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La rivelazione della propria sieropositività può evocare vissuti di abbandono e abuso – Parte II

Roberto riporta vari episodi legati a sentimenti di solitudine con radici lontane; in questo quadro arriva la diagnosi di sieropositività

Di Sonia Sofia

Pubblicato il 23 Nov. 2022

Roberto, giovane uomo sieropositivo, non frequenta nessun partner e non ha mai dichiarato la propria sieropositività. Estremamente educato e gentile, in seduta riferisce di sentirsi stigmatizzato e discriminato persino durante le visite mediche.

Ndr – Il presente contributo è il secondo di una serie di tre articoli sull’argomento. Nel primo contributo è stato introdotto il caso clinico di Roberto, il terzo contributo verrà pubblicato nei prossimi giorni

 

La sua richiesta di aiuto in psicoterapia sembra apparentemente centrata sulla difficoltà ad incontrare un ragazzo che corteggia su whatsapp, ma che non ha mai conosciuto. Per interrompere l’evitamento ed il rimuginio gli propongo di andare a conoscere il ragazzo mentre per lavoro si trova vicino alla sua città. Roberto si dichiara curioso e desideroso ma al mattino dell’incontro si dà alla fuga.

“Dottoressa, ma come potevo presentarmi? Mi vede??? Sono goffo, tozzo, grasso, più imbranato di Paperino… e poi? Mi piace, mettiamo che lui è completamente cieco e mi vuole… iniziamo a frequentarci seriamente e poi… ah scusa dimenticavo, sono sieropositivo. Per te è un problema?

Gli ho fatto pervenire i dolci, così almeno avrà un buon ricordo di me… e finiamo qui questa stupida storia. Per me è impossibile credere ancora in una relazione normale, sono un marchiato”.

In seguito a questo episodio, Roberto rivela di non sentirsi quel ragazzo appagato che aveva dichiarato di essere, ma profondamente solo, frustrato e inquieto. Dichiara che i suoi successi riguardano principalmente la sua attività lavorativa e il modo in cui si sente quando “realizza contest” per gli eventi. Ma, non solo, Roberto è una persona sensibile, affidabile e molto colta in svariati ambiti ed emerge che anche in ambito familiare, nonostante la presenza costante della sorella, sia lui il reale punto di riferimento dei genitori ai quali programma le visite ospedaliere anche al nord Italia, intrattenendo i rapporti con i medici.

Sessualità, sieropositività e timore del rifiuto

Roberto riporta in seduta numerosi episodi in cui dichiara di essersi sentito allontanato, rifiutato, sentimenti di solitudine che hanno radici lontane. Fin dalla scuola media, periodo in cui Roberto percepisce la propria personale sessualità, dichiara di aver subito atti di bullismo, di essere stato etichettato come “checca”, di essersi sentito indegno anche per caratteristiche fisiche di sovrappeso, di essere stato un bambino timido, pieno di vergogna, spesso compiacente per paura dell’abbandono dell’altro o della critica, di essersi sentito costantemente fuori dai gruppi, escluso, profondamente triste e solo. Emerge un sé non amabile, debole, con aspettative di abbandono o rifiuto che lo portano a nascondere aspetti ritenuti negativi e incomunicabili per non recare mai disturbo agli altri. Anche nel lavoro, in realtà, cerca sempre di accontentare i clienti anche nelle richieste più improbabili e assurde che gli costano sacrificio e fatica, esponendolo a stanchezza e dolorose cefalee. In questo quadro arriva poi la notizia della sieropositività che contribuisce sempre più a elicitare in lui schemi disfunzionali di lettura della realtà solo in termini di perdita, rifiuto e paura dell’abbandono, confermando una rappresentazione di sé come non degno di amore.

Grazie a questi episodi è ora possibile formulare in modo congiunto il seguente schema interpersonale: Roberto desidera essere visto, amato ed accettato. Cova però una immagine nucleare di sé come indegno e difettoso. Come risposta dell’altro teme la critica e l’abbandono e tende ad interpretare il comportamento altrui come segnale di rifiuto. Le sue reazioni emotive alla risposta dell’altro sono principalmente tristezza e vergogna ed utilizza l’evitamento ed il segreto per gestire la situazione, amplificando di fatto l’autostigma e la condizione di segretezza, nonché la costante paura della reazione dell’altro. In terapia, il paziente è aiutato a formare una metarappresentazione in cui riconoscere che la sua credenza può essere parzialmente vera, ma riflette anche un suo schema in cui si sente costantemente rifiutato e criticato, uno schema fondato su memorie di figure di riferimento ingiuste ed episodi traumatici.

