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Ruminazione: perché errare è umano mentre perseverare è…ruminare sull’errore

La ruminazione nello sport porta gli atleti a focalizzarsi sugli errori commessi durante la prestazione. La mindfulness può rivelarsi una grande alleata..

Di Guest

Pubblicato il 29 Mar. 2019

Maggio 2018, seconda prova di campionato regionale, coppia 4 clavette categoria junior-senior: Alice e Giulia, 13 anni, pronte a bordo pedana, buone probabilità di arrivare sul podio.

Valentina Vannucci e Alessandra Pedicelli

 

Le gambe che tremano, l’asciugamano sfregato compulsivamente tra le mani per non far scivolare gli attrezzi, le ultime rassicurazioni e gli ultimi gesti scaramantici prima dell’ingresso in pedana. Come allenatrice gestire questi momenti non è facile: contenere l’ansia delle ginnaste quando il proprio vissuto interiore è esattamente lo stesso, mostrarsi ferme e rassicuranti mentre il proprio stato d’animo è precisamente l’opposto. Serve una buona capacità di regolazione delle proprie emozioni per essere in grado di gestire anche i loro vissuti.

Ruminazione e ginnastica ritmica: accoppiata dannosa

La ginnastica ritmica è uno sport “prestazionale”: in un minuto e mezzo di esercizio, massimo due, la ginnasta, o le ginnaste, devono eseguire una serie combinata di movimenti tecnici ed espressivi, abbinati al maneggio dell’attrezzo (fune, palla, clavette, cerchio o nastro), minuziosamente scelti e adattati al ritmo e al carattere della musica. Su tale ritmo, la ginnasta deve eseguire un elemento dopo l’altro, senza sosta, mantenendo la concentrazione non solo su ogni azione motoria in sé, ma anche sulla sua specifica e corretta modalità di esecuzione. In questo complesso mix di elementi, la probabilità di incorrere in errori è estremamente alta, oltre che fatale: gli errori vengono pagati caro e spesso un solo errore può compromettere l’intera prestazione della ginnasta, facendola rapidamente scendere alle ultime posizioni in classifica.

Alice e Giulia entrano in pedana, la musica si accende ed il tempo sembra come arrestarsi: un minuto e mezzo in una “bolla spazio-temporale” estranea allo scorrere normale del tempo. Osservo da fuori i loro movimenti, un elemento dopo l’altro, guardo i loro volti concentrati, “per ora tutto bene” penso dentro di me, “ok anche il secondo scambio è andato…”, i pensieri non si fermano, le emozioni sono dirompenti ma congelate dentro di me: “per ora stanno facendo una buona prova, oggi potrebbero ottenere il risultato che meritano”. Arriva il momento del terzo scambio: Giulia lancia una clavetta troppo lontana, Alice fa qualche rapido passo per recuperarla, ma niente da fare, la clavetta cade inesorabilmente al suolo. Errore esecutivamente molto pesante. Vedo i loro volti cambiare espressione, il frettoloso recupero dell’attrezzo da terra e la consapevolezza di essere molto probabilmente già fuori dal podio. Iniziano allora a sorgere dentro di me i soliti pensieri: “E adesso? Faranno altri errori?”. Ai pensieri seguono l’ansia e la sensazione che da adesso in poi la prestazione sarà quasi sicuramente fallosa. Sensazione che in effetti viene presto confermata: Alice e Giulia incappano poco dopo in un secondo errore durante un semplice elemento di collaborazione mai sbagliato prima, ed infine terminano con una seconda perdita d’attrezzo. La musica si spenge, saluto alla giuria con gli occhi già pieni di lacrime e la consapevolezza di essersi giocate la gara per un primo errore che ha poi compromesso tutto il resto della prestazione. Un episodio che nella ginnastica ritmica si ripete spesso durante le competizioni, a prescindere dal livello tecnico e dall’età delle ginnaste.

Ruminazione: cos’è e come ci danneggia

Ma perché questo accade? Perché il primo errore di Giulia e Alice ha dato inizio ad una serie di successivi errori? Quali sono i processi psicologici implicati in questa catena di eventi?

Potremmo ipotizzare che il continuare a pensare all’errore commesso e alle sue conseguenze sulla performance possa distogliere l’attenzione dai successivi compiti motori: spostare le risorse cognitive dall’azione corrente ai pensieri negativi relativi all’errore (“adesso per colpa mia arriveremo ultime”, “ho rovinato tutto”, “non dovevo fare quell’errore”) fa conseguentemente aumentare la probabilità di cadere in ulteriori errori. Questo tipo di processo di pensiero, si definisce “ruminazione”.

La ruminazione è caratterizzata da pensieri negativi incontrollabili, ripetitivi e altamente concentrati su di sé, o su un singolo tema o avvenimento appena accaduto o relativo al passato. La ruminazione spesso ostacola le persone dal concentrarsi sui compiti contingenti poiché la mente e le risorse cognitive vengono invase da questi pensieri intrusivi relativi ad eventi o situazioni passate.

