; il 43% dei bambini con deficit nella matematica hanno scarse capacità di lettura (Cornoldi e Mammarella, 1995).

La discalculia può manifestarsi in associazione a:

  • Dislessia: è stato scoperto che il 45% dei bambini con disabilità matematiche mostrano hanno anche problemi legati alla lettura
  • ADHD: i bambini con discalculia mostrano, in molti casi, anche l’ADHD, ma gli esperti raccomandano di valutare le competenze matematiche dopo aver tenuto sotto controllo i sintomi dell’ ADHD per confermare eventuali diagnosi di discalculia
  • L’ansia per la matematica: i bambini con ansia per la matematica sono così preoccupati per l’esecuzioni di procedure matematiche al punto da avere paura eccessiva in concomitanza delle prove. Questa paura può portare a scarse prestazioni nei test di matematica, con conseguente abbassamento dell’autostima e del tono dell’umore. In questo caso possono esserci ripercussione nel gruppo dei pari e in casi estremi possono portare all’evitamento e al ritiro sociale. Alcuni bambini possono avere sia l’ansia per la matematica sia la discalculia
  • Malattie genetiche: la discalculia è associata a diverse malattie genetiche tra cui la sindrome dell’X fragile, la sindrome di Gerstmann e la sindrome di Turner (Ianes, Lucangeli, e Mammarella, 2010)

Uno dei programmi per il trattamento più adoperati a livello internazionale è il Programma di Arricchimento Strumentale di Feuerstein che si prefigge come obiettivi fondamentali l’arricchimento del repertorio individuale delle strategie cognitive necessarie per l’apprendimento e il recupero delle funzioni cognitive carenti (Feuerstein e coll., 2008).

In particolare, per favorire un miglior approccio all’apprendimento numerico, Butterworth e Yeo (2011) suggeriscono l’utilizzo di materiali specifici, come blocchi che rappresentano i valori in base 10, monete, piste numeriche, metri rigidi, con l’aggiunta dell’uso della calcolatrice, strumento che riduce il carico della memoria di lavoro, pur non dovendosi però ritenere sostitutivo di un adeguato programma di stimolazione delle competenze, come prima esposto. Vi sono poi da considerare le ricadute negative della discalculia, così come anche per gli altri Disturbi Specifici dell’Apprendimento, sull’autostima e sull’umore, il rifiuto della scuola o i comportamenti ostili: ecco perché la psicoterapia assume un’importanza fondamentale nel trattamento. La psicoterapia cognitivo-comportamentale, a questo scopo, fornisce un valido supporto, stimolando la valutazione realistica dei propri mezzi e delle difficoltà dei compiti proposti, focalizzandosi sulla regolazione dell’autostima e dell’aggressività, cause frequenti della demotivazione scolastica, e prevedendo il coinvolgimento della famiglia (Terzocentro di psicoterapia cognitiva, 2016).

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