Nel corso di questi anni, Roberto si è sentito troppo spesso sbagliato e ha reagito agli eventi della vita, evitando di mostrarsi davvero per come è. Molte volte, nelle relazioni, ha compiaciuto gli altri per paura della critica, altre volte è scappato via, ma la sua speranza di essere accettato e amato è viva ed è presente in terapia. L’obiettivo concordato è, quindi, di esporsi a nuove esperienze per riflettere sulle consapevolezze raggiunte. Decidiamo di ridurre le passeggiate in solitudine e di iniziare a coltivare le amicizie, è possibile ricavare dei piccoli spazi magari limitando il sovraccarico di lavoro e sottraendosi alle faccende di casa durante il week-end.

Roberto si apre a nuove esperienze: si iscrive in palestra, conosce nuove persone, parte in viaggio in Sardegna con un nuovo gruppo di amici, esperisce sentimenti di appartenenza al gruppo e in alcuni momenti si sente sostenuto e aiutato. Riesce a dire dei no ad alcuni clienti estremamente esigenti senza per questo sentirsi un fallito. Tuttavia, Roberto non intende esporsi a situazioni più critiche, continua (nel corso del tempo) a non comunicare a nessuno la propria sieropositività per quanto sia un suo desiderio, né tantomeno intende iniziare relazioni affettive.

L’intervento sulla storia di abuso

Roberto dichiara: “Forse è il caso di parlare di quella storia di mio fratello: quando non c’erano i miei, mio fratello più grande veniva nel mio letto e mi chiedeva dei rapporti… io gli dicevo sempre sì. Quando sono diventato più grande, fino a 13 anni, lui mi cercava ancora e per me era diventata un’abitudine, era tutto quello che avevo, anche perché a scuola ero grassoccio, mi piacevano già i maschi ma tutti mi allontanavano. Poi una notte lo cercai io, era il giorno prima della mia comunione, mi ricordo che mi disse: ”Basta, che schifo, adesso ti devono piacere le ragazze, non lo vedi che io ho una fidanzata? Cercati una fidanzata anche tu!’ Non posso dirle come mi sono sentito… È qualcosa di inenarrabile, mi sentivo sporco, sbagliato… ho provato un senso di disgusto per me stesso angosciante e implacabile”.

Roberto ha paura del dolore ma vuole rivivere quelle scene nucleari, mi chiede di ritornare in quei luoghi. Lo facciamo attraverso tecniche immaginative, ci torniamo più volte, s’interrompe spesso per via del pianto. Spesso mi chiede di fermarci. Dedichiamo varie sedute a questo episodio. Dapprima rievocandolo, poi pianificando un intervento con rescripting e cercando di rifletterci.

Si rende conto che quei sentimenti di indegnità che lo hanno accompagnato per tutta la vita hanno molto a che vedere con quell’episodio. Attraverso l’uso dell’imagery, il paziente riesce a visualizzare “il piccolo Roberto”, vede sé stesso con un fiocco azzurro al collo che ricollega al suo stesso pigiama pieno di fiocchetti azzurri, e con una grande lacrima nel viso, immobile mentre viene rifiutato e disprezzato (tra gli episodi relativi all’abuso, vuole parlare solo dell’ultimo in cui è stato rifiutato e che riferisce essere il più doloroso).

L’impatto dell’imagery determina un senso di nausea in lui, dolori addominali e incremento della frequenza cardiaca, emozioni di tristezza, vergogna e disgusto per sé stesso emergono in maniera tumultuosa. Mentre si visualizza, riporta dolore, disperazione e accede alla parte di sé sottostante lo schema: “sono un bambino solo, impotente, incapace di esprimere i suoi reali desideri”.

Gli chiedo se possiamo fare entrare qualcuno nella scena che lo aiuti a non sentirsi così disperato. Roberto decide di far entrare sé stesso adulto, non chiede niente, solo essere abbracciato e accarezzato. Non vuole sentire nient’altro, soltanto il senso di protezione e calore dell’abbraccio che lo allontana dalla solitudine e dall’umiliazione.

La volta successiva mi dirà che quell’episodio accaduto nel primo ambulatorio qualche anno prima, non era esattamente come lo aveva riportato. La verità era che non aveva mai realmente subito episodi di discriminazione in ospedale, semplicemente una volta saputa la notizia della propria sieropositività è caduto a terra e avrebbe tanto voluto un abbraccio rassicurante, qualcuno che lo raccogliesse con affetto, ma i medici non erano stati così accudenti. In realtà, nella sua storia non aveva mai subito atti di discriminazione e questo rinforza che le sue idee non dipendessero dal trauma delle prime relazioni una volta conosciuta la diagnosi, ma da schemi pre-esistenti, rinforzati dalla scoperta della malattia.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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