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Beck tra standardizzazione dei trattamenti e relazione paritaria col paziente – 100 anni di Aaron T. Beck – Parte 4

Aaron T. Beck introdusse una svolta radicale: elaborare una terapia che fosse un'impresa collaborativa paritaria tra terapeuta e paziente

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 26 Lug. 2021

Il racconto di come la psicoterapia cognitiva di Beck appartenesse alla prima generazione di trattamenti psicoanalitici relazionali.

 

Il manuale fu elaborato da un gruppo di lavoro che collaborava pariteticamente scambiando in continuazione idee, esempi, simulazioni di interventi e osservazioni critiche. Questo metodo di lavoro si rifletteva sulla pratica clinica stessa. Fu una svolta radicale elaborare una terapia che fosse un’impresa collaborativa paritaria tra terapeuta e paziente. E paritario fu il rapporto tra Beck e il gruppo di lavoro, costituito da giovani specializzandi e non solo: c’erano anche borsisti post-dottorato, studenti di medicina e laureati in psicologia e chiunque altro bazzicasse il suo laboratorio. Anche il gruppo clinico che applicava la terapia era di giovani: a Rush e Khatami si aggiunse la dottoranda Maria Kovacs e poi altri due specializzandi. Questi furono i primi 5 terapeuti cognitivi formati da Beck e che dal 1° agosto 1974 resero operativa la clinica per la depressione a basso costo di Rush e Khatami, che prese il nome di “Mood Clinic”. Non basta, tuttavia. È importante sottolineare che Beck non solo ascoltava i giovani ma si serviva anche di consulenti esperti: Lester Luborsky, il ricercatore in psicoterapia più esperto alla Penn che in quegli anni stava elaborando il suo Core Conflictual Relatioship Theme e Karl Rickels, un esperto in psicofarmacologia.

Applicato giorno per giorno nella concretezza dell’attività della “Mood Clinic”, lo sviluppo del manuale andava avanti senza posa. Ogni settimana Beck si riuniva con i suoi collaboratori per una sessione di brainstorming. Beck voleva sapere tutto ciò che i suoi studenti apprendevano e osservavano in clinica, ogni ostacolo, ogni fallimento e successo con i pazienti. Li incoraggiava a chiedere direttamente ai pazienti se le formulazioni avessero o meno senso e di inoltrare le loro osservazioni a Rush che doveva tradurle in termini operativi e introdurle nel manuale. In questo modo si finiva per avere una nuova versione del manuale ogni 3 o 4 mesi. Nel giugno 1974 il manuale era di 46 pagine. Nel maggio 1975 era cresciuto fino a 89 pagine e in questa forma fu presentato all’incontro annuale della Society for Psychotherapy Research (SPR) nel 1975 a Boston insieme al dato sensazionale che la terapia cognitiva per la depressione era più efficace dei farmaci.

Il gruppo inoltre si evolveva. Rush, così importante ma non indispensabile, se ne andò nel luglio 1975, ma subentrarono Steven Hollon a coordinare l’attività clinica e Brian Shaw a continuare a scrivere il manuale, mentre la Mood Clinic diventava Center for Cognitive Therapy di Philadelphia, dove ancora adesso si fa terapia e formazione cognitiva. In seguito, diventarono membri del gruppo Gary Emery, Ira Herman e David Burns. Poi iniziarono ad arrivare gli psicologi clinici mentre fino a quel momento avevano prevalso gli psichiatri: Arthur Freeman (che era stato formato da Albert Ellis), Rich Bedrosian e Jeffrey Young, il futuro ideatore della Schema Therapy.

La strategia di Beck era dunque sviluppare una relazione paritaria con terapisti giovani e relativamente inesperti e sviluppare una squadra che poi sarebbe diventata un vero Istituto clinico e una scuola di formazione in uno stile che era opposto alla struttura gerarchica della psicoanalisi. Il manuale, quindi, fu in grado di ottenere due obiettivi apparentemente opposti: standardizzare gli interventi per una sperimentazione clinica e attirare giovani terapisti in un ambiente di scambio clinico e scientifico flessibile e paritario. Quei giovani specializzandi, se non avessero incontrato Beck, avrebbero presumibilmente adottato la doppia fedeltà -fino a quel momento imperante- alla psicoanalisi e/o a un’altra forma di psicoterapia (Hollon era rogersiano, ad esempio) e alla farmacoterapia. In una minuta del 1975 degli incontri del gruppo di Beck compare la considerazione che per i giovani specializzandi il training psicoanalitico fosse inutile per tentare la terapia cognitiva di Beck (Rosner, 2018). In base a quel documento possiamo indicare il 1975 come il definitivo momento in cui Beck e il suo gruppo diventano cognitivisti.

