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Beck e la manualizzazione della terapia cognitiva – 100 anni di Aaron T. Beck – Parte 3

Anni ’70, Aaron Beck era lì a fare quella sua terapia chiamata terapia cognitiva ma che, a suo dire, era un tipo di psicoanalisi misto a comportamentismo

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 23 Lug. 2021

Il racconto di come lo psicoanalista Beck creò il suo manuale insegnando la psicoterapia cognitiva a un gruppo di studenti

 

Nel 1973 alla Penn State University di Philadelphia uno specializzando in psichiatria del secondo anno di nome John Rush seguì il corso di Beck dove si insegnava quella cognitive therapy descritta -lo abbiamo già scritto- in una rivista che si chiamava “Behaviour Therapy”. Rush faceva parte di quel gruppo di giovani psichiatri a cui abbiamo accennato, giovani psichiatri interessati al comportamentismo e che si radunarono intorno a Beck. Rush si innamorò della terapia cognitiva ed era convinto che fosse più efficace della psicoanalisi, dei farmaci o dell’esposizione comportamentale. Lui e un collega specializzando, Manoocheer Khatami, avevano recentemente aperto uno sportello clinico a basso costo per la depressione nel campus della Penn State University e chiesero a Beck di supervisionarli in terapia cognitiva.

La cosa strana era che, in base alle testimonianze, il termine “terapia cognitiva” c’era e non c’era. Eppure, si era già negli anni ’70 e Beck era lì a fare quella sua terapia che in alcune pubblicazioni era stata chiamata terapia cognitiva ma che, a dire di Beck, ora era un tipo di psicoanalisi ora di comportamentismo, descritta in alcune pubblicazioni, ora su giornali psicoanalitici e ora su giornali comportamentali. Forse certe contrapposizioni erano meno accentuate di adesso, fatto sta che questa psicoanalisi di Beck senza lettino e con compiti a casa comportamentali attirò questi giovani specializzandi che sembravano non avere intenzione, a differenza di Beck, di intraprendere un’analisi personale per diventare terapeuti. Questi giovani possono ricordare i primi cristiani non ebrei: frequentavano un gruppo di ebrei/cristiani, che erano circoncisi e che obbedivano a tutti i precetti ebraici ma che avevano deciso di non obbligare i non ebrei a fare lo stesso. Allo stesso modo Beck, come San Paolo, continuò a sentirsi cognitivista/psicoanalista ma non obbligò i suoi accoliti a fare un’analisi personale, permettendo loro di essere solo cognitivisti.

Beck insegnò il mestiere a questi allievi e in cambiò ricevette la patente di efficacia per il suo modello. Da chi? Fu merito del giovane John Rush, che aveva appreso la metodologia dei trial randomizzati per le sperimentazioni sui farmaci da un altro professore della Penn, un altro psichiatra sudafricano di nome Joe Mendels, ed ebbe l’idea geniale di applicare la stessa metodologia alla psicoterapia. Rush sapeva come misurare il livello di gravità psicopatologica tramite le interviste strutturate e come distribuire casualmente i pazienti, mandandoli in psicoterapia cognitiva o farmacoterapia anti-depressiva. Il problema che rimaneva era: come rendere la terapia cognitiva di Beck qualcosa che poteva essere somministrata in maniera affidabile e controllabile come se fosse un farmaco, ovvero in una forma ragionevolmente simile in tutti i pazienti che dovevano riceverla? Insomma, Rush aveva bisogno di standardizzare questa terapia cognitiva di Beck ed escogitò un piano: occorre descrivere ancora più dettagliatamente quello che Beck sta insegnando a loro e trascrivere tutto in istruzioni operative e chiare. Questo era il contesto in cui emerse il manuale di Beck.

Una serie di brain storming e discussioni cliniche tra Beck e i suoi specializzandi portò alla stesura di un primo schema che fu ultimato il 12 ottobre 1973, una bozza di protocollo per la terapia cognitivo comportamentale della depressione di quattro pagine con definizioni operative delle tecniche di accertamento e ristrutturazione dei pensieri depressivi distorti (Rosner, 2018). Poche settimane dopo Beck, sempre grazie alla capacità di scrittura operativa di Rush, generò una versione ampliata e poi la applicò alla supervisione di un caso singolo trattato e pubblicato da Rush e Khatami (Rush et al., 1975).

Questa versione ampliata divenne il manuale, che si rivelò un potente veicolo per pubblicizzare la terapia cognitiva e che in breve tempo diventò il primo esempio di terapia replicabile e al tempo stesso clinicamente applicabile, a suo agio sia nei laboratori delle università che nelle stanze dei clinici. Al di là delle teorie, il manuale insegnava ai comportamentisti come concettualizzare e trattare i pensieri depressivi, facendoli uscire dai limiti dell’esposizione comportamentale. E, al di là della ricerca, il manuale diventò presto un oggetto di desiderio, tanto che molti erano incuriositi non solo dai risultati della ricerca, ma forse ancor di più dalla nota a piè di pagina che accennava al manuale nel famoso l’articolo che annunciava i risultati del loro modello (Rush, Beck, Kovacs e Hollon, 1977). David M. Clark, uno psicologo appartenente a gruppo di ricerca sulla terapia comportamentale di Oxford, adocchiò quella nota in margine e riuscì a procurarsi una copia del manuale perché Beck aveva fatto sapere che era possibile farsene mandare una copia ciclostilata in cambio di un assegno semplicemente scrivendogli, mossa che, ricorda Clark, “era geniale da parte di Tim (Beck)”. Clark mise insieme un gruppo di persone e pagarono un vaglia internazionale, cosa difficile da fare a quei tempi, e ne ordinò dieci copie. Di colpo, Clark e i suoi amici, tra i quali c’era Paul Salkovskis, acquistarono prestigio e popolarità nel dipartimento universitario perché avevano il manuale di Beck. Lo ricevettero, lo diffusero e iniziarono a usarlo, con risultati concreti e immediati.

 

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Rosner, R. I. (2012). Aaron T. Beck's drawings and the psychoanalytic origin story of cognitive therapy. History of Psychology15(1), 1.
  • Rosner, R. I. (2014). The “splendid isolation” of Aaron T. Beck. Isis105(4), 734-758.
  • Rosner, R. I. (2018). Manualizing psychotherapy: Aaron T. Beck and the origins of Cognitive Therapy of Depression. European Journal of Psychotherapy & Counselling. 
  • Rush, A. J., Beck, A. T., Kovacs, M., & Hollon, S. D. (1977). Comparative efficacy of cognitive therapy and pharmacotherapy in the treatment of depressed outpatients. Cognitive Therapy and Research, 1, 7-37.
  • Rush, A. J., Khatami, M., & Beck, A. T. (1975). Cognitive and behavior therapy in chronic depression. Behavior Therapy, 6, 398–404.
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