Ormai giunto alla VII Edizione, il Corso Internazionale Nuove Frontiere nella cura del Trauma è il luogo di incontro di molti traumatologi italiani che seguono dal 2012 una formazione specifica sulla clinica dei Disturbi dissociativi e del Trauma Complesso.
Il gruppo segue dal 2012 questa alta formazione – da 3 anni promossa da Area Trauma fondata da Giovanni Tagliavini e Paola Boldrini – avvalendosi della presenza di formatori autorevoli nel campo del trauma e della dissociazione, come Bessel van der Kolk, Janina Fisher, Suzette Boon, Khaty Steele, Dolores Mosquera, Annabel Gonzalez, Gianni Liotti, Benedetto Farina.
Per le giornate dal 29 aprile all’1 maggio 2018, la cornice teorica di riferimento è sempre quella della Dissociazione Strutturale, mentre la struttura dei trattamenti proposti negli anni ha da sempre seguito quella del Modello Trifasico, già proposto da Pierre Janet (1898-1911) e da allora rimasto lo standard di cura più riconosciuto in Psicotraumatologia per il trattamento del Disturbo da Stress Post Traumatico Complesso e dei Disturbi Dissociativi (in Steele, Boon, van der Hart 2018).
Trauma, dissociazione ed elaborazione delle memorie traumatiche
Dopo il lavoro degli anni precedenti sulla stabilizzazione, sulla elaborazione delle fobie dissociative e sull’importanza di ottimizzare la regolazione affettiva (Fase 1), il lavoro del gruppo “veneziano” si è concentrato quest’anno sulla Fase 2 del trattamento: l’elaborazione delle memorie traumatiche. Le guide di quest’anno sono state Dolores Mosquera e Lana Epstein, alternando lavoro in plenaria e la presentazione di casi clinici tramite workshop in piccoli gruppi esperienziali.
Dolores Mosquera, ospite di tradizione della formazione veneziana, è una Psicologa e Psicoterapeuta, supervisore EMDR, terapeuta certificata Sensorimotor, lavora privatamente a La Coruña e a Santiago di Compostela, Spagna, dove ha fondato Intra-TP, un centro clinico che si occupa in particolare di trauma complesso, disturbi dissociativi e disturbi di personalità borderline e antisociali.
Lana Epstein, per la prima volta a Venezia, è una Psicoterapeuta, supervisore EMDRIA, supervisore ASCH (American Society for Clinical Hypnosis) e formatrice senior del Sensorimotor Psychotherapy Institute, vive e lavora in Massachusetts (Stati Uniti) e dedica la sua attività clinica all’applicazione di forme integrative di terapia, in particolare nel campo del trauma complesso e dei disturbi dissociativi. Ha lavorato con Janina Fisher come supervisore clinico nel Trauma Center di Bessel van der Kolk a Boston.
Il cuore di entrambi gli interventi è stato raccontare il loro lavoro clinico con i pazienti vittime di traumatizzazione cronica, nella fase di elaborazione delle memorie traumatiche, proponendo diversi metodi di intervento volti però ad un unico obiettivo: affrontare un passo alla volta il dolore legato alle esperienze traumatiche del passato, senza generare emozioni soverchianti e senza ri-traumatizzare il paziente durante il processo terapeutico stesso. Essenziale punto di partenza per questa popolazione clinica!
