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La rivelazione della propria sieropositività può evocare vissuti di abbandono e abuso – Parte III

Roberto che la sua sieropositività potrebbe essere condivisa, ma che prima di comunicarla a qualsiasi estraneo, desidera tanto poterla dichiarare alla madre

Di Sonia Sofia

Pubblicato il 24 Nov. 2022

Roberto è un giovane uomo sieropositivo e solitario, incapace di intraprendere relazioni sentimentali. La sua richiesta di aiuto è inizialmente incentrata su questa incapacità relazionale.

Ndr – Il presente contributo è il terzo di una serie di tre articoli sull’argomento. Nel primo contributo è stato introdotto il caso clinico di Roberto, il secondo contributo ha illustrato il lavoro sulle memorie traumatiche del paziente

 

La storia di Roberto

In seduta Roberto racconta che fin dalla scuola media, periodo in cui percepisce la propria personale sessualità, subisce atti di bullismo, di essersi sentito indegno anche per caratteristiche fisiche di sovrappeso, di essere stato un bambino timido, pieno di vergogna, spesso compiacente per paura dell’abbandono dell’altro o di una sua critica. Emerge un sé non amabile, debole, con aspettative di abbandono o rifiuto che lo portano a nascondere aspetti ritenuti negativi e incomunicabili per non recare mai disturbo agli altri. In questo quadro arriva poi la notizia della sieropositività che contribuisce sempre più a elicitare in lui schemi disfunzionali di lettura della realtà solo in termini di perdita, rifiuto e paura dell’abbandono, confermando una rappresentazione di sé come non degno di amore.

Lo schema interpersonale del paziente è il seguente: Roberto desidera essere visto, amato ed accettato. Cova però una immagine nucleare di sé come indegno e difettoso. Come risposta dell’altro teme la critica e l’abbandono e tende ad interpretare il comportamento altrui come segnale di rifiuto. Le sue reazioni emotive alla risposta dell’altro sono principalmente tristezza e vergogna ed utilizza l’evitamento ed il segreto per gestire la situazione, amplificando di fatto l’autostigma. Si rende conto che i sentimenti di indegnità che lo hanno accompagnato per tutta la vita hanno molto a che vedere con episodi traumatici legati alla figura del fratello maggiore durante l’infanzia.

Attraverso l’utilizzo dell’imagery e con interventi di rescripting riusciamo ad affrontare l’abuso, uno degli eventi cardine della sua sofferenza psichica.

Intanto, la vita preme, durante la visita infettivologica ordinaria mensile a cui Roberto si sottopone insieme al ritiro della terapia antiretrovirale, in seguito a una nuova sintomatologia riscontrata, agli esami ematochimici risulta affetto da gonorrea e presenta anche una positività pregressa (nei mesi precedenti) per sifilide.

Lo seguo anche come infettivologa, e l’evento mi destabilizza. So che Roberto è attentissimo all’assunzione della terapia antiretrovirale, possiede una carica virale non rilevabile nel sangue e si trova in un buon compenso viroimmunologico, tuttavia continua ad avere rapporti sessuali non protetti (il che non è molto preoccupante ai fini della contagiosità degli altri, poiché una persona costantemente soppressa dal punto di vista virologico, non è infettante) e non ne aveva mai parlato in seduta, anzi riferiva di non avere contatti dai tempi del suo contagio. Riesco a contenere un certo senso di frustrazione mentre sono in ospedale e naturalmente gli prescrivo le terapie adeguate e risolutive rassicurandolo sulla curabilità di queste patologie. In realtà, non riesco a mantenere lo stesso distacco quando lo vedo in seduta nel ruolo di psicoterapeuta e riconosco di essere un po’ risentita. Mi accorgo di essere visibilmente più fredda, come se aspettassi delle spiegazioni che non chiedo e non arrivano.

