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Relazione tra situazioni di emergenza, stili di coping e religione/spiritualità

Quale relazione c'è tra le strategie di coping e la situazione di stress causata dal Covid-19? E, nello specifico, qual è stata l'influenza della religione?

Di Paolo Soraci, Fulvia Lagattolla, Elena Del Fante, Francesco Antonio Abbiati, Grazia Parente, Roberta Cimaglia, Rosanna De Pace, Antonino Urso

Pubblicato il 16 Nov. 2021

L’obiettivo dello studio è stato quello di verificare se durante l’emergenza Covid-19 la religione e la spiritualità potessero incidere in modo significativo sull’efficacia delle strategie di coping impiegate.

 

Introduzione

Lo studio dei rituali e delle pratiche religiose è stato argomento di interesse della psicologia sin dai suoi albori. Tuttavia, la religione viene spesso sottovalutata all’interno del dominio clinico. I dati empirici indicano, infatti, che aspetti specifici della religiosità sono correlati allo stato di salute mentale (James & Wells, 2003). William James, nel libro The Varieties of Religious Experience (1902), definì la religione e la fede come degli strumenti ottimali per migliorare e prevenire alcune forme di malattie (James, 1961). Una malattia, causando un disturbo nella dimensione bio-psico-sociale, influenza le altre dimensioni ed è per questo che una cura efficace deve considerare tutte le dimensioni e la relazione tra loro. Il modello biopsicosociale-spirituale considera, infatti, l’intera esistenza di una persona e invita gli operatori sanitari a tenere conto dell’intera persona (Besharat, Ramesh & Moghimi, 2018). Anche l’OMS (Organizzazione mondiale della salute) sottolinea l’importanza degli effetti della dimensione spirituale sulla salute generale e sulla felicità delle persone (Besharat, Ramesh & Moghimi, 2018).

Religione e spiritualità

Il termine religione fa riferimento a tutti gli aspetti delle relazioni umane con il divino o il trascendente (James, 2009). L’adesione a una religione implica un’esperienza condivisa di spiritualità che si esprime con l’appartenenza a una comunità, mediante l’utilizzo di un insieme di ritualismi e pratiche formalizzate. La religiosità è, di fatto, un costrutto multidimensionale e, per questo, diversi aspetti possono essere esaminati in relazione alla salute (Lewis, Lanigan, & Stephen de Fockert, 1997; Dreger, 1952; Hackney & Sanders, 2003).

Oltre che sul termine “religiosità”, è bene soffermarsi sul concetto di spiritualità, spesso erroneamente considerato sinonimo. La spiritualità è un concetto al di là della religione e dell’adesione religiosa (Besharat, Ramesh & Moghimi, 2018). Nel linguaggio comune esso è considerato come ricerca del trascendente. Il termine spiritualità fa riferimento all’esistenza di un livello per l’appunto spirituale, che può includere la fede in poteri soprannaturali (come la religione), ma sempre tenendo in considerazione il valore personale e fenomenologico dell’esperienza (Rizzuto, 2005). L’esistenza di una spiritualità soggettiva non implica necessariamente la presenza di una dimensione religiosa: di fatto, la spiritualità può esistere anche in assenza di ritualismi specifici. La spiritualità può essere vista come un “modo d’essere” che denota un’attenzione per un piano dell’esistenza non esclusivamente materiale.

In letteratura si è osservata una correlazione moderata tra religione e spiritualità nel miglioramento dello status di salute psicofisico (Rizzuto, 2005).

Risulta, quindi, necessaria una struttura di ricerca che si mantenga ben definita nel tempo, per delineare le specifiche variabili che in una persona religiosa possono essere correlate alla salute.

La religione può promuovere l’autocontrollo e la capacità di autoregolazione, influenzare il modo in cui gli obiettivi vengono selezionati, perseguiti e organizzati (McCullough & Willoughby, 2009).  La letteratura suggerisce una correlazione tra longevità, salute e adesione a una comunità religiosa (Hummer, Rogers, Nam & Ellison, 1999). Si è osservato inoltre che, in studenti universitari con impegni religiosi, i livelli di benessere psicologico fossero significativamente maggiori rispetto ai colleghi non religiosi. (Bonderud, & Fleisher, 2004) (12). Ancora, la religione sembra promuovere un minor consumo di alcool e tabacco (Turner-Musa & Lipscomb, 2007) e favorire una miglior gestione di diagnosi ospedaliera (National Cancer Institute, 2007), migliorando dunque la capacità di affrontare una malattia e l’eventuale recupero (Besharat, Ramesh & Moghimi, 2018).

