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Trattamento del dolore cronico con la CBT: quando il corpo incontra la mente (razionale)

Aspetti cognitivi ed emotivi sono coinvolti nel dolore, la CBT risulta pertanto l'orientamento terapeutico più efficace nel trattamento del dolore cronico

Di Mauro Grillini

Pubblicato il 23 Mag. 2016

Il dolore cronico risulta fortemente correlato ad aspetti di natura emotiva e cognitiva – legame riscontrato anche in studi con risonanza magnetica funzionale – la cui regolazione può contribuire significativamente a un esito terapeutico più favorevole nel trattamento del dolore cronico.

Mauro Grillini – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Milano

 

Il dolore cronico: cos’è?

Con il termine dolore cronico, si fa riferimento a un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole, associata o meno a danno tessutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di un simile danno (IASP, 1994), che perdura per più di tre mesi dall’evento scatenante. Tale esperienza può non essere direttamente collegata all’origine del disturbo e si caratterizza per importanti conseguenze sulla qualità di vita della persona: riduzione delle autonomie personali, alterazione delle abitudini sociali e lavorative, insonnia, tendenza all’isolamento, oltre che comorbilità con sintomi ansioso-depressivi (IASP, 2010), se non con veri e propri disturbi clinici (Mc Williams, 2003).

Nonostante la pratica medica corrente focalizzi la propria attenzione diagnostico/terapeutica quasi esclusivamente sulla componente somato-sensoriale (Fanelli, 2012), il dolore cronico risulta fortemente correlato ad aspetti di natura emotiva e cognitiva (Hanscom et al., 2015) – legame riscontrato anche in studi con risonanza magnetica funzionale (Eisenberg et al., 2003; Woolf, 2011) –  la cui regolazione può contribuire significativamente a un esito terapeutico più favorevole nel trattamento del dolore cronico.

Numerose sono, infatti, le evidenze che suggeriscono il potenziale ruolo della CBT nel trattamento del dolore cronico (Turner, 2007; Hoffman, 2007; Rundell, 2010; Carpenter, 2012; Hoffman, 2012); alcuni autori, tuttavia, segnalano difficoltà in letteratura nell’identificare puntualmente i meccanismi specifici alla base del suo funzionamento ( Williams et al., 2012), e nel distinguerli da quelli elicitati dagli approcci di terza ondata (Cederberg et al., 2016)  in modo da ottenere indicazioni terapeutiche accurate e applicabili in contesti clinico-ospedalieri.

 

 

Trattamento del dolore cronico con la CBT: le aree di intervento

In una recente rassegna Hanscom e colleghi (2015) propongono una serie di potenziali aree di intervento nel trattamento del dolore cronico sensibili all’effetto della modificazione cognitiva e comportamentale. Una di queste è la gestione della qualità del sonno, elemento strettamente collegato a condizioni di dolore cronico e predittore di un quadro di disabilità aggiuntiva (Zarrabian et al., 2014): dormire poco e male si rivela tanto conseguenza quanto elemento amplificatore della situazione dolorifica (Call-Schmidt et al., 2003), oltre che un freno alla messa in atto di attività salutari che migliorino la qualità della vita (Tang & Sanborn, 2014).

Un’altra area importante nel trattamento del dolore cronico riguarda la riduzione del pensiero catastrofico, in quanto importante mediatore, assieme a depressione e credenze di evitamento, tra dolore cronico e autonomia personale (Smeets et al., 2006): il catastrofismo infatti non avrebbe soltanto un ruolo regolatore della percezione algica (Zhu et al., 2014), ma rappresenta altresì un importante ostacolo per la messa in atto e il mantenimento di condotte salutari, tra cui controllo del peso, regolare attività fisica e aderenza alle prescrizioni farmacologiche, rappresentando dunque un fattore prognostico decisamente sfavorevole (Edwards et al., 2011).

Trattamento del dolore cronico con la CBT quando il corpo incontra la mente razionale - IMMAGINE

Radicate credenze di evitamento rappresentano elementi altrettanto sfavorevoli (Gatchel et al., 2016): l’anticipo di un’elevata percezione dolorifica nello svolgimento di attività quotidiane può condurre infatti a un importante livello di inattività, a sua volta rinforzante l’aspettativa iniziale, creando così un circolo vizioso e amplificando il senso di disabilità personale.

Molti pazienti presentano alti livelli locus of control esterno (Oliveira, 2012)   che può portare ad atteggiamenti rivendicativi verso le persone e situazioni considerate origine del malessere (De Good & Kiernan, 1996)  creando in tal modo un ciclo di rabbia che può amplificare notevolmente la sensazione dolorifica (Sarno, 1982), oltre che a rendere più difficile per il paziente una comunicazione adeguata con il personale medico (Hanscom et al., 2015) e la partecipazione attiva al programma di cure e di trattamento del dolore cronico (Beinart et al., 2013).

A rabbia persistente è inoltre associata una risposta infiammatoria prolungata da parte dell’organismo, con il probabile sviluppo di ulteriori sintomi somatici (Abbass et al., 2008).

Tutti questi elementi necessitano di essere tempestivamente riconosciuti e inquadrati, in modo da identificare situazioni con particolare rischio di cronicizzazione (Hasmi et al., 2013): a tal proposito possono essere somministrati in fase di screening questionari (Araujo et al., 2010; Hanscom et al., 2015; Nursen et al., 2016) quali Fear Avoidance Beliefs Questionnaire (FABQ), Distress and Risk Assessment Method (DRAM) ,  Pain Catastrophizing Scale ( PCS ) e  Pain Locus of Control Scale (PLOC).

L’intervento CBT può inserirsi in una presa in carico multidisciplinare del paziente –  con l’obiettivo clinico di ostacolare pensieri e comportamenti che prolunghino o peggiorino la condizione algica e il senso di disabilità –  attraverso strumenti quali ristrutturazione cognitiva, sessioni di rilassamento strutturato, pianificazione delle fasi di addormentamento e programmazione di attività piacevoli, salutari e distraenti.

Appare fondamentale inoltre, nel trattamento del dolore cronico, un lavoro sui meccanismi di attribuzione causale – favorendo il passaggio da un locus esterno a un locus interno – in modo tale che il paziente porti attivamente a termine l’intero percorso di cura e sia motivato a mantenere i risultati raggiunti nel tempo (Hanscom et al., 2015).

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Mauro Grillini
Mauro Grillini

Psicologo e Psicoterapeuta in formazione presso la Scuola di Specializzazione "Psicoterapia Cognitiva e Ricerca", Milano

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