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Processi e relazioni in terapia cognitiva: sviluppo storico e scenari futuri – Lectio Magistralis di Giovanni Maria Ruggiero

Il Forum di Riccione si apre con la Lectio Magistralis di Giovanni M. Ruggiero: Processi e relazioni in terapia cognitiva- sviluppo storico e scenari futuri

Di Marina Morgese

Pubblicato il 10 Mag. 2019

Ha avuto inizio stamattina il tanto atteso Forum di Studi Cognitivi a Riccione. Perché tanto atteso? Perché come ogni due anni gli studenti di tutte le sedi del circuito Studi Cognitivi si incontrano per presentare le loro ricerche e discuterne i risultati con i colleghi. E cosa c’è di meglio di formarsi e aggiornarsi in un clima di vivace convivialità?

 

Ad aprire le danze non poteva non essere uno dei pilastri del mondo di Studi Cognitivi, il dott. Giovanni Maria Ruggiero, che conduce la sua lectio magistralis dal titolo Processi e relazioni in terapia cognitiva: sviluppo storico e scenari futuri.

Le primissime battute in realtà sono quelle di Sandra Sassaroli, direttrice di Studi Cognitivi, che, al grido di “E che i giochi comincino” ha ringraziato i partecipanti e ha presentato Giovanni Maria Ruggiero, suo collaboratore da anni, definito dalla stessa “la persona con più sapienza che conosco”.

La Lectio Magistralis di Ruggiero è un entrare nel vivo di un percorso bibliografico e interpretativo dei mutamenti della psicoterapia, in modo particolare della Terapia Cognitiva.

Terapia cognitiva: un quadro frammentato

Perché se parlando di Terapia Cognitiva si crede di parlare di un ambito terapeutico unanime, ci si sbaglia e non poco. Il quadro è frammentato più di quel che si pensi: fin dai primi anni ’90 erano già evidenti i primi disaccordi. Anche i contributi degli stessi pionieri della terapia cognitiva ci mostrano un quadro variegato: Albert Ellis con la Rebt, Aaron Beck con la terapia cognitiva standard e infine George Kelly col costruttivismo.

Comprendere la frammentazione è l’unica strada per trovare una soluzione condivisa. E così, sulla scia di tanto cognitivismo, il Dott. Ruggiero si pone e pone una domanda: cosa si pensava di sapere sulla terapia cognitiva? Si può distinguere ciò che pensavamo di sapere ma non avevamo capito (the unknown known) e ciò che si pensa di aver capito ma non sapevamo (the known unknown). L’effetto dell’ unknown known è stato quello di evidenziare tante correnti ma compatibili; il risultato del known unknown invece è l’accorgersi, dopo aver a lungo studiato, che le differenze all’interno della terapia cognitiva diventano troppe, come ad esempio la stessa discontinuità clinica e teorica tra psicoterapia cognitiva e comportamentismo o tra le diverse procedure (differenti e non compatibili) delle varie terapie cognitive.

CBT, Hogwarts e Grifondoro

Chi conosce Giovanni Maria Ruggiero sa che le sue presentazioni hanno sempre un tocco di ironia e anche oggi non si è smentisce con il suo rimando a Harry Potter (con tanto di immagini della sala grande di Hogwarts sulla slide proiettata) fatto per illustrare come una certa posizione di riguardo, la “grifondoro” della terapia cognitiva, inizialmente è spettata alla CBT standard di Beck che, insieme a Clark, Fairburn e Salkoviskis è stata considerata, con ottime ragioni, uno strumento più efficiente di altre terapie per trattare almeno alcuni disturbi. Quasi una bacchetta magica. Una bacchetta che era magica davvero, sia chiaro, anche se però qualche dubbio si nutriva sui limiti di applicabilità clinica in pazienti non selezionati per la ricerca.

Diversi ricercatori e clinici sono ripartiti da qui e i loro contributi sono diventati storia. Buona parte di questa storia è merito di clinici italiani, tra cui Guidano, Liotti, Sassaroli, Lorenzini e Semerari che con i loro contributi hanno avuto un impatto sul pensiero di Judith Beck e sullo stesso Salkovskis.