Kendler, Gardner e Prescott (1997) evidenziarono come la religiosità sia correlata a livelli minori di ansia e di paura della morte, soprattutto nei soggetti di sesso femminile che partecipano attivamente alle funzioni religiose. Altri studi hanno, inoltre, dimostrano come le persone religiose possano superare più agevolmente un’esperienza traumatica, rispetto a soggetti non religiosi (Strawbridge, Cohen, Shema & Kaplan, 1997).

In contrapposizione al concetto di religiosità, è bene definire i concetti di Ateismo e di Agnosticismo. L’enciclopedia Garzanti di filosofia (Garzanti, 1981) definisce l’ateismo come “la posizione di chi non afferma l’esistenza di Dio”, opposta al teismo in generale. Si definisce ateo chi non crede in alcuna divinità negandone la pretesa specifica di esistenza come realtà trascendente l’uomo (Cliteur, 2009). Il termine Agnostico è, invece, definibile come un atteggiamento di sospensione del giudizio rispetto a un problema (in questo caso, l’esistenza o meno di una dimensione divina) per mancanza di sufficiente conoscenza.

Coping Religioso

A seguito di un evento stressante, i soggetti con religiosità elevata ricorrono ad uno stile di coping più funzionale per affrontare le difficoltà, trovando supporto nelle loro comunità religiose di appartenenza (Greenberg & Witzum, 2001; Koenig, McCullough & Larson, D.,2001; Salsman, Brown, Rechting, & Carlson, 2005) o mediante comportamenti, come preghiere o gestualità con significati intrinsechi, atti a ridurre lo stress. La religione, dunque, può essere un fattore protettivo anche in situazioni drammatiche o stressanti, incidendo positivamente sulla salute psicologica e fisica dei soggetti e divenendo, all’occorrenza, un vero e proprio stile di coping.

Il termine coping (traducibile dall’inglese come “strategia di adattamento”) viene definito da Lazarus (1984) come l’insieme di meccanismi cognitivi e comportamentali messi in atto dagli individui per fronteggiare lo stress o situazioni particolarmente difficili (Lazarus & Folkman, 1984). Questi meccanismi intrapsichici non si limitano solo alla capacità dell’individuo di risolvere una determinata situazione problematica, ma anche e soprattutto alla capacità di gestione delle emozioni scaturite dalla situazione (Taylor & Stanton, 2007). Infatti, lo scopo delle strategie di coping è di ridurre o tollerare lo stress ed il conflitto (Lazarus & Folkman, 1984), con un conseguente impatto significativo sulla salute mentale e fisica.

Pargament definì il costrutto multidimensionale di coping religioso riferendosi a tre particolari strategie che possono essere utilizzate (Hathaway & Pargament, 1990). Queste possono essere connesse e focalizzate sulla risoluzione del problema, sulle emozioni e sui fattori e dimensioni collegati. In linea generica, possiamo ricondurre il modo di usare il coping religioso a tre comportamenti prototipici. Il primo riguarda le strategie utilizzate dall’individuo che coinvolge altri membri di una determinata istituzione religiosa e tutte le pratiche ad essa connesse (ad esempio volontariato ed assistenza nella chiesa che si frequenta). Il secondo tipo si riferisce o all’uso della preghiera o lettura e studio delle sacre scritture; infine, l’ultima tipologia di coping riguarda la meditazione o contemplazione (Davis, Nolen-Hoeksema & Larson, 1998; Spilka & Schmidt, 1983; Gall, 2003). La religione potrebbe dunque, prevenire la depressione, la frustrazione, l’autolesionismo e le tendenze suicide, facilitare la gestione delle emozioni negative e aiutare la persona nei periodi di difficoltà (Besharat, Ramesh & Moghimi, 2018).

Situazione di Emergenza-Covid-19

L’11 marzo 2020, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha dichiarato lo stato di emergenza a causa della pandemia per il COVID-19. Il nuovo virus, i cui sintomi includono febbre, stanchezza, tosse secca, mialgia e dispnea (Wang, Hu, Hu, Zhu, Liu et al., 2020), ha colpito l’essere umano in 135 paesi dal 14 marzo 2020 (World Health Organization, 2020). Vista la natura di trasmissione del nuovo virus tramite droplets durante uno stretto contatto non protetto con soggetti infetti (Nussbaumer-Streit, Mayr, Dobrescu, Chapman, Persad, Klerings, Wagner, Siebert, Christof, Zachariah & Gartlehner, 2020), per contrastarne la diffusione si è resa necessaria la sospensione di numerose attività commerciali, educative e non di prima necessità, come anche i luoghi di culto, per diversi paesi, fra cui l’Italia. Infatti, la popolazione italiana è stata invitata e forzata in uno stato di isolamento e di distanziamento sociale e, ove possibile, è stato chiesto di svolgere le proprie attività lavorative in una modalità differente (es. smartworking).