Elaborazione del trauma: i punti fondamentali
I comuni denominatori tra i modelli proposti da Dolores Mosquera e Lana Epstein sono stati:
- Il mantenimento costante dell’attenzione duale tra presente e passato
- Far muovere il paziente sempre dentro una “finestra di tolleranza emotiva” (Siegel, 1999) per lui/lei tollerabile
- La focalizzazione attenta sui segnali emotivi e somatici di attivazione delle difese (fight, flight, freeze, faint) come linea di confine per il lavoro di elaborazione
- Il mantenimento della Co-consapevolezza tra tutte le parti del paziente sul lavoro terapeutico
- La promozione del dialogo tra le parti dissociative sempre attraverso la mediazione dell’Adulto sano, che via via riesce a guadagnare competenza e capacità di coping per gestire il dolore all’interno del suo sistema emotivo
- La trasparenza, la chiarezza e la condivisione degli obiettivi terapeutici con il paziente
- Il rispetto della volontà, della motivazione e del livello di energia del paziente in ogni fase
- La focalizzazione molto precisa sul tema di lavoro scelto in ogni seduta, per non correre il rischio di elaborare troppi aspetti dello stesso evento, che il paziente non riesce a sopportare
- Restare curiosi di fronte ai blocchi e alle resistenze, sono solo nuovi elementi da esplorare insieme al paziente e non comportamenti da interpretare
- La flessibilità sugli obiettivi terapeutici e la disponibilità a fermarsi o tornare indietro quando emergono blocchi, fobie, nuovi conflitti o nuove parti nel corso del trattamento.
Elaborazione secondo Dolores Mosquera: le Micro-Elaborazioni
Durante i tre giorni di formazione, Dolores Mosquera ha raccontato il suo lavoro terapeutico orientato prevalentemente all’utilizzo dell’EMDR come strumento clinico di sostegno all’elaborazione. La cautela è il principio base di questa fase di lavoro: affrontare le memorie traumatiche per pazienti con Trauma complesso e Disturbi Dissociativi può essere molto soverchiante e spesso la frammentazione interna è così complessa e stratificata, da impedire la creazione di una mappa chiara e definitiva del sistema interno. Da dove si parte?
Laddove il paziente non possa tollerare il dolore o non sia possibile rintracciare un unico evento traumatico scatenante (trauma T) o il trauma sia coperto da parziale o totale amnesia, è necessario possedere strumenti specifici e procedere con metodi di elaborazione frazionata o graduale dei ricordi: le “micro-elaborazioni”. Quali dunque i possibili target per le “micro-elaborazioni”?
Spesso è necessario intervenire tempestivamente su sintomi intrusivi che invadono il quotidiano e che risultano molto invalidanti: ad esempio flash back o incubi ricorrenti che causano insonnia, fobie o evitamenti. Quando tuttavia il ricordo non è accessibile per intero, la micro-elaborazione può coinvolgere: frammenti di ricordo (fotogrammi), frammenti intrusivi che generano triggers nel presente (immagini, parole, odori, sensazioni), fobie trauma correlate (fobia del ricordo, fobia del terapeuta, fobia degli stati interni, fobia delle parti dissociative); infine possono diventare target di elaborazione aspetti periferici – e meno attivanti – del ricordo T, che condizionano però altri aspetti del presente. Quest’ultima tecnica è stata descritta e codificata come “Strategia della punta del dito” (Gonzalez e Mosquera, 2015) e consiste nel lavorare su dei target traumatici che non sono presenti nella memoria centrale del trauma, ma che si collocano alla periferia del ricordo e spesso rappresentano una conseguenza del trauma, ma non una parte stessa dell’evento.
Di particolare interesse e utilità clinica è stata inoltre la descrizione del CIPOS (Constant Installation of Present Orientation and Safety, di Jim Knipe 2008), metodo EMDR specifico che permette al paziente di esporsi al ricordo per una finestra temporale molto breve (spesso alcuni secondi), di elaborare micro-frammenti di immagini, sensazioni, pensieri o emozioni, e di tornare poi nel presente e nella percezione di sicurezza. Solo dentro la “finestra di tolleranza emotiva” è possibile infatti che avvenga l’elaborazione; se il paziente è fuori in iper- o ipo- arousal la sua mente non ha adeguate risorse per elaborare il materiale mnestico e il rischio è solo di produrre un’intensa abreazione senza processamento di informazioni.
