Nel corso delle tre giornate, le due esperte in trauma e dissociazione hanno trasmesso aspetti teorici e pratici relativi alla diagnosi, alla formulazione del caso e del piano di trattamento e alle tecniche terapeutiche per le persone che soffrono di dissociazione strutturale della personalità
La cura della dissociazione traumatica, il workshop di Milano
Nel corso del 2017, AreaTrauma ha organizzato un ciclo di seminari di formazione pratica avanzata in collaborazione con il Centro Clinico Crocetta. Il corso, formulato come un master annuale, aveva come filo conduttore il trattamento della dissociazione traumatica. Proseguendo lungo questo filone, Giovanni Tagliavini e Paola Boldrini hanno proposto altre tre giornate formative di altissimo livello in psicotraumatologia nelle date del 19, 20, 21 gennaio 2018 a Milano. I relatori delle tre giornate sono stati Kathy Steele, Suzette Boon e Onno Van Der Hart.
Kathy Steele, insieme a Onno Van Der Hart e Ellert R. S. Nijenhuis, ha pubblicato nel 2006 Fantasmi del Sè, elaborando la teoria della dissociazione strutturale della personalità. Suzette Boon svolge un fondamentale lavoro di ricerca, diagnosi e trattamento dei disturbi dissociativi.
Le due esperte in trauma e dissociazione si sono alternate nel corso delle tre giornate trasmettendo aspetti teorici e pratici relativi alla diagnosi, alla formulazione del caso e del piano di trattamento e alle tecniche terapeutiche per le persone che soffrono di dissociazione strutturale della personalità. Entrambe hanno arricchito i contenuti proposti con esempi tratti dalla loro esperienza clinica, corredati da preziose videoregistrazioni di sedute. Inoltre le due relatrici si sono prestate allo svolgimento di role playing nei quali hanno interpretato se stesse e pazienti, propri oppure dei terapeuti uditori, per mostrare in modo pratico le tecniche di trattamento.
Onno Van Der Hart, esperto in psicopatologia della traumatizzazione cronica, è intervenuto mediante una videochiamata via Skype nella seconda giornata di lavoro; ha spiegato una fase successiva e delicatissima del trattamento della dissociazione traumatica: la rielaborazione guidata dei ricordi del trauma. Anche il suo intervento è stato punteggiato e rafforzato dalla descrizione di situazioni cliniche incontrate nel corso della sua pluridecennale esperienza.
La teoria della dissociazione strutturale
Suzette Boon ha aperto la prima giornata formativa con un’introduzione teorica sul concetto di dissociazione, sul trauma di tipo 1 e 2 e sulla teoria della dissociazione strutturale. Ha sottolineato come la difficoltà di effettuare una diagnosi accurata dei disturbi dissociativi dipende da diversi fattori, in primis la presenza di due diversi concetti teorici di dissociazione:
- la dissociazione intesa come un sintomo collocabile su un continuum che va da un fenomeno normale a uno patologico (Putnam, 1986);
- la dissociazione come sintomo patologico che sottende una divisione del Sé.
Nella seconda concezione, il sintomo non si colloca su un continuum, ma segnala una differenza qualitativa e indica la suddivisione strutturale della personalità in parti.
La teoria della dissociazione strutturale ipotizza tre livelli di divisione della personalità:
- livello primario: in esso si riscontrano la presenza di una ANP (Apparently Normal Part) e di una EP (Emotional Part). L’ANP è la Parte Apparentemente Normale, centrata sulla vita quotidiana e sull’evitamento del trauma; l’EP è la Parte Emotiva, bloccata nel tempo del trauma e in meccanismi di difesa dal dolore anche primitivi. Questo primo livello si ritrova nel PTSD semplice, nell’amnesia dissociativa, nei disturbi somatoformi.
- Livello secondario: in esso si trovano una ANP e più EP impegnate in meccanismi di difesa diversi con la funzione di permettere la sopravvivenza psichica.
- Livello terziario: in esso si riscontrano diverse ANP e più EP, che configurano il classico DID, Disturbo Dissociativo dell’Identità.
L’assessment del paziente con dissociazione strutturale.
