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Cognitivismo Clinico: presentazione del nuovo numero della rivista

Presentiamo l'Editoriale del numero appena pubblicato della rivista Cognitivismo Clinico. Il Direttore Antonino Carcione presenta e commenta gli articoli.

Di Redazione

Pubblicato il 12 Ott. 2016

L’Editoriale del numero appena pubblicato della rivista Cognitivismo Clinico. Il Direttore Antonino Carcione presenta e commenta gli articoli.

Antonino Carcione

 

Abbiamo deciso di aprire questo numero di Cognitivismo Clinico con un articolo speciale di Francesco Mancini che affronta un tema tanto essenziale per il cognitivismo, quanto a volte trascurato: gli scopi. L’articolo è molto interessante e in esso l’autore affronta in modo critico un argomento a lui molto caro, partendo dal presupposto che la scarsa rilevanza attribuita al concetto di scopi e al loro ruolo nella spiegazione della psicopatologia rappresenta uno dei limiti più significativi del cognitivismo clinico. Mancini sostiene con puntuali argomentazioni che il cognitivismo standard ha dato grande, troppa enfasi al ruolo delle credenze e dei processi cognitivi, trascurando il ruolo che hanno gli scopi nell’orientare i processi cognitivi e, di conseguenza, nella formazione delle credenze. È più frequente il ricorso a concetti disposizionali, come a esempio l’intolleranza all’incertezza o la fusione pensiero-azione, tanto per citare alcuni esempi, oppure a deficit cognitivi. Tali concetti si rivelano più descrittivi che esplicativi, pertanto l’autore argomenta le ragioni di tali limiti del cognitivismo e ci fornisce un contributo che si può rivelare utile, come auspica lo stesso Mancini, a dare piena dignità a un concetto che già, di per sé, è “… cruciale per spiegare e prevedere condotte ed emozioni proprie e altrui”.

La seconda parte è dedicata a un tema specifico: l’insonnia. L’idea di dedicare un numero monografico a tale argomento segue una giornata di aggiornamento organizzata dalle Scuole di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva SPC e APC, sponsorizzata dalla SITCC-Lazio e coordinata da Davide Coradeschi, che si è tenuta il 20 maggio presso il Centro Convegni “Villa Palestro” a Roma: ‘Il trattamento dell’insonnia nel paziente psichiatrico: farmaci e psicoterapia cognitivo-comportamentale’.

L’attenzione a questo tema è legata al fatto che l’insonnia rappresenta sicuramente il più diffuso disturbo del sonno. Si stima che ne soffra in modo significativo almeno un italiano su 10 e, quantomeno occasionalmente, è stata sperimentata da più della metà della popolazione. Purtroppo, però, la diagnosi viene spesso effettuata in modo sbrigativo e superficiale, e da ciò derivano frequentemente errori nel suo trattamento. L’insonnia può dipendere da vari fattori e presentarsi come un disturbo a sé stante, ovvero in assenza di altri disturbi, oppure può insorgere in associazione ad altri problemi di ordine medico di tipo neurologico (a es. Parkinson), cardiovascolare (a es. angina), polmonare (a es, enfisema), digestivo (a es, ulcera peptica, reflusso gastro-esofageo), ecc. Più frequentemente, però, è espressione di altri disturbi psicologici, più spesso disturbi d’ansia e dell’umore, che interferiscono con il sonno peggiorandone la quantità e la qualità. Secondo le stime riportate nel recente DSM-5, come evidenziato dall’articolo di Devoto et al., il 40-50% degli insonni ha un disturbo psichiatrico associato e si calcola che ben l’80% dei pazienti depressi soffra anche di insonnia.

Del resto, l’insonnia rappresenta notoriamente un criterio diagnostico per diverse patologie di rilevanza psichiatrica ed è considerata un fattore di rischio per l’innesco e il mantenimento di diversi disturbi mentali. Vari studi longitudinali hanno, infatti, documentato che l’insonnia cronica non trattata incrementa il rischio dello sviluppo futuro di un disturbo psichiatrico, soprattutto di tipo depressivo.

Considerato, dunque, che può esserci un’eziologia variegata, è sempre molto importante, anzi essenziale, che si esegua un’accurata valutazione diagnostica per scegliere, di conseguenza, la terapia – medica e/o psicologica – più adeguata.

Inoltre, è stato osservato che, indipendentemente dalla primarietà o secondarietà dell’insonnia, il suo trattamento ha effetti benefici non solo sul sonno, ma anche sulla patologia concomitante. È per questa ragione che le linee guida ne consigliano il trattamento qualunque sia la sua eziologia.

