Il dolore cronico risulta fortemente correlato ad aspetti di natura emotiva e cognitiva – legame riscontrato anche in studi con risonanza magnetica funzionale – la cui regolazione può contribuire significativamente a un esito terapeutico più favorevole nel trattamento del dolore cronico.
Mauro Grillini – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Milano
Il dolore cronico: cos’è?
Con il termine dolore cronico, si fa riferimento a un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole, associata o meno a danno tessutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di un simile danno (IASP, 1994), che perdura per più di tre mesi dall’evento scatenante. Tale esperienza può non essere direttamente collegata all’origine del disturbo e si caratterizza per importanti conseguenze sulla qualità di vita della persona: riduzione delle autonomie personali, alterazione delle abitudini sociali e lavorative, insonnia, tendenza all’isolamento, oltre che comorbilità con sintomi ansioso-depressivi (IASP, 2010), se non con veri e propri disturbi clinici (Mc Williams, 2003).
Nonostante la pratica medica corrente focalizzi la propria attenzione diagnostico/terapeutica quasi esclusivamente sulla componente somato-sensoriale (Fanelli, 2012), il dolore cronico risulta fortemente correlato ad aspetti di natura emotiva e cognitiva (Hanscom et al., 2015) – legame riscontrato anche in studi con risonanza magnetica funzionale (Eisenberg et al., 2003; Woolf, 2011) – la cui regolazione può contribuire significativamente a un esito terapeutico più favorevole nel trattamento del dolore cronico.
Numerose sono, infatti, le evidenze che suggeriscono il potenziale ruolo della CBT nel trattamento del dolore cronico (Turner, 2007; Hoffman, 2007; Rundell, 2010; Carpenter, 2012; Hoffman, 2012); alcuni autori, tuttavia, segnalano difficoltà in letteratura nell’identificare puntualmente i meccanismi specifici alla base del suo funzionamento ( Williams et al., 2012), e nel distinguerli da quelli elicitati dagli approcci di terza ondata (Cederberg et al., 2016) in modo da ottenere indicazioni terapeutiche accurate e applicabili in contesti clinico-ospedalieri.
Trattamento del dolore cronico con la CBT: le aree di intervento
In una recente rassegna Hanscom e colleghi (2015) propongono una serie di potenziali aree di intervento nel trattamento del dolore cronico sensibili all’effetto della modificazione cognitiva e comportamentale. Una di queste è la gestione della qualità del sonno, elemento strettamente collegato a condizioni di dolore cronico e predittore di un quadro di disabilità aggiuntiva (Zarrabian et al., 2014): dormire poco e male si rivela tanto conseguenza quanto elemento amplificatore della situazione dolorifica (Call-Schmidt et al., 2003), oltre che un freno alla messa in atto di attività salutari che migliorino la qualità della vita (Tang & Sanborn, 2014).
Un’altra area importante nel trattamento del dolore cronico riguarda la riduzione del pensiero catastrofico, in quanto importante mediatore, assieme a depressione e credenze di evitamento, tra dolore cronico e autonomia personale (Smeets et al., 2006): il catastrofismo infatti non avrebbe soltanto un ruolo regolatore della percezione algica (Zhu et al., 2014), ma rappresenta altresì un importante ostacolo per la messa in atto e il mantenimento di condotte salutari, tra cui controllo del peso, regolare attività fisica e aderenza alle prescrizioni farmacologiche, rappresentando dunque un fattore prognostico decisamente sfavorevole (Edwards et al., 2011).
Radicate credenze di evitamento rappresentano elementi altrettanto sfavorevoli (Gatchel et al., 2016): l’anticipo di un’elevata percezione dolorifica nello svolgimento di attività quotidiane può condurre infatti a un importante livello di inattività, a sua volta rinforzante l’aspettativa iniziale, creando così un circolo vizioso e amplificando il senso di disabilità personale.
Molti pazienti presentano alti livelli locus of control esterno (Oliveira, 2012) che può portare ad atteggiamenti rivendicativi verso le persone e situazioni considerate origine del malessere (De Good & Kiernan, 1996) creando in tal modo un ciclo di rabbia che può amplificare notevolmente la sensazione dolorifica (Sarno, 1982), oltre che a rendere più difficile per il paziente una comunicazione adeguata con il personale medico (Hanscom et al., 2015) e la partecipazione attiva al programma di cure e di trattamento del dolore cronico (Beinart et al., 2013).
A rabbia persistente è inoltre associata una risposta infiammatoria prolungata da parte dell’organismo, con il probabile sviluppo di ulteriori sintomi somatici (Abbass et al., 2008).
Tutti questi elementi necessitano di essere tempestivamente riconosciuti e inquadrati, in modo da identificare situazioni con particolare rischio di cronicizzazione (Hasmi et al., 2013): a tal proposito possono essere somministrati in fase di screening questionari (Araujo et al., 2010; Hanscom et al., 2015; Nursen et al., 2016) quali Fear Avoidance Beliefs Questionnaire (FABQ), Distress and Risk Assessment Method (DRAM) , Pain Catastrophizing Scale ( PCS ) e Pain Locus of Control Scale (PLOC).
L’intervento CBT può inserirsi in una presa in carico multidisciplinare del paziente – con l’obiettivo clinico di ostacolare pensieri e comportamenti che prolunghino o peggiorino la condizione algica e il senso di disabilità – attraverso strumenti quali ristrutturazione cognitiva, sessioni di rilassamento strutturato, pianificazione delle fasi di addormentamento e programmazione di attività piacevoli, salutari e distraenti.
Appare fondamentale inoltre, nel trattamento del dolore cronico, un lavoro sui meccanismi di attribuzione causale – favorendo il passaggio da un locus esterno a un locus interno – in modo tale che il paziente porti attivamente a termine l’intero percorso di cura e sia motivato a mantenere i risultati raggiunti nel tempo (Hanscom et al., 2015).