Suzette Boon ha specificato gli “indizi” che fanno ipotizzare un disturbo dissociativo e che rendono necessario un approfondimento diagnostico. Successivamente, ha elencato gli elementi necessari alla formulazione del caso e alla diagnosi psichiatrica e psicodinamica.
Nell’assessment del paziente con dissociazione strutturale, la diagnosi dell’organizzazione intrapsichica della personalità riveste una particolare importanza; essa implica l’individuazione del livello di dissociazione strutturale e della presenza di sintomi positivi e negativi psicoformi e somatoformi. Vanno approfonditi anche i fattori prognostici, le reazioni a terapie precedenti e l’eventuale comorbidità con altri disturbi. Un assessment qualitativo esplora anche la motivazioni psicologiche per le quali le ANP e le EP sono mantenute separate e/o in conflitto, il loro livello di funzionamento e interazione, nonchè la consapevolezza che ne ha il paziente, e la volontà di accettarle gradualmente.
Quelli elencati da Suzette Boon sono tutti elementi che servono alla pianificazione del trattamento; esso sarà tanto più efficace, quanto più saranno chiare le ragioni psichiche che mantengono la dissociazione strutturale.
Role playing
La seconda metà della prima giornata di formazione è stata dedicata al lavoro clinico. Kathy Steele ha interpretato se stessa e Natalia Sejio una sua paziente in una sessione di role playing. La rappresentazione ha mostrato alcune delle strategie terapeutiche attraverso cui Kathy Steele mette in contatto e in comunicazione le parti dissociate. Ha dato voce e ascolto alle parti distruttive, riconoscendone la funzione protettiva, con modalità che non siano spaventose per la paziente e non provochino una disregolazione emotiva intollerabile.
Successivamente, Suzette Boon ha mostrato alla platea alcune sedute videoregistrate di un suo caso clinico che è stato oggetto di lavoro trasversale alle prime due giornate. Le sedute iniziali con questa paziente, che presentava un’estrema forma di mancanza di consapevolezza (non-realizzazione) del suo disturbo, sono state usate per applicare le modalità di assessment apprese durante la mattinata.
La prima fase del trattamento terapeutico: la stabilizzazione del paziente
Suzette Boon ha rimarcato che la psicoterapia si apre con la definizione di una solida cornice terapeutica e della struttura del trattamento. Cio che è valido per l’impostazione di qualsiasi terapia, ha una valore maggiore con i pazienti traumatizzati, nella cui storia di vita è usuale l’esperienza di violazione dei confini personali.
Successivamente, il primo obiettivo deve essere la stabilizzazione del paziente. Se è presente, il primo target di questo lavoro è il contenimento dell’autolesionismo. Purtroppo è un fenomeno frequente nei casi di dissociazione strutturale; le parti che usano l’autolesionismo come modalità di regolazione degli affetti sono quelle con il massimo grado di non-realizzazione del disturbo.
Un altro obiettivo prioritario di lavoro sono i conflitti interni al paziente relativi alla terapia e all’attaccamento al terapeuta (comportamenti di avvicinamento e di difesa, manifestazioni di dipendenza e di pseudo-indipendenza narcisistica). Inoltre, il terapeuta deve sempre affrontare gli intensi sentimenti di paura e vergogna, emozioni tipiche del trauma, e le credenze che sottostanno a queste emozioni.
Al termine della seconda giornata formativa, Kathy Steele ha approfondito ulteriormente il lavoro terapeutico della stabilizzazione, soffermandosi su cosa si stabilizza e con quali modalità. La stabilizzazione riguarda le funzioni psicofisiche di base, come il ritmo sonno-veglia e l’alimentazione, così come comportamenti disfunzionali di auto ed eteroregolazione emotiva.
Ogni trattamento terapeutico richiede questo lavoro iniziale, ma con i pazienti con dissociazione strutturale, esso pone peculiari criticità. Ad esempio, può accadere che il lavoro di stabilizzazione stia funzionando per una delle parti, non per altre; inoltre il conflitto stesso tra le parti dissociative è uno degli impedimenti alla stabilizzazione. È necessario essere sicuri che tutte le parti stiano lavorando alla stabilizzazione e abbassare la soglia del conflitto.