Le fasi del CIPOS possono essere considerate un framework di lavoro da utilizzare come traccia anche all’interno di approcci terapeutici diversi dall’EMDR:
1) chiedere il Permesso al paziente per lavorare sul ricordo/frammento
2) Sviluppare un senso di sicurezza nel qui ed ora
3) Rafforzare l’orientamento nel presente
4) Utilizzare una scala di valutazione per misurare l’attenzione duale (Back of the Head Scale)
5) Iniziare il lavoro di micro-elaborazione. Il processo di elaborazione muove continuamente dalla fase 1 alla 5, finché il frammento iniziale scelto non risulta desensibilizzato e non più disturbante.
La chiarezza illuminante di Dolores Mosquera ha reso comprensibile un processo terapeutico altrimenti complesso e ricchissimo di variabili da considerare contemporaneamente, ma è evidente come solo l’esperienza e la formazione continua possano aiutare ad applicare i metodi di elaborazione in modo controllato, appropriato ed efficace. Una raccomandazione per tutte: l’EMDR è molto efficace e potente, ma va usato con l’attenzione di un “laser”: il target deve essere molto preciso, circoscritto e centrato rispetto al problema riferito dal paziente nel momento presente. Vietato improvvisare!
Elaborazione secondo Lana Epstein: la Memory Reconsolidation
Il lavoro presentato da Lana Epstein mantiene lo stesso rigore e gli stessi obiettivi clinici, ma muove dalla cornice teorica della Memory Reconsolidation (Ecker, Ticic e Hully, 2012) e predilige la Terapia Sensomotoria (SP) come metodo di elaborazione delle memorie traumatiche e delle ferite d’attaccamento. L’obiettivo di lavoro esplicito è quello di raggiungere e intercettare attraverso i frammenti sensoriali dell’esperienza presente del paziente, la memoria implicita procedurale legata ai ricordi traumatici e aiutare il paziente a letteralmente “ri-cablare” la memoria di quegli eventi, modificandone l’impatto emotivo e gli effetti sintomatici nel presente.
Il legame con le prime teorie di Pierre Janet risulta a questo proposito naturale e coerente:
I pazienti influenzati dai ricordi traumatici non sono capaci di eseguire nessuna delle azioni caratteristiche dell’Atto di Trionfo
(Janet, 1919-1925), cioè se il trauma blocca delle azioni adattive di difesa, poiché le emozioni soverchianti impediscono alla vittima di agire attivamente in favore della propria sopravvivenza, allora quelle azioni tronche possono restare bloccate nella memoria procedurale e creare sintomi e sofferenza psichica nel presente anche a distanza di anni. Un lavoro profondo sulle memorie procedurali può andare a sbloccare quelle azioni e ripristinare delle difese attive, che aiutino a modificare l’impatto del ricordo traumatico del passato sul cervello del paziente nel presente.
La ricerca sulla Memory Reconsolidation (MR) è iniziata negli anni 70 attraverso i primi studi condotti sull’ECT (Elettroshock) e ha subìto diverse battute d’arresto nel corso della sua storia, ma grazie alla ricerca neuroscientifica attuale, l’interesse clinico e dei ricercatori si è ravvivato. Il meccanismo di base della MR si incentra sulla sorprendente scoperta delle capacità del cervello di eliminare uno specifico apprendimento emozionale indesiderato (convinzioni, azioni o schemi disfunzionali), non cosciente, a livello delle sinapsi neuronali fisiche che lo codificano nella memoria emozionale. La cancellazione di quell’apprendimento emozionale disfunzionale che sta alla base di un particolare sintomo, permette di eliminare il sintomo alla radice (Ecker, Ticic e Hully, 2012). Secondo la MR è possibile riscrivere delle esperienze emotive del passato incorporando nuovi elementi in quella traccia mnestica legata all’esperienza negativa e traumatica (Lana, Ryan, Nadel, Greenberg 2015).
Il lavoro terapeutico presentato da Lana Epstein è completamente coerente rispetto a questi modelli teorici e la Terapia Sensomotoria (SP) offre lo strumento clinico ideale per accedere a questo livello di memoria implicita. Il suo metodo è il risultato – molto complesso e articolato – della sinergia tra le fasi della Memory Reconsolidation e i 4 Passi del metodo di lavoro della Psicoterapia Sensomotoria (Ogden, Fisher 2018).