Il ruolo della ruminazione è stato indagato in diversi ambiti, non solo quello sportivo, sottolineandone principalmente gli effetti negativi su performance di diverso tipo. Secondo alcuni ricercatori però, parlare di ruminazione in termini esclusivamente negativi, risulta piuttosto riduttivo. Da uno studio di Ciarocco et al. (2010), condotto su soggetti impegnati in diversi compiti di tipo cognitivo, emerge infatti un interessante aspetto relativo alla ruminazione in seguito ad un errore: sembra che solo un tipo specifico di ruminazione, denominata state-rumination, abbia effettivamente un impatto negativo sulla performance dei soggetti coinvolti nell’esperimento, mentre una seconda tipologia di ruminazione, denominata action-rumination abbia addirittura un effetto di miglioramento della performance dei partecipanti. Ma analizziamo meglio la questione: la “state-rumination” viene definita come quel tipo di ruminazione in cui i pensieri si focalizzano sullo stato emotivo del soggetto e sulle implicazioni emotive dell’errore. Alice e Giulia in questo senso potrebbero aver avuto pensieri del tipo: “adesso ho rovinato tutto”, “mi sento in colpa, ho fatto sbagliare anche la mia compagna”, “accidenti a me, adesso andrà malissimo”. La “action-rumination”, invece, implica pensieri più strettamente legati all’azione, all’errore in sé e per sé, incentrati sul compito e su come poter risolvere gli errori appena commessi in modo da migliorare per le occasioni future. I pensieri di Alice e Giulia quindi potrebbero essere stati: “ok, ho sbagliato quel passaggio perché non ho steso bene il braccio, adesso devo ricordarmelo”, “abbiamo fatto quell’errore, non importa, adesso mi riconcentro sul resto”.

I risultati della ricerca di Ciarocco, che confermano risultati simili ottenuti da ricerche precedenti, sembrano mettere in evidenza come i pensieri relativi al proprio stato emotivo, ovvero la “state-rumination”, abbiano un impatto negativo sulla performance perché bloccano l’impiego efficiente di strategie di controllo dell’azione e di focalizzazione dell’attenzione sul compito corrente, incidono sui tempi di presa di decisione che risultano prolungati e rendono più difficile la presa di decisione tra più alternative. Al contrario, pensieri relativi al compito, “action-oriented”, risultano più funzionali alla prestazione, avendo in sé elementi di problem-solving ed essendo concentrati su aspetti più pragmatici e concreti dell’azione.

Traslando questi elementi all’ambito sportivo, ed al caso specifico delle nostre due ginnaste, possiamo ipotizzare che, in seguito al primo errore, Alice e Giulia abbiano concentrato i loro pensieri sui propri stati emotivi e sulle implicazioni emotive che il primo errore ha avuto su di loro, distogliendo le loro risorse cognitive dai successivi compiti motori richiesti. Se avessero avuto pensieri maggiormente “action-oriented”, forse i successivi errori non sarebbero stati commessi, o comunque in misura minore, riuscendo a sfruttare i pensieri relativi al primo errore al fine di non commetterne altri.

Ma come si può intervenire per aiutare gli atleti a gestire efficacemente tutti questi processi interni? Come possiamo aiutare gli atleti a rimanere concentrati sul compito e ad avere pensieri maggiormente “action-oriented”?

Ruminazione: la gestione con skill training o mindfulness

Tradizionalmente il metodo più utilizzato è stato il PST (Psychological Skills Training), basato sui principi dell’approccio cognitivo-comportamentale, applicato principalmente al fine di sviluppare una maggiore capacità di self-control sui propri processi interni sia mentali che emozionali che potevano inibire la performance degli atleti. Negli ultimi anni però, Gardner e Moore (2004) hanno introdotto una nuova metodologia di intervento basata sui principi della mindfulness, specificatamente sviluppata per il miglioramento della performance atletica come alternativa al PST.

L’approccio della mindfulness è finalizzato al raggiungimento di una consapevolezza centrata sul presente e non giudicante, relativamente a stimoli sia esterni che interni. Ciò che si vuole stimolare è una presenza più piena all’esperienza del momento, al qui ed ora, senza cercare di controllare, cambiare o evitare nessuna delle esperienze che occorrono. L’idea di fondo che ha portato all’utilizzo della mindfulness come metodologia di intervento sugli atleti, è che queste tecniche possano avere un’influenza indiretta sulla performance andando ad agire sui processi interni di ruminazione e di regolazione delle emozioni, determinanti per l’andamento della performance.

Da un recente studio di Josefsson et al. (2017), in cui veniva utilizzato un modello di intervento basato su tecniche di mindufulness su atleti professionisti provenienti da diverse discipline sportive, emerge un effetto indiretto positivo di queste tecniche sulla performance degli atleti che passa dal miglioramento delle strategie di coping messe in atto, in particolare con una riduzione della ruminazione e una migliore regolazione delle emozioni.

L’aumento della mindfulness disposizionale negli atleti sembra quindi ridurre i livelli di ruminazione e migliorare la capacità di regolazione delle emozioni, con un effetto positivo indiretto sulla prestazione sportiva. Un atleta quindi che è in grado di regolare le proprie emozioni e di diminuire i processi di ruminazione riesce a concentrare le proprie risorse cognitive e fisiche sul compito richiesto e sui comportamenti diretti all’obiettivo. Gli atleti così riescono a prendere la decisione giusta al momento giusto e rispondere in modo adattivo alle richieste: abilità fondamentali durante una performance dove l’errore è sempre dietro l’angolo, ed è necessario rispondere in modo veloce ed efficace alle nuove sfide.

 

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