Sono profondamente delusa da me. Cerco di seguirlo attentamente sia come terapeuta che come infettivologa, ma sento come se questo doppio “sforzo” non valga per essere “all’altezza di ricevere” le sue confessioni e le sue verità. Sento un senso profondo di inadeguatezza che riconosco appartenere ai miei schemi. Roberto, dopo mesi di terapia, mi nasconde la sua reale vita sessuale, che è un po’ il fulcro del nostro lavoro e inoltre non mi ero accorta della sifilide dei mesi precedenti. Ricordo che Roberto aveva fatto cenno a un prurito generalizzato e io l’avevo preso con superficialità, etichettandolo come disturbo d’ansia esasperato da un po’ di ipocondria.

In seduta, e in genere tutte le volte che sono assalita dall’inadeguatezza, è come se fossi un po’ distante, chiusa in me stessa, e aspetto che sia lui a chiarire le cose. Roberto intende dedicare molto tempo a un episodio che per me apparentemente è solo una perdita di tempo per distrarci dai veri temi. Roberto parla della festa di compleanno di sua madre, che compie 70 anni e pretende da suo figlio un’organizzazione pazzesca, con numerosissimi invitati, tutto curato nel minimo dettaglio, chiaramente ignorando la fatica di suo figlio e gli sforzi che compie, dato che Roberto si occupa di questo evento familiare solo la sera, dopo aver terminato le consegne ai reali clienti con cui ha delle scadenze da rispettare.

Roberto dichiara di sentirsi spento, di non poter mostrare la sua stanchezza e per l’ennesima volta di non poter affermare i suoi reali desideri di fronte a questa figura femminile, che avverte assolutamente dominante. In realtà, probabilmente anche questo episodio riporta alla nostra relazione.

Ne parlo in supervisione e decido di affrontare l’argomento con Roberto, di chiedere io delle chiarificazioni su quanto è successo, su come mai in tutti questi mesi non abbia parlato delle sue storie sessuali dato che ha contratto due patologie a trasmissione sessuale.

Proprio nelle ultime tre sedute, inoltre, Roberto esaspera con me degli atteggiamenti già avuti in precedenza, porta quantità di dolci imbarazzanti, di tutti i tipi, volta per volta. Stavolta ne approfitto per chiedergli come mai sente il bisogno di portarmi tutti questi dolci. Roberto risponde: “per allietarla, deve essere molto difficile avere a che fare con uno come me, la vedo un po’ indurita”. A questo punto, svelo il mio vissuto, gli dico che non sono affatto fredda con lui, ma che mi rimprovero di non essere stata abbastanza attenta da diagnosticare la sifilide al momento giusto, né tanto meno abbastanza valida da ottenere le sue confessioni riguardo alle sue storie sessuali. È evidente che in questi mesi abbia avuto dei rapporti ma non ha mai sentito di potermene parlare. Roberto dichiara di aver, con il nuovo gruppo di amici, frequentato dei club con saune predisposte per rapporti occasionali e di aver desiderato molto l’intimità nell’arco di questi mesi, ma di essersi limitato esclusivamente a rapporti orali, pensando di poter ridurre qualsiasi danno. Stare con questi amici, gli ha restituito un senso di calore e gli ha risvegliato dei desideri sessuali che non ha mai avuto il coraggio di dichiararmi, per paura di essere da me criticato o giudicato come perverso.

In realtà, in determinati ambienti, mi spiega Roberto, quando chiedi di utilizzare il preservativo anche nei rapporti orali, l’altro si insospettisce e ti chiede subito se c’è qualcosa che non va, se sei sieropositivo. Per evitare la fatidica domanda, Roberto non ha utilizzato il preservativo esponendosi ad altre infezioni.

“Alla fine, Dottoressa, di infezioni me ne sono beccato altre due, sempre tutto a mie spese”.