La cura dell’insonnia, attualmente, prevede trattamenti sia farmacologici che non farmacologici. Spesso si pensa che il trattamento farmacologico sia il più efficace, in realtà le linee guida evidenziano che esso è più indicato per le insonnie occasionali o situazionali (a esempio il jet-lag), mentre i trattamenti non-farmacologici sono la terapia di scelta per le insonnie croniche, ma purtroppo tale evidenza non è del tutto conosciuta, diffusa o, peggio, consigliata. Spesso il trattamento è farmacologico, attraverso prescrizione di ansiolitici effettuata o da medici non specialisti o tramite un banalissimo “passaparola” tra insonni. Tutto ciò spesso si rivela inefficace o, addirittura, controproducente, peggiorando i meccanismi di mantenimento del disturbo o determinando dipendenze farmacologiche, peraltro a volte neppure generatrici di un buon sonno.

Oggi, la terapia non-farmacologica più accreditata è il trattamento cognitivo-comportamentale dell’insonnia (CBT-i – Cognitive-Behaviour Therapy for insomnia), un intervento psicologico, individuale o di gruppo, basato su tecniche che hanno mostrato una significativa efficacia in numerose ricerche sperimentali.

La CBT-i per l’insonnia non può essere considerata una vera e propria psicoterapia ma, piuttosto, un intervento specifico e mirato sul tipo di insonnia, basato sui modelli psicofisiologici di regolazione del sonno. Agisce sui fattori comportamentali, fisiologici e cognitivi di mantenimento del disturbo e prevede interventi comportamentali (Tecnica del Controllo degli Stimoli, Tecnica della Restrizione del Sonno), Cognitivi e Psicoeducativi. La CBT-i si rivela efficace in quanto l’integrazione degli interventi permette innanzitutto di modificare le varie credenze disfunzionali sul sonno che, come si è evidenziato, sono particolarmente diffuse e fungono da fattore di mantenimento del disturbo stesso. Le credenze disfunzionali hanno, infatti, un ruolo ancora più grave della mancanza di sonno stesso, visto che, contrariamente a quanto comunemente si crede, le ricerche finora condotte non hanno riscontrato evidenti cali prestazionali cognitivi (come attenzione e memoria) in seguito anche a sole 3-4 ore di sonno.

Il numero, che vede contributi di autorevoli specialisti e ricercatori esperti sull’argomento, fornisce diverse indicazioni utili al lettore per ampliare le sue conoscenze sulla valutazione e il trattamento dell’insonnia. L’articolo di Devoto, Battagliese, Fernandes, Lombardo e Violani, propone una panoramica generale, estremamente utile e dettagliata, sui principali strumenti utilizzabili per la valutazione clinica dell’insonnia. Gli autori evidenziano chiaramente come l’insonnia abbia una genesi multifattoriale; per questa ragione si rende particolarmente necessaria un’accurata e approfondita valutazione dei suoi diversi fattori di innesco e di mantenimento per strutturare un intervento terapeutico razionale e mirato. In questo articolo vengono illustrati gli standard procedurali per l’assessment del Disturbo di insonnia e alcuni strumenti diagnostici fondamentali per la sua valutazione clinica.

Partendo dai criteri diagnostici del DSM-5 e dal modello eziopatogenetico che descrive fattori predisponenti, precipitanti e perpetuanti, gli autori passano in rassegna i metodi di assessment che permettono al clinico di avere informazioni rilevanti per una diagnosi chiara del disturbo e una valutazione utile per poi seguire l’evoluzione dopo il trattamento: colloquio clinico, questionari e diario del sonno. Vengono anche descritti due strumenti obiettivi: l’actigrafia e la polisonnografia. Viene anche illustrato come la raccolta di tale materiale aiuta la diagnosi e,
di conseguenza, l’impostazione del trattamento, permettendo un’accurata e chiara restituzione diagnostica al soggetto che soffre d’insonnia.

Successivamente, visto l’importante ruolo svolto dalle credenze sul sonno nel generare e mantenere il disturbo, il secondo articolo, di Giganti, Arzilli, Cerasuolo e Ficca, descrive le caratteristiche della percezione soggettiva del sonno e dei suoi segnali nel soggetto insonne. L’articolo evidenzia come il trattamento dell’insonnia non dovrebbe tanto mirare a un aumento del tempo totale di sonno o a ridurre la latenza del tempo di addormentamento, quanto piuttosto a correggere le credenze errate sul sonno e all’eliminazione dei comportamenti disfunzionali associati.