In breve, la fase uno del trattamento e la stabilizzazione implicano:
- un lavoro iniziale di contatto con le parti che hanno compiti e funzioni nella vita quotidiana (EP/ANP);
- la psicoeducazione sul disturbo, che comprende spiegazioni su diverse paure, emozioni e cognizioni;
- la relazione con le parti contrarie all’attaccamento, al fine di stabilire una buona alleanza terapeutica.
La seconda fase del trattamento terapeutico: la preparazione alla rielaborazione dei ricordi traumatici
Onno Van Der Hart ha specificato che il paziente, per poter rielaborare i ricordi traumatici, necessita di una lunga preparazione. Essa avviene nella prima fase della terapia, nella quale si deve trovare un “luogo” di incontro per tutte le parti dissociative, superare i conflitti tra le parti, metterle in comunicazione, e affrontare i conflitti relativi all’attaccamento al terapeuta.
Un’accurata psicoeducazione significa preparare il paziente alle modalità successive di lavoro. Van Der Hart spiega chiaramente la differenza tra ricordare e rivivere un evento; rassicura sulla propria presenza in quanto terapeuta e sul fatto che i pazienti hanno la situazione sotto controllo e possono interrompere il lavoro se e quando lo desiderano.
Affinché il trattamento dei ricordi traumatici non si traduca in una nuova ri-traumatizzazione e non provochi un’ulteriore dissociazione, è fondamentale la relazione terapeutica: qualsiasi tecnica usi, il terapeuta deve assicurarsi che il paziente resti presente. Una relazione terapeutica sicura e collaborativa permette di affrontare la fobia del contatto con il terapeuta, che si accompagna sempre a quella della perdita della relazione con lui.
La sintesi guidata dei ricordi traumatici
Onno Van Der Hart suddivide le sedute in cui sono trattati i ricordi traumatici in tre parti.
La prima parte ha una funzione di preparazione rispetto al contenuto della seduta; si individua il ricordo su cui lavorare scegliendo quello meno intenso e travolgente. Si discute col paziente su ciò di cui avrà bisogno dopo la seduta per la sua sicurezza e tranquillità emotiva.
La seconda parte è la sintesi guidata dei ricordi traumatici mediante tecniche immaginative e l’uso del luogo sicuro. La sintesi richiede che paziente e terapeuta mantengano un’attenzione duale tra passato e presente; necessita la capacità del paziente di rimanere radicato nel qui e ora, anche quando l’emozione è intensa; ha come presupposto la capacità di rimanere presente a se stesso anche al di fuori dell’abituale zona di sicurezza.
Per il lavoro di sintesi, sono usate tecniche di distanziamento che “posizionano” i ricordi a una vicinanza emotiva tollerabile. La sintesi guidata dei ricordi traumatici ha come scopo l’integrazione del trauma nei suoi aspetti corporei, emotivi, cognitivi e la creazione di una narrativa autobiografica in cui l’evento traumatico sia finalmente incluso e concluso.
Nella terza e ultima fase della seduta si applicano strategie di grounding per permette al paziente di ricompattarsi, essere pienamente presente e pronto ad andarsene. Se il ricordo traumatico è stato suddiviso in parti, il terapeuta suggerisce modalità di autoregolazione da usare in caso di necessità nel tempo che separa dalla seduta successiva.
Conclusioni
Al workshop di Milano, Kathy Steele e Suzette Boon hanno presentato approcci leggermente differenti al trattamento dei pazienti con dissociazione strutturale. Le differenze dipendono dall’assessment, dalla definizione degli obiettivi della terapia, dall’applicazione delle strategie terapeutiche e dallo stile personale. Entrambe concordano sulla centralità della relazione terapeutica nel processo di cambiamento e su una sua specificità: una relazione inusuale, perchè basata su approccio collaborativo e non accudente. Il paziente deve esplorare la sua esperienza, non viene guidato e accudito.
Entrambe hanno presentato con semplicità e umiltà il delicatissimo lavoro che fanno ponendosi da anni, con grande umanità, accanto alle persone traumatizzate. Hanno rassicurato i terapeuti in formazione descrivendo errori commessi e impasse capitate nella loro esperienza clinica; si sono prestate per piccole ma preziosissime supervisioni sui casi degli uditori.