La terapia cognitiva e quella tentazione neoromantica

Per aggirare tale difficoltà ci si è lasciati trasportare da una tentazione neoromantica secondo cui tale terapia non potesse sottoporsi a prova scientifica. Una successiva corrente aggira questa tentazione tentando di concettualizzare aree della mente non razionalizzabili e l’incontrollabilità degli stati emotivi “caldi” non padroneggiabili attraverso un approccio pragmatico e razionale. Questa operazione fu effettuata riscoprendo un concetto ambiguo, naif e poco scientifico: l’esperienza emozionale correttiva (già evidenziato da Alexander nel 1946) che può avvenire in seduta. Uno degli argomenti di questa visione era la supposta esistenza di pazienti gravi o difficili, su cui la CBT standard è stata definita come non efficace. Ci si è quindi posti l’obiettivo di affrontare questo nodo cercando di integrare nella terapia cognitiva le storie di vita e gli interventi non razionalistici di tipo relazionale ed esperienziale.

Relazione e verdetto del Dodo

Giustificando la vicinanza agli interventi relazionali, continua Giovanni Maria Ruggiero, ci siamo fatti influenzare dalla teoria dei fattori comuni che sostiene come tutte le psicoterapie funzionano sulla base di fattori comuni di tipo tendenzialmente relazionale. Una sorta di verdetto del Dodo: hanno vinto tutti. La vittima di tale verdetto? La CBT!

Si è assistito dunque a un iniziale periodo in cui la CBT si mostra “vincente” per proseguire con la parità sancita dal verdetto del Dodo, il quale però sposta la CBT alla posizione di perdente. E come è possibile perdere se si pareggia?

Sebbene il verdetto del Dodo abbia negato la superiorità della CBT, non ne ha mai dimostrato l’inefficacia con i pazienti difficili. Eppure la visione della CBT come terapia inefficace per i disturbi più gravi si diffonde e non tramite riviste scientifiche di un certo spessore. E, il dott. Ruggiero ci avverte, sappiamo benissimo quali possono essere (e sono state) le conseguenze delle “chiacchiere da bar”

CBT e relazione

Si dice che la CBT sia meno efficace perché trascura relazione. Ciò che però si ignora è il fatto che la CBT prende in considerazione la relazione nei termini di formulazione condivisa del caso e socializzazione. Anche nella procedura REBT ci sono aspetti relazionali da non trascurare, in due fasi ben precise: nella connessione tra B e C e nella negoziazione della F. Quindi, sebbene l’enfasi alla relazione sia minore, non possiamo scambiare la minore quantità con la trascuratezza: la relazione in CBT ha un senso strategico e scientifico. E’ anenfatica, è signiticativa ma non risolutiva. Al contrario il rischio sarebbe quello di un eclettismo che causa confusione teorica e procedurale.

Verso nuovi sviluppi

Cosa proporre dunque? Innanzi tutto bisogna dare centralità alla formulazione del caso come tratto principale delle psicoterapie cognitive. Le psicoterapie cognitive, in particolare la CBT classica, hanno denominato e trattato gli aspetti relazionali secondo terminologie, procedure e concettualizzazioni peculiari che è bene studiare nella loro specificità intrinseca e coerente con la concezione cognitiva: formulazione condivisa del caso e del razionale degli interventi, socializzazione e apprendimento biografico del problema. La LIBET ha come obiettivo proprio questo: formalizzare e protocollare questi interventi secondo procedure replicabili. Dare centralità alla formulazione del caso evita inoltre di farci scivolare in un eclettismo teorico che ci fa dimenticare le peculiarità strategiche del paradigma clinico cognitivo e in un eclettismo clinico che assembla tecniche estranee e incompatibili tra loro, rinunciando così alla sfida dell’incremento dell’efficacia.

Ed è in questo modo che la lezione di Giovanni Maria Ruggiero si conclude: con questi suggerimenti per la ricerca e la pratica clinica future rivolte a una platea di ricercatori e clinici futuri. “E che i giochi abbiano inizio”… a Riccione, tra gli allievi di Studi Cognitivi e negli sviluppi della psicoterapia che verrano..

 

PROCESSI E RELAZIONI IN TERAPIA COGNITIVA: SVILUPPO STORICO E SCENARI FUTURI
LE SLIDES DAL CONVEGNO

 

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Marina Morgese
Marina Morgese

Caporedattrice di State of Mind

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