Ad esempio, molti soggetti insonni cercano di alleviare le loro difficoltà trascorrendo più tempo a letto, magari con tentativi di riposo nel corso della giornata, ma questi tentativi di autocura conducono in realtà sia a un sonno ulteriormente frammentato, sia ad aumentare il tempo trascorso a letto da svegli ogni notte. Riconoscere le credenze errate sul sonno consente una maggiore compliance nella modificazione dei comportamenti di mantenimento dei disturbi del sonno.

Nell’articolo di Coradeschi si descrive la parte comportamentale dell’intervento. L’autore illustra nel dettaglio, rendendola fruibile al lettore, la tecnica del controllo dello stimolo e la restrizione del sonno che rappresentano due delle componenti centrali della CBT-i. La prima consiste in una serie di prescrizioni finalizzate a riconsolidare l’associazione tra letto e addormentamento, eliminando le attività che interferiscono con il sonno al momento di andare a dormire. La seconda ha lo scopo di restringere il tempo che il paziente trascorre a letto aumentando, attraverso uno stato di lieve deprivazione di sonno, la spinta all’addormentamento, regolarizzando e risincronizzando allo stesso tempo il ritmo sonno-veglia. Il lavoro guida il lettore con l’illustrazione delle procedure d’intervento, fornendo istruzioni ed esemplificazioni utili per il corretto utilizzo delle due tecniche comportamentali, esponendone il razionale e affrontando i principali ostacoli e le resistenze che si possono incontrare col paziente insonne.

Gli ultimi due lavori trattano di due tipologie specifiche di intervento: l’insonnia nei bambini e in pazienti cardiologici. Un problema diffuso che neo-genitori riportano ai pediatri è la difficoltà di addormentamento dei propri figli. L’articolo di Devoto descrive il trattamento cognitivo-comportamentale in età evolutiva, illustrandone le specificità. Si evidenzia come i problemi di inizio e mantenimento del sonno durante la notte sono piuttosto comuni, tanto che si stima una prevalenza intorno al 20%-30% durante la prima infanzia. Mentre, però, nell’adulto, di solito il problema ricade sul soggetto stesso, i problemi di sonno infantile hanno conseguenze negative non solo sul bambino che ne soffre ma, considerando la peculiarità della situazione, anche sul contesto familiare. I disturbi del sonno del bambino, infatti, sono spesso fonte di stress familiare e di effetti negativi per la relazione madre-bambino.

Le ricerche indicano che, in queste situazioni, aumentano pensieri e fantasie aggressive, nonché depressioni materne, contribuendo ad attivare comportamenti di attaccamento genitoriale. L’insonnia del bambino è, inoltre, correlata, in misura decisamente maggiore che nell’adulto, a cali prestazionali, alterazioni dell’umore e disturbi delle funzioni cognitive. Alla luce di queste considerazioni, il tema è quanto mai importante e prevede un trattamento che integra diversi setting coinvolgendo varie figure del nucleo familiare. Per questo motivo la valutazione clinica e il trattamento precoce dei problemi di insonnia nei bambini sono essenziali non solo per migliorare il sonno notturno e il benessere diurno del bambino, ma anche per fronteggiare e prevenire gli effetti negativi sul contesto familiare che amplificano e peggiorano il problema.

In linea con i lavori precedenti, anche in questo caso l’articolo aiuta a sfatare alcune credenze piuttosto diffuse, come la necessità di incrementare la presenza genitoriale per migliorare l’addormentamento del bambino. Ebbene, tale comportamento appare quanto mai disfunzionale e, pertanto, modificare credenze e comportamenti dei genitori sul sonno dei figli, in particolare riducendo il loro coinvolgimento attivo durante la notte, si rivela essenziale. Interessante e utile al lettore la descrizione di un caso esemplificativo trattato mediante le tecniche CBT-i specifiche per l’età evolutiva.

L’ultimo articolo dedicato all’insonnia – di Manno – descrive uno specifico trattamento CBT-i con pazienti ospedalizzati degenti in riabilitazione cardiologica. I sintomi d’insonnia, spesso presenti in pazienti con problematiche cardiologiche, peggiorano la qualità della vita rappresentando un fattore di rischio per ulteriori problemi cardiovascolari. L’autore descrive un’esperienza clinica con 99 pazienti in trattamento riabilitativo degenziale intensivo, successivo a recente intervento cardiochirurgico, evidenziando miglioramenti quantitativi (il numero dei risvegli, il tempo di veglia, il tempo totale di sonno, l’efficienza del sonno) e qualitativi del sonno (sensazione di riposo al risveglio e sensazione di piacevolezza del sonno), dopo trattamento CBT-i individuale, indipendentemente dall’assunzione di terapia psicofarmacologica, intervenendo, quindi, su possibili fattori di rischio per ulteriori ricadute.

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