Le fasi descritte della MR sono:
1) Ri-attivare il ricordo traumatico e farlo emergere in modo esperienziale, osservando più la componente sensoriale rispetto agli altri dettagli del ricordo (es: immagine, pensiero)
2) Fornire un esperimento di “Mis-Match” (disadattamento), evocando e stimolando cioè una difesa attiva opposta alla difesa passiva originale emersa nel passato
3) Rivedere il ricordo tramite nuovo apprendimento e consolidare/integrare il nuovo apprendimento collegandolo a tutti i livelli di elaborazione coinvolti: sensoriale, comportamentale, emotivo e cognitivo.
In questa cornice teorica la fase di elaborazione è quella centrale (2) ed è qui che vengono integrati gli interventi di Terapia Sensomotoria – SP (Ogden, Fisher 2016). Gli inquadramenti terapeutici in SP possono riguardare due obiettivi clinici essenziali: il lavoro sul trauma o l’elaborazione delle ferite d’attaccamento. Se l’obiettivo terapeutico (inquadramento) è lavorare sul trauma, e sono presenti nel corpo delle azioni di difesa primarie (fight, flight, freeze, faint), è necessario contattare quell’azione “tronca” e promuovere una difesa attiva nel corpo che guidi il paziente a sentire che l’azione rimasta bloccata nel passato, possa riprendere vitalità ed esprimersi nel presente (Atto di Trionfo), restituendo energia e senso di padronanza; se invece si sta lavorando con le ferite d’attaccamento ed è possibile accedere attraverso l’Adulto (Adult state) alla Parte Bambina (Child State) che ha visto frustrati i suoi bisogni nell’infanzia, senza sentire minaccia o emozioni soverchianti, allora è possibile cercare un contatto con quella parte e aiutarla a rivedere il suo schema di attaccamento. Questa esplorazione viene condotta attraverso l’osservazione della memoria procedurale legata ai 5 movimenti di attaccamento primari: protendersi, spingere via, raggiungere, afferrare, tirare.
Da trauma e dissociazione verso il cambiamento neurale profondo
La graduale esplorazione del corpo, del movimento, dei 5 sensi, delle emozioni e dei pensieri, permette in entrambi gli inquadramenti di elaborare l’esperienza attraverso tutti i canali sensoriali e di integrare tutti i diversi livelli, fino a raggiungere un’integrazione completa della nuova esperienza che va a consolidarsi come nuova memoria procedurale. In questo modo la finestra temporale in cui il ricordo è riattivato, viene utilizzata per promuovere il cambiamento neuronale profondo e il risultato verrà consolidato e rafforzato attraverso l’integrazione e l’utilizzo della nuova risorsa nella vita quotidiana.
La complessità del modello e la spettacolarità del risultato, rendono questo metodo straordinariamente interessante e innovativo, ma tutt’altro che facile nella sua applicazione clinica. Quelli che possono apparire “semplici” esperimenti di movimento, non sono mai utilizzati per il loro valore simbolico, ma al contrario devono essere collocati all’interno di una cornice di ascolto profondo in cui paziente e terapeuta si pongono in osservazione non giudicante (mindful) del corpo, delle sensazioni, delle emozioni e dei pensieri che emergono. Solo questa premessa permette l’accesso ad un livello fisiologico molto antico e allo stesso tempo immediato nella sua capacità di portare la persona a realizzare e rendere consapevoli, vissuti emotivi diversamente difficili da raggiungere.
Insomma anche quest’anno la formazione veneziana ha riservato belle sorprese e ha permesso di approfondire la clinica dei disturbi dissociativi attraverso esempi clinici eccellenti, metodi di lavoro innovativi e scientificamente fondati, in un’ottica di integrazione guidata dal rigore dell’applicazione clinica e dall’attenzione al panorama internazionale.