Infine, nel 1979 il manuale fu pubblicato (Beck, Rush, Shaw e Emery, 1979). Esso definiva le fasi della sua terapia in uno stile semplice e comprensibile, senza tecnicismi. Il manuale ebbe successo anche perché trasmise questa sensazione di cooperazione paritaria e anti-gerarchica nel rapporto col paziente. Il terapista cognitivo interagiva continuamente col paziente. Questa atmosfera democratica era poi intensificata dalla possibilità di testare scientificamente il modello; questa controllabilità scientifica però va intesa come controllabilità soprattutto clinica: connettere i sintomi ai pensieri espliciti significava soprattutto non fare interpretazioni lontane da quello che sosteneva il paziente ma fornire formulazioni di buon senso e comprensibili per il paziente che poteva dare o meno il suo assenso e su questo assenso il terapista basava la correttezza della formulazione. Non vi era alcuna pretesa di fornire interpretazioni ritenute vere nonostante fossero rifiutate dal paziente. E anche questo intensificava il sapore democratico della proposta di Beck. Infine, Beck chiedeva ai suoi collaboratori di utilizzare il manuale come guida e non come un libro di ricette, e questo nonostante la supposta standardizzazione del trattamento. Il manuale era solo un supporto, il nocciolo era nel continuo confronto clinico delle riunioni, delle simulate e della visione di sedute audio e videoregistrate.

L’incontro con Clark

Come abbiamo già scritto nella puntata precedente, a Oxford David Clark fu tra i primi ad adottare il manuale di Beck ancor prima che fosse pubblicato. Dopo la pubblicazione la collaborazione diventò strettissima. Beck e Clark si scambiarono visite sempre più frequenti finché nel 1986 Beck diventò visiting professor a Oxford. Il gruppo di Oxford ebbe il merito di favorire l’estensione del trattamento di Beck ai disturbi d’ansia.

Va tuttavia detto che dalla conversione di Clark e Beck non nacque dal nulla. Clark apparteneva al gruppo di lavoro che era cresciuto intorno a Michael Gelder, primo professore di psichiatria a Oxford dal 1969 e interessato, oltre che ai trattamenti farmacologici, al trattamento comportamentale mediante desensibilizzazione dell’agorafobia, pubblicando un articolo seminale nel 1966 con Isaac Marks (Gelder & Marks, 1966).

Tuttavia Gelder si rese conto rapidamente dei limiti dell’approccio puramente comportamentale e incoraggiò l’esplorazione del valore dell’aggiunta di strategie cognitive, che si concentravano sulla modifica dei pensieri, dell’attenzione e della memoria. L’Oxford Centre da lui guidato si distingueva per un’interazione tra teorie psicologiche, studi sperimentali e innovazione clinica. Nel corso degli anni, Gelder attrasse al Dipartimento di Oxford i futuri innovatori britannici nella terapia cognitivo comportamentale: David Clark primo fra tutti, e poi Anke Ehlers, Christopher Fairburn, Andrew Mathews, Paul Salkovskis, John Teasdale, Adrian Wells e Mark Williams. Si svilupparono forme di terapia cognitivo-comportamentale nuove e altamente efficaci, con procedure pratiche e descritte operativamente per il Disturbo di Panico, il Disturbo d’Ansia Generalizzato, il Disturbo d’Ansia Sociale, il Disturbo Ossessivo-Compulsivo, l’Ipocondria, il Disturbo Post-traumatico da Stress, la Sindrome da Fatica Cronica e la Bulimia Nervosa. Questi trattamenti cognitivo-comportamentali furono ampiamente adottati nella pratica clinica, sono oggi raccomandati dal National Institute for Health and Care Excellence e forniscono migliori risultati a lungo termine rispetto ad approcci alternativi come i farmaci antidepressivi. Questo terreno di coltura facilitò l’incontro tra Clark e Beck.

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Beck, A. T., Rush, A. J., Shaw, B. J., & Emery, G. (1979). Cognitive therapy of depression. New York, NY: Guilford Press.
  • Rosner, R. I. (2012). Aaron T. Beck's drawings and the psychoanalytic origin story of cognitive therapy. History of Psychology, 15(1), 1.
  • Rosner, R. I. (2014). The “splendid isolation” of Aaron T. Beck. Isis, 105(4), 734-758.
  • Rosner, R. I. (2018). Manualizing psychotherapy: Aaron T. Beck and the origins of Cognitive Therapy of Depression. European Journal of Psychotherapy & Counselling.
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