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Psicoterapia Cognitiva: “Cosa non le va in questo?” Come iniziare il disputing del pensiero negativo

Psicoterapia Cognitiva: Il Disputing è l’intervento terapeutico che mette in discussione le convinzioni del paziente.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 19 Mar. 2012

 

Il disputing è l’intervento terapeutico che mette in discussione le convinzioni del paziente.

Psicoterapia Cognitiva: "Cosa non le va in questo?" Come iniziare il Disputing del Pensiero Negativo. -  © Lisa F. Young #16136135  Una volta che il nostro paziente inizia a essere più consapevole del legame tra le sue emozioni di disagio e i suoi pensieri, il passo successivo è semplice. Il paziente può iniziare a sperare che, modificando le sue idee, possa cambiare anche lo stato d’animo. Nel disputing si discute il fondamento logico e/o esperienziale delle opinioni che sono state messe in relazione con gli stati d’animo di ansia, tristezza, timore, e così via.

Occorre però avere ben presenti i parametri da sottoporre a critica. È bene iniziare con domande aperte, secondo la tecnica già vista del laddering, chiedendo semplicemente che cosa non ci va in una certa cosa, dove sia l’implicazione negativa.

T.: Che cosa non le va in questo? Dov’è l’elemento negativo?

Iniziare una Terapia Cognitiva: Concordare le Regole. - Immagine: © Bernard BAILLY - Fotolia.com
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Proseguire a esaminare le implicazioni negative in termini di significati personali e soggettivi è proprio soprattutto della via costruttivista di George Kelly e di altri. In parte è anche la strada di Ellis. Tuttavia lo stile più standard della terapia cognitiva prevede una maggiore concentrazione, almeno all’inizio, non tanto sui significati negativi personali ma sui pericoli concreti temuti dal paziente.

Questo stile oggettivo e concreto ha i suoi vantaggi. È possibile che un grado eccessivo di apertura possa essere alla lunga difficile da mantenere, soprattutto se il paziente tende a esprimersi in termini generici e vaghi. Teniamo conto che il paziente tende effettivamente a esprimersi in termini astratti. La minaccia temuta, lo stato depressivo sono espressi in termini poco definiti. Le cose vanno male, e non si capisce bene in che senso. Qualcosa di brutto potrebbe capitare, e non si sa bene cosa.

In questo caso una strategia più stringente può essere utile. Esplorare sui significati personali troppo precocemente può significare essere attratti nel gorgo della confusa vaghezza del paziente. Chiedere invece al paziente cosa esattamente teme può incoraggiarlo a essere più collegato alla realtà.

 

Una buona bussola per orientarsi nel pensiero negativo ed evitare le nebbie della confusione è la cosiddetta equazione dell’ansia di Beck, Emery e Greenberg (1985):

ANSIA =

 

 (Probabilità percepita della Minaccia) x (Gravità o Costo percepiti della Minaccia)
_____________________________________________________________________

 (Capacità percepita di fronteggiare il pericolo) x (capacità percepita di “salvataggio”)

 

 

 

 

 

 

Possiamo facilmente utilizzare l’equazione per strutturare in maniera semplice il disputing.

T.: Che cosa teme esattamente?

Iniziare una terapia cognitiva: stabilire gli obiettivi. - Immagine: © Olivier Le Moal - Fotolia.com
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Definire esattamente cosa si teme è sempre importante e non va mai considerata un’operazione scontata. Chiedere un resoconto dettagliato aiuta il paziente a chiarire anche se stesso/a in che modo dovrebbero realizzarsi i pericoli temuti. Molti passaggi sono trascurati o ignorati. Riprendiamo l’esempio della paziente che temeva di morire in un incidente.

P.: Temo di morire in un incidente automobilistico.

T.: Come immagina avvenga questo incidente?

P.: Non ci avevo mai pensato. Mentre guido improvvisamente penso che potrebbe avvenire.

T.: E quando le viene in mente questo cosa immagina?

P.: Vedo me stessa morta sul marciapiede o sulla strada.