Studi svolti su precedenti epidemie e pandemie hanno evidenziato come alcuni aspetti psicologici dell’individuo si trovino spesso in comorbilità con la paura, come ansia, depressione, qualità del sonno peggiorata e fobie che possono influenzare negativamente la qualità della vita delle persone (Ford, Yolken, Dickerson, Teague, Irwin, Paulus & Savitz, 2018).

Le caratteristiche della malattia (e.g: la velocità e le modalità di trasmissione, la sua morbilità e mortalità, l’incertezza sugli esiti), il lockdown imposto dai governi per proteggere la salute della popolazione e i danni economici lavorativi conseguenti al lockdown stesso, possono portare ad una percezione di paura (Guan, Ni, Hu, Liang & Zhong, 2020), un aumento di sentimenti di stress e ansia (Akhigbe, 2020). A tal proposito, è stata rilevata una significativa correlazione tra livelli d’ansia e pandemia, sia nei pazienti sintomatici che asintomatici. Ciò potrebbe, inoltre, influire negativamente sulla salute mentale dei pazienti affetti da Covid-19 (Akhigbe, 2020). Una recente review ha evidenziato, infatti, che la quarantena può avere effetti psicologici negativi come sintomi di stress post-traumatico, confusione e rabbia, che possono portare conseguenze psicologiche a lungo termine (Brooks, 2020). Si è osservato, inoltre, un generale decremento della qualità del sonno.

Alla luce di queste considerazioni, l’obiettivo del presente studio è di indagare la possibile relazione che intercorre tra le strategie di coping e la gestione della situazione di stress causata dalla pandemia COVID-19, la quale ha costretto la popolazione italiana ad una situazione di distanziamento sociale e di isolamento. Nello specifico, è stata valutata l’efficacia di uno stile di coping religioso nella situazione di emergenza dovuta alla pandemia.

Sono stati misurati gli stili di coping mediante i cinque fattori del test COPE-NVI 25 (Caricati, Foà, Fruggeri &Tonarelli 2015): Orientamento Trascendente, Evitamento, Orientamento al Problema, Ricerca supporto sociale, Attitudine Positiva e la situazione di difficoltà dovuta alla pandemia da COVID-19.

Strumenti Utilizzati

Domande socio-demografiche: il questionario comprendeva domande relative agli aspetti sociodemografici dei partecipanti (ad es. sesso, età e livello di istruzione). Inoltre, è stato chiesto ai soggetti di valutare la qualità del sonno durante questo periodo di quarantena con la seguente domanda: “Come valuti la tua qualità del sonno? (Considerando gli ultimi 15 giorni?)”, valutata su una scala di tipo likert da 0 a 3 punti, dove 0 è molto scarsa e 3 è molto buona. Abbiamo inserito questa domanda, in quanto la qualità del sonno (e della vita in generale) sono state messe in relazione in precedenti ricerche descritte nell’introduzione.

Domande specifiche su Religione e Preoccupazione per il Covid-19. Sono state poste due domande specifiche, ideate ad-hoc per questo studio per indagare il tipo di religione (Ateo, Credente, Agnostico) e la preoccupazione percepita riguardo il Covid-19 (Poco preoccupato, Moderatamente preoccupato, Molto preoccupato). Le domande poste sono le seguenti: “Rispetto alla situazione che stiamo vivendo oggi (quarantena e Covid-19) ti senti: Poco preoccupato, Moderatamente preoccupato, Molto preoccupato” e “Il tuo orientamento Religioso/Spirituale? Ateo, Credente/Spirituale, Agnostico”. Vista la natura esplorativa del presente studio, gli autori hanno preferito non diversificare per tipo di religione (come ad esempio cattolica) o credenza spirituale ma creare solamente le tre macro-categorie evidenziate.