Comunico subito di essere soddisfatta di “aver meritato le sue confessioni”, e che non lo avrei mai giudicato, anzi che sono felice che abbia finalmente condiviso con me i suoi desideri sessuali. Solamente gli chiarisco che è bene indossare il preservativo, poiché esistono numerose infezioni che si possono trasmettere durante i rapporti oro-genitali, quindi fa bene ad ascoltare i propri desideri sessuali, ma senza mai perdere il rispetto di sé e dell’altro e pretendendo di indossare il preservativo. Questo episodio, però, ci permette di riflettere ancora sulla struttura del suo schema interpersonale. Roberto, è una persona attenta, conosce benissimo i rischi che si corrono nei rapporti non protetti, ma ancora una volta decide di accontentare l’altro. Valutiamo insieme che pretendere di utilizzare il preservativo lo avrebbe esposto, nelle sue aspettative, a un probabile rifiuto o disprezzo, a un sospetto di essere già infetto. Compiacere l’altro anche sapendo di sottoporsi a dei rischi è il suo modo di difendersi da sentimenti di vergogna e indegnità. Quanto ancora vuole utilizzare questo meccanismo di difesa? Gli chiedo quanto, ancora, utilizzando le sue stesse parole, “vuole pagare tutto a sue spese”?.

La comunicazione della sieropositività ai familiari

Roberto è commosso, mi riferisce di essersi sentito accettato come persona e accudito, che per la prima volta ha parlato dei suoi desideri sessuali senza provare vergogna, senza nessuno che lo giudicasse. Sente che vuole uscire allo scoperto, sente che la sua sieropositività potrebbe essere condivisa, ma che prima di comunicarla a qualsiasi estraneo, desidera tanto poterla dichiarare alla madre, che riconosce essere come un faro nella sua vita: “Mio padre è malato, mia sorella troppo apprensiva, è mia madre che merita che io le parli veramente di me”.

Riflettiamo su cosa fare, scegliamo di dare questa comunicazione dopo il compleanno della mamma. Decidiamo, però, di utilizzare prima in seduta un role playing in cui Roberto è sé stesso mentre io, la terapeuta, interpreto il ruolo della madre.

Durante il role playing, Roberto è fiducioso e motivato, riferisce una certa energia a livello corporeo ed è preso da nuovo entusiasmo, riuscendo a comunicare con sicurezza la propria sieropositività: “Per tutto l’amore che provo per te e per la riconoscenza per come mi hai cresciuto, sento da molto tempo di volerti comunicare un qualcosa che ormai da tempo è diventato un tratto del mio carattere, sono sieropositivo da qualche anno. È stata una storia d’amore, l’unica che ho avuto e non sono pentito. Vorrei anche rassicurarti sullo stato di salute, sono in terapia stabile e non rischio nulla. Le persone come me che prendono la terapia stabilmente sono fuori pericolo, sono esattamente uguali agli altri”.

A questo punto interpretando la madre, tento una critica severa: “Ma come hai fatto così stupidamente a metterti nei guai…?” ma Roberto riesce a imporsi con gentilezza: “Capisco che sei preoccupata per me e reagisci con rabbia ma ti prego di lasciarti rassicurare e di permettermi di spiegarti come è andata, per troppo tempo mi sono sentito sbagliato e un figlio indegno, adesso che ho trovato il coraggio di parlarti, ti prego ascoltami”.

A fine role playing, Roberto è davvero colto da un nuovo entusiasmo, e si apre a nuovi orizzonti e prospettive. Mi conferma di sentirsi meglio fisicamente, più energico e più leggero.

Affrontato il tema della sieropositività in famiglia, vorrebbe tanto condividere con i suoi il bisogno di andare a vivere da solo. Nella sua casa potrebbe avere finalmente più spazi, portare gli amici e non essere costretto a passeggiate notturne quando vuole restare da solo.

La comunicazione di sieropositività in effetti ha esiti positivi, Roberto non riceve critiche né tantomeno disprezzo dalla famiglia. Desidera l’autonomia, ed emergono nuovi schemi che sono attualmente oggetto di terapia.

Alla valutazione diagnostica effettuata dopo due anni di trattamento, i parametri sono notevolmente migliorati. Il paziente ha ottenuto dei valori nella norma per quanto riguarda il test TAS-20, una riduzione degli schemi disfunzionali allo Young Schema Questionnaire (ancora patologici gli schemi autosacrificio ed invischiamento relazionale). Riguardo al disturbo di personalità si è ridotto in modo significativo il numero di criteri e adesso non soddisfa la diagnosi per alcun disturbo di personalità.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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