T.: Non pensa mai a come accade l’incidente?

P.: No. In realtà vedo me stessa morta dopo l’incidente.

L'accertamento Cognitivo. - Immagine: © Malchev - Fotolia.com
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T.: Magari immaginare come avviene l’incidente può farci capire meglio quanto sia effettivamente probabile questa eventualità. Quanto è probabile che accada questa eventualità?

P.: Non ci ho mai pensato esattamente. Non mi ero posta il problema.

Naturalmente la componente soggettiva rimane elevata. Riflettere su quanto sia probabile rimanere coinvolti in un incidente può portare sollievo ad alcuni ed essere indifferente per altri. Nel cognitivismo standard si chiede esplicitamente al paziente di stimare questa probabilità (Lehay, Holland, 2000).

T.: Quanto è probabile, da 0 a 100, che avvenga questo?

La gravità è ancor più un aspetto soggettivo. Naturalmente se si tratta di ragionare sul timore di sciagure gravi c’è poco da discutere. Molto più attaccabili sono invece altri pensieri negativi focalizzati sulle relazioni sociali o sugli stati interiori.

T.: Definiamo meglio questa eventualità. È così grave? E perché?

Tuttavia anche se si tratta di disgrazie materiali, si può far riflettere il paziente (Lehay, Holland, 2000).

T.: Qual è l’esito peggiore di questa situazione che lei teme?

T.: È l’unico esito possibile? Ce ne sono altri meno terribili?

T.: E qual è l’esito più probabile?

Il significato negativo degli eventi: introduzione al Laddering. - Immagine: © Slavomir Valigursky - Fotolia.com -
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Anche in tal modo può essere possibile che il paziente inizi a sdrammatizzare i suoi timori. O meglio, che il paziente apprenda a farlo. Ciò che avviene in terapia è un modello che il paziente deve imparare ad applicare nella sua vita di tutti i giorni.

Dopo aver riflettuto su gravità e probabilità degli eventi temuti, si può passare a trattare le capacità di fronteggiamento del paziente. Questo è un parametro che il paziente molto spesso trascura.

La disgrazia è avvertita e temuta come un evento ingestibile che sopraffà il paziente senza alcuna possibilità di risposta. Questo naturalmente a grandi linee. Vedremo come nel caso del paziente ossessivo la situazione si ribalti e il paziente debba semmai puntare all’obiettivo contrario: accettare senza reagire, ovvero senza controllare. Ma in questo caso stimoliamo pure il paziente a incrementare le sue capacità di fronteggiamento.

T.: Ragioniamo anche sulla sua capacità di fronteggiare questo pericolo, di gestirlo, di rimediare in qualche modo. Pensa di non essere capace di reagire in nessun modo?

Un fobico sociale potrà lavorare sulla sua assertività, un depresso sul suo umor nero, un ansioso sulle sue paure. Esercizi di esposizione faciliteranno una miglior consapevolezza della propria capacità di affrontare le proprie paure.

 

* * *

Occorre quindi incoraggiare il paziente a criticare i suoi pensieri negativi. Tuttavia va usata cautela e delicatezza. Come prima mossa, al terapeuta non conviene confutare e/o criticare attivamente il pensiero negativo del paziente.

Non è consigliabile iniziare un disputing attaccando attivamente le convinzioni negative del paziente, quasi affermando baldanzosamente:  Ora le dimostro dove lei sbaglia nel vedere tutto nero. Questa mossa è debole, poiché mette tutto il carico cognitivo ed emotivo del cambiamento sulle spalle del terapeuta. Esordire promettendo di distruggere le convinzioni negative del paziente genera ansia nel terapeuta e aspettative eccessive e forse anche diffidenza nel paziente. Inoltre, come vedremo, la struttura logica delle convinzioni negative del paziente le rendono poco permeabili a una confutazione diretta e attiva da parte del terapeuta.