COPE-NVI 25: Il test COPE-NVI (Carver, Scheier & Weintraub,1989) è uno strumento largamente utilizzato in ambito italiano per la misurazione degli stili di coping (versione italiana a cura di Caricati, Foà, Fruggeri, Tonarelli, 2015). Esso è composto da 25 Item e valuta 5 dimensioni (Strategie di evitamento, Orientamento trascendente, Attitudine positiva, Sostegno sociale, Orientamento al problema). Un punteggio più elevato in un fattore indica lo stile di coping utilizzato dal soggetto. Ogni item sulla misura è valutato su una scala a 5 punti (0 = Mai; 1 = Occasionalmente; 2 = Qualche volta; 3 = La maggior parte del tempo e 4 = Sempre). Esempi di item sono “Cerco qualcosa di positivo in ciò che è accaduto”; “Ripongo la mia speranza in Dio”. Nel nostro studio la coerenza interna, misurata con l’alfa di Cronbach era di 0.86. La scelta di questo strumento è dovuta alla capacità dello stesso di misurare gli stili di coping in funzione degli obiettivi dello studio (nello specifico la capacità di misurare lo stile di coping trascendente).

Fear of COVID-19 Scale (FCV-19S): Il test FCV-19S (Ahorsu, Lin, Imani, Saffari, Griffiths & Pakpour 2020) è costituito da una scala di sette item che valuta la Fear of COVID-19 (versione italiana analizzata da Sorac., Ferrari, Abbiati, Del Fante, Pace, Urso & Griffiths, 2020). I sette item (ad esempio, “Ho molta paura del Covid-19”) sono segnati tra 1 (fortemente in disaccordo) e 5 (fortemente d’accordo) con punteggi che vanno da 7 a 35. Più alto è il punteggio, maggiore è la paura di Covid-19. Nel nostro studio la coerenza interna, misurata con l’alfa di Cronbach era di 0.84. Questo strumento è stato scelto in quanto riesce a dare un risultato quantitativo sulla paura specifica da Covid-19.

La misura di gravità per fobia specifica — Adulto (GFS-A Craske, Wittchen, Bogels, Stein, Andrews & Lebeu 2013) è una misura in 10 item che valuta la gravità della fobia specifica in soggetti di età pari o superiore a 18 anni (versione italiana: Fossati, Borroni e Del Corno, 2015). Ogni item chiede all’individuo di valutare la gravità della sua fobia specifica negli ultimi 7 giorni. Ogni item sulla misura è valutato su una scala a 5 punti (0 = Mai; 1 = Occasionalmente; 2 = Qualche volta; 3 = La maggior parte del tempo e 4 = Sempre). Il punteggio totale può variare da 0 a 40 con punteggi più alti che indicano una maggiore gravità della fobia specifica. Esempi di item sono “… ho avuto momenti di improvviso terrore, paura o angoscia in queste situazioni” e “… ho avuto bisogno di aiuto per far fronte a queste situazioni (per es., con alcol o farmaci, oggetti portafortuna o altre persone).”. L’alfa di Cronbach nel presente studio era 0.81 Questo strumento è stato scelto in quanto la Fobia è una particolare tipologia di Paura ed è quindi stata utilizzata per avere uno strumento di convergenza nelle analisi statistiche.

Adult PROMIS Emotional Distress / Anxiety-Short Form (APEDA-SF): L’APEDA-SF in sette item (Pilkonis, Choi, Reise et al., 2011; versione italiana: Fossati, Borroni e Del Corno, 2015) valuta l’ansia tra soggetti di età pari o superiore a 18 anni. I sette item (ad es. “Mi sento ansioso”) sono valutati su una scala da 1 (mai) a 5 (molto frequentemente) con punteggi che vanno da 7 a 35, con un punteggio più alto che indica un livello più alto di ansia. Nel nostro studio la coerenza interna, misurata con l’alfa di Cronbach era di 0.91. Questo strumento è stato scelto in quanto l’Ansia è stata, nelle precedenti ricerche, una variabile presente nelle situazioni di Paura e di situazioni particolarmente stressanti, come quella della pandemia da Covid-19.

 