Tecniche in Psicoterapia: Le forme dell' ABC. - Immagine: © valdis torms - Fotolia.com
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La domanda va invece formulata nei termini opposti: in modo che sia il paziente a dover dimostrare che il suo pensiero negativo è plausibile e giustificato. Deve essere lui a farsi carico della sua visione negativa e dimostrare prima di tutto a se stesso prima che al terapeuta che la sua visione negativa è fondata. In tal modo si incoraggia il paziente ad assumere una posizione di distacco critico. Fino a quel momento, il paziente non ha mai esaminato criticamente le basi logiche e/o empiriche dei suoi tristi pensieri. Ne ha dato per scontato il valore di verità, con la stessa rassegnazione che si ha davanti alla definitiva inamovibilità dei fatti. Ora, invece, il paziente può iniziare a pensare che le sue non sono constatazioni di verità di fatto, ma potrebbero essere interpretazioni discutibili. Perché vedere tutto nero?

T.: Riflettiamo insieme. Lei è depresso/ansioso/arrabbiato perché ha una visione negativa delle cose. Ma ora la invito a riflettere su quanto sia fondata questa valutazione negativa.

Invitare a riflettere significa anche invitare a riesaminare criticamente la ragioni del pensiero negativo. Naturalmente il paziente va accompagnato con tranquillità ad assumere questa posizione critica. È vero che è possibile

T.: Riesaminiamo le ragioni delle sue preoccupazioni. Vediamo la ragioni logiche e di fatto che la sorreggono. Quanto è fondata la sua visione negativa?

Il paziente potrebbe invocare il suo stato emotivo. Egli non è arrivato a preoccuparsi per via logica o empirica.

T.: Non ci sono particolari ragioni. Semplicemente sono preoccupato.

Tuttavia possiamo insistere. Il nocciolo non è tanto scoprire le basi logiche del ragionare ansioso o depressivo, ma incoraggiare il paziente ad avere fiducia nella possibilità di mettere in discussione le proprie preoccupazioni utilizzando anche l’arma del pensiero razionale.

Se il paziente non percepisce questa spinta ad assumere un distacco critico dalle sue valutazioni, possiamo e dobbiamo insistere facendo appello proprio al fatto che il paziente si è presentato in terapia.

T.: E’ vero. Ma la invito a riflettere. Il nostro obiettivo è mettere in crisi i nostri pensieri. Finora abbiamo creduto alla nostra ansia. Questo è comprensibile, ma non è obbligatorio. In fondo lei è venuto da me proprio perché in qualche modo ha già pensato da solo che fosse venuto il momento di mettere in discussione un certo modo di pensare.

Se ancora non troviamo una risposta, possiamo anche essere più espliciti nel nostro incoraggiare il paziente a cambiare la sua posizione.

T.: Credo che finora lei abbia dato per scontata questa sua valutazione negativa, come se fosse un fatto. Ma potrebbe essere anche una sua interpretazione. Il bicchiere non è vuoto: è mezzo vuoto, ma anche mezzo pieno. Ha ritenuto che questi problemi siano minacce. Ma potrebbero essere appunto problemi da risolvere, non minacce. Ha ritenuto che gli esiti di queste situazioni siano catastrofici. Ma esistono anche altri possibili esiti. Ha ritenuto di non essere in grado di gestire tutto questo. In base a che? Ha ritenuto di non poter reggere emotivamente questo stress. E ancora le chiedo: come fa a dirlo?

È dunque buona strategia lasciare -almeno inizialmente- la palla in mano al paziente, costringerlo a giustificare la propria negatività in modo da favorire un inizio di distacco critico, non precipitarsi a confutare.

 

 

BIBLIOGRAFIA:  

  • Lehay, R. L., Holland, S. J. (2000). Treatment Plans and Interventions ofr Depression and Anxiety Disorders. New York: Guilford Press.
  • Robichaud, M., & Dugas, M. (2005a). Negative problem orientation (Part I): Psychometric properties of a new measure. Behaviour Research and Therapy, 43, 391-401.
  • Robichaud, M., & Dugas, M. (2005b). Negative problem orientation (Part II): Psychometric properties of a new measure. Behaviour Research and Therapy, 43, 403-412.
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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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