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Discussione

L’obiettivo di questo studio di ricerca era di verificare se durante l’emergenza Covid-19 l’appartenenza a un credo religioso o meno potesse incidere in modo significativo sull’efficacia delle strategie di coping impiegate, sull’ansia/paura Covid-19 e sulla fobia specifica. Nello specifico, sono stati valutati i punteggi nei test riguardanti l’ansia generalizzata, la fobia specifica, la paura per il Covid-19 e il tipo di coping (riferito al test COPE-NVE-25). I risultati dimostrano che nella maggior parte dei test, l’essere Credente/Spirituale, Agnostico o Ateo non porta ad una differenza significativa tra le medie. Contrariamente all’ipotesi iniziale, nei test APEDA-SF e GFS-A riguardanti l’ansia e la fobia specifica non si è osservata una differenza significativa tra le medie, in nessuno dei tre gruppi di soggetti. Solo nel test della paura per COVID-19 (FCV-19S) si è osservata una differenza significativa tra Agnostici e Credenti (con i Credenti con una media più elevata) ma non tra Atei e Credenti/Spirituali o Atei e Agnostici. Per quanto concerne il Coping, in quattro dei cinque fattori del test COPE-NVE 25 (Strategie di evitamento, Attitudine positiva, Sostegno sociale, Orientamento al problema) non sono state osservate differenze statisticamente significative tra i diversi gruppi (Ateo/Agnostico/Credente). Questi risultati potrebbero essere spiegati dall’unicità della condizione in cui si è svolto lo studio: l’inaccessibilità ai luoghi di culto per via dell’epidemia di Covid- 19 ha reso impossibile l’aggregazione comunitaria tipica di molte religioni teiste, la quale potrebbe rappresentare uno dei “punti forti” nel rafforzamento delle strategie di coping individuali. Di fatto, l’emergenza Covid-19 anche in Italia ha causato l’interruzione delle pratiche religiose in tutti i luoghi di culto (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Decreto 8 marzo 2020).

L’unica differenza significativa è stata trovata in uno dei cinque fattori (Orientamento Trascendente) tra il gruppo dei Credenti/Spirituali e i gruppi Atei/Agnostici. Tale risultato è in linea con le nostre ipotesi di partenza, e suggerisce che i Credenti potrebbero trarre beneficio dall’affidamento alle credenze relative all’esistenza di una divinità nelle situazioni di emergenza. Infatti, in diversi studi qualitativi dei bisogni durante l’emergenza Covid-19 (Maslow, 1943; Poston, 2009; Frankl, 1996; Wesley, Wildman, Bulbulia, Sosis, & Schjoedt, 2020), si evince che il bisogno maggiormente espresso risulta essere quello di sicurezza, e nel caso dei Credenti/Spirtiuali verso un’entità superiore. Per sopperire a questa mancanza (accessibilità nei luoghi di culto) sono stati attivati dei servizi on line delle pratiche religiose comunitarie e questo ha permesso di mantenere il contatto con la propria sfera religiosa/spirituale e quindi utilizzare maggiormente lo stile di coping trascendente, rispetto agli altri (Wesley, Wildman, Bulbulia, Sosis, & Schjoedt, 2020)

Per quanto riguarda la qualità del sonno, essa non sembra essere influenzata dal tipo di orientamento religioso, ed in generale tutti e tre i gruppi hanno avuto una media bassa nella qualità del sonno percepito. Nello specifico, essa è correlata negativamente e in modo significativo sia al test dell’Ansia, sia al test della Fobia specifica ed è correlata negativamente ma non in modo significativo alla paura del Covid-19. Infatti, in una situazione di particolare ansia la qualità della vita in generale diminuisce (Terri. Barrera & Norton, 2009).

Il presente studio non è esente da limiti. Innanzitutto, non è stato possibile delineare una differenza netta tra “spiritualità” e “religiosità” all’interno del questionario. Di fatto, benché siano termini facilmente confondibili, l’esistenza di una spiritualità non presuppone necessariamente l’appartenenza a comunità religiosa, ma si rifà più che altro al concetto di “trascendenza” e di estensione verso l’immaterialità. Inoltre, la categoria “credenti” non include necessariamente l’appartenenza a una comunità religiosa (es. cattolici non praticanti) e quindi non coinvolge in maniera univoca tutti quei ritualismi tipici che potrebbero fornire un coping religioso più efficace.

Ricerche future potrebbero per l’appunto fornire una descrizione più accurata delle differenze che esistono tra soggetti Religiosi/Credenti e soggetti “Spirituali” non Religiosi, così come per distinguere tra soggetti “Praticanti” e “non Praticanti” per aiutare i soggetti sperimentali a inserirsi più agilmente in una delle categorie proposte. A tal proposito, suggeriamo la possibilità di integrare un questionario iniziale che indaghi per l’appunto l’orientamento religioso/spirituale e inserisca ogni soggetto sperimentale all’interno di una delle categorie proposte. Inoltre, studi futuri potrebbero includere un campione più vario di religioni presenti sul territorio nazionale (e.g: Cristiani Ortodossi, Induisti, ecc..). Infine, i prossimi studi potrebbero tentare di identificare le differenze qualitative negli stili di coping per le religioni più diffuse. Inoltre, sarebbe utile tentare di estrapolare alcune caratteristiche pregnanti tra le religioni stesse (e.g: aggregazione, ritualismi, meditazione,) per poter capire quali di questi stili di coping religioso possono essere più o meno efficaci.

 

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